Ghost Kitchen, cosa sono le cucine fantasma e come aprirne una di successo

C’è chi le definisce il futuro della ristorazione e chi le eleva a nuovo modello di business capace di abbattere per sempre i costi di affitto e le spese relative al servizio al tavolo in sala. Giacomo Pini, Ceo di GpStudios, consulente ed esperto di marketing della ristorazione svela tutti i segreti di questo format esploso durante la pandemia

29 agosto 2022 | 05:00
di Martino Lorenzini

Nonostante se ne sia iniziato a parlare nel 2017 nei paesi anglosassoni, è solo negli ultimi tempi che le cosiddette cucine virtuali (virtual kitchen in inglese) hanno iniziato a registrare una crescita esponenziale, legata soprattutto al fenomeno del food delivery e alle mutate esigenze di consumatori e ristoratori ai tempi della pandemia.

Parliamo di un +59% nel 2021 rispetto all’anno precedente e un valore complessivo del food delivery in Italia pari a 1,5 miliardi di euro.

Si caratterizzano dal fatto che a differenza della ristorazione tradizionale, in cui il layout operativo prevede la zona operativa/produttiva della cucina e la zona di erogazione del servizio della sala, le virtual kitchen hanno una location che prevede la presenza esclusivamente della sola cucina.

Qui le pietanze vengono preparate e consegnate a domicilio; o, in alcuni casi, si comporta come una struttura singola che funge da centro di produzione (o laboratorio).

A seconda del modello, infatti, le virtual kitchen si suddividono in tre tipologie. Le dark kitchen (in italiano “cucine oscure” o “cucine nascoste”) nascono come cucine parallele a cucine già esistenti destinate unicamente al delivery e all’asporto.

Le ghost kitchen, invece, nascono come cucine operative o laboratori i cui un ristoratore può sviluppare uno o più brand esclusivamente dedicati al delivery.

Le cloud kitchen, infine, costruite sul concetto di condivisione, permettono a più ristoratori di sviluppare il proprio business di food delivery in uno stesso spazio per abbattere i costi operativi.

Verrebbe da chiedersi se questa crescita improvvisa, le cui stime suggeriscono poter andare avanti almeno per il prossimo quinquennio, sarà in grado di modificare l’approccio alla ristorazione come l’abbiamo sempre immaginata.

Vale quindi la pena oggi aprire una ghost kitchen? Quali sono i vantaggi e quali i passi da seguire per aprirne una di successo?

Lo abbiamo chiesto a Giacomo Pini, imprenditore, Ceo di GpStudios, azienda di consulenza e formazione in ambito ristorazione e turismo, nonché autore dei fortunati libri "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale" e "L’Arte del Breakfast".

Giacomo Pini, da cosa è dipeso il boom di questi format?
La pandemia da Covid-19 e di conseguenza le restrizioni messe in atto tra il dicembre del 2019 e il 2021, hanno spinto il pedale dell’acceleratore per quanto riguarda il mercato legato al food delivery. La conseguenza naturale della crescita di questo settore è legata allo sviluppo di questi format.

Il modello di business che sta dietro a questo format di ristorazione ha infatti saputo rispondere in maniera veloce ed efficace alle necessità del momento. Tra queste, non solo quella di trovare modi alternativi per continuare a servire i consumatori clienti più fidelizzati in un momento in cui il distanziamento sociale impossibilitava qualsiasi forma di convivio fuori di casa, ma anche quella legata ai costi. Infatti, durante la pandemia, i costi fissi hanno gravato in modo importante sulle attività della ristorazione: basti pensare al costo dell’affitto che non era più proporzionale allo spazio effettivo a disposizione dato dall’obbligo di distanziare i tavoli e quindi ridurre il numero di coperti a produrre fatturato. Ecco per quale motive nasce l’esigenza di tagliare determinate problematiche evolvendo il concetto di organizzazione operativa e servizio senza limitare i volumi di vendita e aprendo nuovi possibili scenari di crescita.

Come si strutturano le "cucine nascoste"?
Il requisito fondamentale è la totale assenza di posti a sedere per il consumo in loco. Diciamo che tutto ruota intorno al servizio di consegna a domicilio (solo in alcuni casi anche all’asporto) e tutta la struttura e l’organizzazione sono costruite per garantire un servizio il più rapido possibile. Le tre parole chiave che costituiscono le basi per lo sviluppo di questo nuovo modo di fare ristorazione sono personalizzazione, digitalizzazione e condivisione. Questi sono i tre cardini.

 

Lo studio per questo tipo di format deve essere ancora più preciso e l’identità maggiormente delineata. Promozione e comunicazione devono essere centrali e la maggior parte delle strategie ad esse correlate devono pensare in modalità digitale per l’online. Senza dimenticare il packaging, fondamentale non solo per la comunicazione e parte integrante dell’esperienza, ma anche per garantire sicurezza durante il trasporto senza mutare in modo eccessivo il prodotto così come è uscito dalla cucina.

Che spazi occorrono per questo tipo di cucine?
In quanto a spazi bastano anche solo 20-30 metri quadri, dipende sempre dai volumi di vendita e dalla quantità di brand da sviluppare, per stoccare e preparare le materie prime. Si lavora con prodotti ordinati giornalmente o settimanalmente in base a un previsionale di vendita, di conseguenza non è necessario un magazzino particolarmente esteso.
Quando si è alla ricerca della location giusta per la propria ghost kitchen non si applicano tutte le regole generali per un locale di ristorazione tradizionale; tuttavia, ci sono alcuni requisiti da rispettare.

Oltre ai soliti requisiti in termini di sicurezza e igiene, è importante che la location sia progettata per ottimizzare il flusso di lavoro e i tempi di preparazione e confezionamento del prodotto. Deve anche essere strutturata in modo da garantire accessibilità ai riders. Se si pensa al fatto che le cucine nascoste hanno più gioco in termini di fatturato e crescita all’interno delle grandi città, questo comporta una minuziosa selezione che deve centrare l’equilibrio sulla bilancia dei ricavi e dei costi.

Per chi ha senso lanciarsi nel mondo delle ghost kitchen?
Chiunque può aprire una ghost kitchen, basta avere ben chiaro un business plan e l’idea di dove si vuole arrivare. L’investimento iniziale è più che accessibile rispetto all’apertura di un locale di ristorazione tradizionale. Come dicevamo prima, qui manca tutta la parte dei costi legata all’acquisto o all’affitto degli spazi dedicati al servizio alla clientela e al conseguente allestimento: tavoli, sedute, tovagliato, mise enplace, vetrinette, arredamento generale.
Diciamo che l’entità dell’investimento dipende dalla dimensione della cucina che si vuole attrezzare e dal tipo e dalla quantità di attrezzature inserite. Parliamo comunque di un range tra i 50.000 ai 100.000 euro circa.

 

 Ricordiamo che ci sono tante variabili in gioco, compresa anche la geolocalizzazione del locale cucina, quindi, prendiamo questa stima come generica e non specifica al caso di ciascuno. Come vengono gestite le consegne? Che livello di tecnologia vogliamo inserire in cucina e adottare per la vendita e la gestione del rapporto con il cliente? Il locale è in affitto o è di proprietà? Come sono messi gli impianti? Diversi sono gli elementi da considerare, ma una volta partiti ci sono diversi vantaggi che certamente hanno saputo attirare diversi investitori e ristoratori.

Di quali vantaggi stiamo parlando?
Oltre ai già citati vantaggi a livello economico in termini di costi di avviamento, parliamo di vantaggi anche in termini di personale, di struttura e di gestione. All’interno di una ghost kitchen non serviranno camerieri esperti in tecniche di vendita suggerita o cassieri, basteranno 2 o 3 persone in cucina e una squadra di riders. A meno che poi non si decida di affidare la consegna a terze parti. I costi delle utenze e dell’affitto, poi, altre voci di costo importanti sui conti economici delle imprese ristorative soprattutto in questo momento storico contribuiscono ad accrescere il risparmio.
Parliamo poi di una gestione decisamente più snella del lavoro. Trattandosi di un centro esclusivamente dedicato alla lavorazione dei prodotti alimentari, si può ottimizzare al massimo la linea, attraverso una standardizzazione puntuale e precisa delle procedure. Questo non solo per garantire quel famoso servizio super fast (anche se on demand) richiesto dai consumatori, ma anche per tenere i costi di produzione sotto controllo.
Il fatto, poi, che tutta la parte di vendita e gestione del rapporto del cliente avvenga online tramite piattaforme di delivery, sito web, social, app permette la raccolta di una mole non indifferente di informazioni sui gusti, sulle preferenze, sulle esigenze della clientela, così da personalizzare sempre più la proposta, arrivare al cuore delle persone anche senza il servizio in sala e conquistarle per sempre.

Esiste qualche svantaggio da mettere sul piatto della bilancia?
Sicuramente si tratta di una gestione del rapporto con il cliente totalmente differente e la partita si gioca in un campo completamente nuovo per tanti. Manca il rapporto diretto, fisico con il cliente. L’unico che potrebbe avere un contatto con lui è il rider, che però solitamente non è una figura professionale altamente qualificata: non si possono instaurare, come dicevo poco fa, quelle dinamiche di vendita suggerita. Tutte quelle tattiche di upselling e cross-selling che solitamente fa un cameriere al tavolo vengono lasciate in mano alla piattaforma su cui avviene la vendita e non sempre hanno lo stesso effetto. Non c’è tanto tempo per creare quella sinergia e quell’empatia che un’esperienza ristorativa classica sa proporre.

È inoltre difficile che il cliente si senta coccolato, per questo è importante lavorare tanto sulla comunicazione. Anche per farsi lasciare un feedback: la social reproof è fondamentale per scalare la platea di consumatori interessati al tipologia di servizio e alla varietà di prodotti di una ghost kitchen. Anche un po’ di formazione agli addetti ai lavori, comunque, non guasta mai: a volte basta un sorriso in più, un semplice dettaglio per fare la differenza.
Altro aspetto che richiede le dovute valutazioni è la gestione delle consegne. Se invece di gestirla internamente si pensa di terziarizzare l’attività, bisogna tenere in conto le commissioni destinate alle piattaforme, non sempre bassissime e convenienti. 

A livello di prodotto, come deve essere il menu?
Efficienza, rapidità di servizio e qualità. Queste abbiamo già visto essere le tre fondamenta per dare vita a una ghost kitchen di successo. Il menu deve essere costruito di conseguenza, con proposte di veloce e semplice realizzazione pensate per il delivery.
Attenzione, questo non significa necessariamente avere solo proposte smart (anche se sarebbe più semplice) quali hamburger, patatine o pizza.
Bisogna sempre considerare quelli che sono le tendenze per differenziare l’offerta e spiccare rispetto alla concorrenza. Ad esempio, i consumatori oggi non cercano il food delivery solo per “cibi da abbuffata”, ma soluzioni alternative e comode per la propria pausa pranzo in ufficio, che coniughino la freschezza e la qualità del prodotto all’idea di un’alimentazione più sana e rispettosa dell’ambiente. Questo è fondamentale per creare un format di successo: la costruzione di un’offerta in linea con le esigenze e le aspettative tanto del ristoratore quanto del consumatore.

C'è tanta concorrenza in questo settore?
La crescita esponenziale di questo mercato ha fatto sì che la concorrenza si ampliasse in modo vertiginoso e in un arco temporale limitato. È di conseguenza complicato riuscire a differenziarsi dal mercato con un’offerta innovativa, così com’è difficile comunicarlo al cliente essendo il rapporto con egli quasi interamente digitale.

Quali sono i casi che hanno avuto più successo?
Ci sono diversi casi di successo, in tutto il mondo ma anche in Italia.Un esempio di ghost kitchen di successo è Delivery Valley, i cui fondatori sono Maurizio Rosazza Prin e Alida Gotta, ex concorrenti di Masterchef. La forza del concept, oltre che in una potentissima strategia di comunicazione, sta nella varietà dell’offerta. In questo caso vengono sviluppati più brand legati a diverse tipologie di cibi e prodotti, tutti di qualità e curati nel dettaglio in termini di gusto ed estetica. Un’ossessione tipicamente italiana, come la definiscono loro, per ricreare annche piatti che vengono da lontano. La pizza di Lievito Mother F*****, gli hamburger di Giga Burger, il pollo di Gira-gira Arrosto, il fritto di Fritt Fighter, il barbecue di Giga Ribs, il Cat-su Sandro e gli hot dog 20cm. L’idea è vincente perché l’offerta è sufficientemente profonda sia per stimolare l’interesse del cliente sia per ottimizzare i cicli di lavoro.

 

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Alberto Lupini


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