Un filosofo in cucina
Per secoli i grandi filosofi hanno relegato la cucina ad un’attività stupida e minore. Ben venga la filosofia a tavola, magari per portare nuove idee ed energie in un mondo a volte troppo statico, seppure in fermento
02 febbraio 2018 | 09:17
di Guerrino Di Benedetto
La cosa strana è che per secoli i grandi filosofi, da Platone (che odiava il cibo) fino all’800, hanno relegato la cucina ad un’attività stupida e minore. Ne fece per primo le spese il povero Epicuro, che solo per avere detto che mangiare era un piacere fu messo alla gogna per secoli, tant’è vero che il vocabolo “epicureo” ha ancora oggi una forte valenza negativa e dispregiativa. Brillat-Savarin, che era anche scienziato, fu deriso dai colleghi per la sua passione per la cucina.
Ben venga la filosofia a tavola, magari per portare nuove idee ed energie in un mondo a volte troppo statico, seppure in fermento. Certo può sembrare una contraddizione ma è così, infatti ogni anno la nostra industria del food produce il 20% di tutti i prodotti di settore che escono nel mondo. Un fermento che spesso si scontra con tradizioni e staticità del sistema ristorativo italiano, frammentato e spesso lontano da ricerca e innovazione.
Cari filosofi, dateci delle risposte. Gli sponsor del costoso corso sono sempre gli stessi, circa 10 fra banche e gruppi industriali, a fronte di migliaia di piccoli produttori presenti sui nostri territori. Vorrei concludere ricordando a questi nuovi Filosofi del Gusto che quest’anno ricorre il 200° anniversario dell’“Infinito” di Leopardi e mai come ora, per voi che vi accingete ad andare a tavola, «il naufragar m’è dolce in questo mare».
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Alberto Lupini