Decreto liquidità, quando i soldi? Calugi (Fipe): Si fermi la burocrazia
Le banche potrebbero chiedere tempo per erogare finanziamenti superiori a 25mila euro. Il direttore della Federazione dei Pubblici Esercizi: «Avanti così nel 2020 il settore perderà rischia di perdere 21 miliardi»
09 aprile 2020 | 10:23
I soldi sul piatto per fare fronte all’emergenza e provare a far ripartire le attività commerciali e industriali del Paese ci sono e sono tanti. Tuttavia ancora non è chiaro come e quando sarà possibile accedervi. Il Decreto Liquidità approvato dal Governo sta ricevendo in questi giorni reazioni piuttosto tiepide, per non dire addirittura negative, da parte delle associazioni di categoria. E questo nonostante le garanzie che lo Stato ha messo in campo per provare a snellire proprio la parte burocratica delle operazioni.
Tra coloro che si sono espressi nel merito, c’è il direttore della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), Roberto Calugi, che in un intervento sul Foglio non utilizzato giri di parole per ricordare che la situazione dei circa 300mila esercizi pubblici italiani è a dir poco drammatica, confermando le perplessità già espresse dalla Federazione: «Se continua così - ha detto - quest’anno conteremo danni per 21 miliardi di euro. In tale emergenza, la liquidità dovrebbe arrivare in modo automatico, senza dover attendere che la banca faccia una valutazione sul merito di credito che potrebbe durare mesi, il che è esattamente quello che succederà per i finanziamenti superiori ai 25mila euro».
Già, le banche: l’Italia ha puntato proprio sul sistema bancario per l’erogazione dei contributi, cosa che non hanno fatto altri Paesi dell’Unione Europea, i quali hanno aderito alle nuove regole della Commissione (il cosiddetto Temporary Framework), che consentono agli Stati membri di erogare sovvenzioni dirette e agevolazioni fiscali, per concedere fino a 800mila euro alle società per fare fronte alle esigenze di liquidità. Un’opportunità alla quale hanno aderito già diversi Paesi, tra cui Germania, Francia, Danimarca e Grecia.
Affidandosi alle banche, come ha ammesso lo stesso presidente dell’Abi, Antonio Patuanelli, il rischio è che la liquidità alle imprese non sarà così immediata. In altre parole, si torna a quella burocrazia e a quelle procedure che il decreto avrebbe voluto abbattere. Insomma, un controsenso, che non può trovare d’accordo imprenditori, commercianti e associazioni di categoria: «Non dovrebbero esserci iter burocratici per far arrivare almeno i primi aiuti alle aziende che devono pagare gli affitti e i fornitori e spesso anche anticipare la cassa integrazione dei loro dipendenti», ha concluso Calugi.
Roberto Calugi
Tra coloro che si sono espressi nel merito, c’è il direttore della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), Roberto Calugi, che in un intervento sul Foglio non utilizzato giri di parole per ricordare che la situazione dei circa 300mila esercizi pubblici italiani è a dir poco drammatica, confermando le perplessità già espresse dalla Federazione: «Se continua così - ha detto - quest’anno conteremo danni per 21 miliardi di euro. In tale emergenza, la liquidità dovrebbe arrivare in modo automatico, senza dover attendere che la banca faccia una valutazione sul merito di credito che potrebbe durare mesi, il che è esattamente quello che succederà per i finanziamenti superiori ai 25mila euro».
Già, le banche: l’Italia ha puntato proprio sul sistema bancario per l’erogazione dei contributi, cosa che non hanno fatto altri Paesi dell’Unione Europea, i quali hanno aderito alle nuove regole della Commissione (il cosiddetto Temporary Framework), che consentono agli Stati membri di erogare sovvenzioni dirette e agevolazioni fiscali, per concedere fino a 800mila euro alle società per fare fronte alle esigenze di liquidità. Un’opportunità alla quale hanno aderito già diversi Paesi, tra cui Germania, Francia, Danimarca e Grecia.
Affidandosi alle banche, come ha ammesso lo stesso presidente dell’Abi, Antonio Patuanelli, il rischio è che la liquidità alle imprese non sarà così immediata. In altre parole, si torna a quella burocrazia e a quelle procedure che il decreto avrebbe voluto abbattere. Insomma, un controsenso, che non può trovare d’accordo imprenditori, commercianti e associazioni di categoria: «Non dovrebbero esserci iter burocratici per far arrivare almeno i primi aiuti alle aziende che devono pagare gli affitti e i fornitori e spesso anche anticipare la cassa integrazione dei loro dipendenti», ha concluso Calugi.
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Alberto Lupini
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