Piatti squisitamente preparati, ingredienti di prim'ordine, servizio impeccabile e sorprendenti carte dei vini: sono elementi che si trovano nella "ricetta" del perfetto fine dining. Ma per far "girare" al meglio un ristorante d'alta cucina tutto questo non basta. Manca, infatti, l'ingrediente finale, probabilmente ai più sconosciuto ovvero... i numeri. Così, come nella tradizionale ristorazione, anche in questo settore di nicchia è indispensabile analizzare ogni dettaglio del business per evitare di ritrovarsi a chiudere per sempre bottega nonostante l'alta qualità del servizio offerto.
Lo sa bene Giacomo Pini, imprenditore, ceo e fondatore di GpStudios, azienda di consulenza e formazione in ambito ristorazione e turismo, nonché autore dei fortunati libri "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", "L’Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali". Con il suo staff di consulenti segue passo passo i professionisti della ristorazione per gestirne al meglio il business e migliorandone le rese finanziarie.
I punti chiave:
- Perché non siamo alla fine del fine dining
- Perché ci sono modelli di fine dining insostenibili
- Alta ristorazione e consumatori: cosa è cambiato
- Fine dining vs Fast casual: chi conquisterà il Web?
- Suggerimenti per «bilanciare» un ristorante fine dining
Perché non siamo alla fine del fine dining
La chiusura di diversi ristoranti stellati e la rinuncia ai sacrifici di tanti cuochi molto noti nel panorama della ristorazione ha fatto scalpore, così come i dati condivisi dalle ultime notizie dei conti economici di grandi nomi della ristorazione tanto internazionale quanto tutta italiana. Ma per Giacomo Pini, sebbene possa sembrare spontaneo collegare la chiusura di questi locali, punti di riferimento per una serie di fattori, e la crisi dell’intero comparto, «è da ingenui fare di tutta l’erba un fascio. Più che alla fine del fine dining stiamo assistendo alla calata del sipario sui modelli non sostenibili».
Perché ci sono modelli di fine dining insostenibili
Per Pini è indispensabile tenere sempre sotto controllo i costi. «Anzitutto quelli fissi, che sono spesso elevatissimi, ma anche quelli variabili non sono da meno - ha spiegato Pini - Fine dining non è solo stellato (e stellato non è solo fine dining), ma è tutto ciò che è altissima ricerca, nell’utilizzo di ingredienti di altissima qualità, di tecniche di lavorazione e preparazione delle pietanze che trasformano ogni portata in un’opera d’arte dal potere multisensoriale. Senza parlare del costo del personale, degli affitti altissimi soprattutto per quei locali che si trovano in location certamente suggestive, ma non a costo zero. Purtroppo (o per fortuna), i cambiamenti degli ultimi anni hanno spostato gli equilibri verso nuove situazioni che bisogna accettare e affrontare con il giusto approccio, aprendosi all’innovazione e all’evoluzione che tanto caratterizza questi format».
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Alta ristorazione e consumatori: cosa è cambiato
Per Pini non c’è il timore che il consumatore si sia stancato del fine dining. «L’utenza oggi è certamente più consapevole, ha tendenzialmente una capacità di spesa più ridotta e la forbice tra gli alto-spendenti e i basso-spendenti si è allargata tantissimo - ha spiegato il fondatore di GpStudios - questo però non significa che non ci sia più nessuno disposto a pagare il conto di un fine dining. C’è poi il fattore della semplificazione: ci sarà sempre il cliente disposto a pagar di più per vivere un’esperienza di alta ristorazione, anche fosse solo una volta ogni tanto o l’occasione della vita, ma in generale quello che il cliente va cercando oggi più di ieri è la qualità e la ricerca, l’effetto a sorpresa e la commistione di sapori unici. E ancora di più il rapporto umano: un’interazione più “friendly” e meno impostata, comunque sempre professionale».
Fine dining vs Fast casual: chi conquisterà il Web?
La comunicazione è un elemento importante, oltre ovviamente ai numeri che rimangono fondamentali: se quelli non girano tutto il resto è profumo spruzzato su qualcosa che è già andato a male. Detto questo, se guardiamo al mondo digitale i fast casual sono molto più alla mano e sono sempre più i food blogger che parlano dei locali in cui puoi mangiare bene spendendo 20 euro in centro a Milano più che la cena allo stellato. Un aspetto che sta facendo pendere la bilancia a favore delle strutture fast casual a scapito di quelle di fine dining.
«I blogger raccontano di ristoranti a buon mercato spesso per creare un rapporto più ad ampio raggio e parlando direttamente alla pancia delle persone - ha spiegato Pini - Tuttavia, c’è da dire che grazie alla comunicazione oggi ci si muove in maniera più consapevole, come dicevo prima. E una comunicazione curata e coerente con il brand è vincente in ogni caso, tanto per i fine dining quanto per i fast casual e tutti gli altri format di ristorazione».
Suggerimenti per «bilanciare» un ristorante fine dining
La prima mossa da compiere per bilanciare un ristorante di fine dining per Pini è «partire dalla carta. Ridurre il numero di voci, poche cose ma fatte bene. Questo per avere maggiore controllo su magazzino, food cost e procedure operative in cucina. Poi diversificare le entrate. E non solo con la carta vini e un investimento esagerato per offrire una cantina super fornita. Parlo di servizi extra, di spin-off, che arricchiscano l’esperienza del cliente, che lo fidelizzino al brand e che raggiungano nuove fette di mercato. Questo per bilanciare i margini tra le diverse tipologie di format. Lo fanno in tantissimi, tra cui il celebre cuoco spagnolo di fama internazionale Dabid Munoz con il suo format Ravioxo, con offerta verticali a base di gyoza, dim sum e altre paste ripiene in stile fusion, e Goxo, focalizzato sul delivery. Ma anche i fratelli Cerea, con il ristorante di famiglia Da Vittorio, la Pasticceria Cavour, Vicook. Insomma, il fine dining non sta morendo. Sta solo diventando grande, forse ancora più grande di prima. Basta avere un approccio imprenditoriale e tenere sotto controllo i numeri».
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Alberto Lupini
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