Fine dining: perché i grandi chef aprono i ristoranti "spin-off"?

Solo business o voglia di sperimentare un altro tipo di cucina rispetto al ristorante di riferimento? Negli ultimi anni, gli chef stellati italiani hanno sviluppato bistrot e progetti spin-off, offrendo versioni più accessibili della loro cucina d'autore: la famiglia Cerea, ma anche Bartolini, Cracco, Crippa, Perbellini e Romito sono alcuni esempi

08 ottobre 2024 | 05:00
di Luca Bassi

Nell’ultimo decennio, in Italia, i cosiddetti "spin-off" dei ristoranti stellati sono diventati un fenomeno sempre più diffuso, un modo per avvicinare una clientela più vasta a quella gastronomia d'élite solitamente accessibile solo a pochi. Questi locali sono spesso gestiti dallo stesso chef che guida un ristorante di alto livello, magari premiato dalla Michelin, e propongono una cucina di alta qualità, ma con un format più informale e, soprattutto, a prezzi più accessibili. Non sono per forza dei bistrot, ma alle volte anche dei fast food di qualità o delle pasticcerie di prima fascia. Il successo di questi progetti spin-off può essere visto come una risposta al crescente interesse per la gastronomia di alto livello, ma anche alla necessità di intercettare nuovi segmenti di clientela. Infatti, i ristoranti stellati tradizionali, con la loro cucina d'eccellenza e i prezzi elevati, si rivolgono principalmente a una nicchia di appassionati gourmet o a chi può permettersi un'esperienza culinaria d'élite. Con questi format “ridimensionati”, invece, punta a un pubblico più ampio, spesso giovane, che cerca un assaggio di questa esperienza senza dover svuotare il portafoglio.

L’estensione "democratica” della cucina d’autore

Si tratta di spazi che rappresentano una sorta di "estensione democratica" della cucina d’autore, un fenomeno che permette a una clientela più ampia di avvicinarsi a piatti e preparazioni che solitamente sarebbero riservati a un’élite di appassionati disposti a spendere cifre importanti. Questi format nascono dall’esigenza di ampliare il pubblico senza tradire l’essenza del proprio stile. Si propongono come una via d'accesso, più accessibile ma non per questo meno raffinata, ai sapori e alle tecniche che hanno reso celebri i grandi chef. Se da un lato i ristoranti stellati continuano a mantenere il loro status di templi del gusto, dove ogni dettaglio è studiato e il livello di servizio è impeccabile, dall'altro, questi spin-off offrono una versione più snella e informale di quella stessa esperienza. Questa è la sfida che molti ristoratori di alta gamma hanno scelto di affrontare con successo.

  

L’apertura di un progetto “satellite” da parte di uno chef stellato non è solo un’operazione commerciale, ma spesso rappresenta un tentativo di democratizzare la gastronomia d’autore. Tuttavia, questa democratizzazione ha le sue sfide. Mantenere standard elevati in un contesto più informale e con un prezzo più contenuto non è facile. Richiede un’organizzazione impeccabile, l’abilità di semplificare senza banalizzare e, soprattutto, la capacità di mantenere una visione coerente con quella del ristorante principale. Non tutti i bistrot, infatti, riescono a mantenere l'equilibrio tra accessibilità e qualità, e qui si gioca la vera sfida.

Bistrot stellati, all’inizio fu Carlo Cracco

Uno degli esempi più noti in Italia è stato sicuramente quello di Carlo Cracco. Il celebre chef milanese è stato uno dei pionieri di questa tendenza e ha aperto nel 2014 (anche per sfruttare l’onda di Masterchef) il suo "Carlo e Camilla in Segheria", un bistrot che, pur mantenendo l'impronta del suo stile sofisticato, ha offerto piatti a un prezzo più contenuto rispetto al ristorante stellato di Galleria Vittorio Emanuele. L’ambiente, volutamente industriale e non pretenzioso, ha fatto da sfondo a una cucina che si distingueva per la qualità delle materie prime e l’innovazione, ma senza la rigidità formale dei locali di alta ristorazione. Il messaggio è stato chiaro: l’eccellenza può essere raggiunta anche in un contesto più accessibile e rilassato.

 

Quel bistrot, però, non è sopravvissuto alla morsa del Covid e ha chiuso i battenti alla fine del 2020 dopo sei anni abbondanti di lavoro. Carlo Cracco riserva comunque anche oggi un’offerta più informale per i suoi clienti al piano terra in Galleria Vittorio Emanuele II: il Cafè Cracco è infatti un locale adatto a colazioni e aperitivi, ma anche pranzi e cene veloci, perfetto per chi desidera concedersi una pausa di lusso e qualità senza spendere cifre troppo alte.

Niko Romito, dal bistrot al fast food gourmet

Niko Romito, chef tristellato del celebre ristorante Reale a Castel di Sangro, è un altro protagonista di questa tendenza. Con il suoi bistrot "Spazio", a Roma, Romito ha dimostrato come sia possibile proporre una cucina d’autore a prezzi decisamente più contenuti, senza rinunciare alla cura e all’attenzione per i dettagli. Nel suo Spazio, Romito ha ideato un format che si concentra su pochi piatti, tutti preparati con la stessa perizia che contraddistingue il suo ristorante stellato, ma accessibili a una platea più ampia, sia in termini di prezzo che di approccio. I piatti sono essenziali, moderni, ma sempre ancorati alla tradizione e al territorio.

Lo stesso format proposto a Milano, sempre dal nome “Spazio”, ha invece chiuso i battenti alla fine di marzo del 2024. Non solo bistrot, però, perché Niko Romito, esportando la propria cucina, ha voluto osare per davvero quando ha aperto ALT, un progetto realizzato con Enilive per rivoluzionare la ristorazione su strada. Un franchising, che ad oggi vanta quattro locali inaugurati a Castel di Sangro, Montesilvano, Roma e Ostia, con proposte che vanno dal pollo fritto agli hamburger, dal tramezzino al panfocaccia farcito, dalle insalata alle polpette di carne.

"Spin-off" stellati, Perbellini, Bartolini e quella voglia di metropoli

Il fenomeno dei bistrot degli stellati ha preso piede soprattutto nelle grandi città, dove la richiesta di esperienze gastronomiche di qualità è in costante crescita, ma si estende anche in località meno battute, dove spesso è difficile trovare ristoranti di alto livello. A volte, questi bistrot diventano anche un laboratorio creativo per gli chef, un luogo dove sperimentare nuovi piatti e idee senza l’obbligo di aderire ai rigidi standard della ristorazione di lusso.

 

È il caso di Giancarlo Perbellini, che a Verona ha scritto grandi pagine di ristorazione conquistando anche due stelle Michelin col ristorante che porta il suo nome. Ma evidentemente lo chef veneto ha sentito la voglia di misurarsi con una metropoli come Milano quando nel 2018 ha deciso di lanciare Locanda Perbellini, “una prestigiosa succursale della galassia dello chef pluristellato Giancarlo Perbellini che con questa nuova apertura e grazie alla sua trentennale esperienza nel settore - si legge sul sito internet del locale -, si propone di divulgare la filosofia della sua cucina che coniuga tradizione ed innovazione senza dimenticare la qualità e la freschezza delle materie prime”.

Se per alcuni chef la scelta di aprire uno spin-off è significato spostare l’offerta della propria insegna stellata anche in altre città, per gustare qualche piatto nel bistrot di Enrico Bartolini non ci si deve nemmeno spostare dal Mudec. Il museo d’arte contemporanea, infatti, al terzo piano ospita il tristellato del cuoco toscano e al piano terra accoglie gli avventori del più informale bistrot che propone colazioni, pranzi gourmet e aperitivi accessibili ai portafogli dei più, sempre mantenendo lo stile innovativo tipico di Bartolini che coniuga tradizione e sperimentazione.

Da Enrico Crippa a Bottura passando dai Cerea: altri casi italiani

Un altro caso emblematico è quello di Enrico Crippa, che con le tre stelle Michelin del Piazza Duomo di Alba ha conquistato la vetta della cucina italiana. Dopo aver conquistato l’olimpo dei fornelli del Belpaese, Crippa ha aperto La Piola, un vero e proprio bistrot che propone una cucina di grande qualità a prezzi non proibitivi. Anche in questo caso, la missione è quella di avvicinare un pubblico più ampio a una cucina che, pur non rinunciando alla raffinatezza, si presenta sotto una veste meno impegnativa. 

Un altro caso di “bistrot stellato” si ha a Modena con la Franceschetta di Massimo Bottura, anche se in questo caso un menu degustazione arriva a sfiorare comunque i 90 euro e non si può propriamente parlare di prezzi per tutti.

Pure i fratelli Cerea hanno deciso di esportare dal quartier generale di Brusaporto, in provincia di Bergamo, il marchio Da Vittorio non solo con ristoranti fine dining che hanno conquistato più stelle (vedi Shanghai e St. Moritz), ma anche con un bistrot nello spazio estivo dello stupendo convento di Astino (a Bergamo, a due passi dal centro cittadino) nel quale migliaia di commensali hanno avuto modo di assaggiare i famosi paccheri di Vittorio senza l’impegno di un pranzo o una cena in un locale tristellato. E sempre i Cerea nel 2021 hanno aperto una pasticceria ad Albano Sant’Alessandro (ancora in provincia di Bergamo) che propone tutti i famosissimi dolci (dai cannoncini farciti al momento ai panettoni, dai mignon alle monoporzioni) che solitamente vengono serviti a fine pasto nel ristorante di Brusaporto.

I ristoranti "spin-off" sono all’altezza delle firme che rappresentano?

Quindi, la domanda sorge spontanea: questi bistrot sono all’altezza dei ristoranti stellati che rappresentano? La risposta è complessa. In molti casi, la qualità rimane alta e l’esperienza che si offre al cliente è di livello, anche se diversa da quella più strutturata e formale del ristorante principale. Tuttavia, non tutti i bistrot stellati riescono a raggiungere questi standard. Alcuni, pur mantenendo una buona qualità complessiva, non riescono a offrire quell’esperienza unica che ci si aspetta da un’insegna stellata. Questo può dipendere da vari fattori, come la capacità dello chef di seguire direttamente il bistrot o la necessità di ridurre i costi a scapito di alcune scelte qualitative.

Un altro aspetto da considerare è l’evoluzione stessa di questi bistrot. Negli ultimi anni, come detto in precedenza, molti di loro hanno raggiunto livelli così alti da ottenere, a loro volta, la stella Michelin, come nel caso di "Casual" di Bartolini o del bistrot di Antonino Cannavacciuolo. Questo dimostra che la qualità non è solo una questione di prezzo o formalità, ma di cura, passione e attenzione ai dettagli, che possono essere presenti anche in contesti più semplici e accessibili.

In conclusione, i bistrot dei ristoranti stellati possono essere considerati all’altezza della fama che li precede, ma non in modo uniforme. La capacità di mantenere elevati standard qualitativi, anche in un format più informale, dipende dalla dedizione dello chef, dall’attenzione alla materia prima e dall’organizzazione della cucina. Quando questi elementi si allineano, il risultato è un’esperienza culinaria che, pur più accessibile, non fa rimpiangere quella del ristorante principale. Ma in altri casi, il bistrot può risultare una versione semplificata e, talvolta, annacquata della cucina stellata, perdendo quell’unicità che caratterizza i grandi ristoranti.e infatti, per i motivi più disparati, non tutti sopravvivono a lungo.

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Alberto Lupini


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