Dal boom post Masterchef al crollo delle iscrizioni: come stanno gli istituti alberghieri italiani?

Tra il 2013 e il 2015 il picco di gradimento, poi la discesa verticale: perché le scuole che formano cuochi, camerieri e receptionist d’albergo rischiano di tornare nell’ombra . Un tema molto caldo, emerso ancor di più quest'estate quando bar, ristoranti e alberghi si sono ritrovati senza personale e con pochi giovani validi da reclutare

07 gennaio 2022 | 05:00
di Luca Bassi

Tempi non proprio felici per gli istituti alberghieri. Un tempo - neanche troppo lontano - tutti volevano essere Carlo Cracco e alcune strutture avevano anche dovuto scegliere di adottare una sorta di numero chiuso: c’è stato perfino, come successo a Orbetello nel 2016, chi è rimasto senza cucina per il numero troppo elevato di studenti iscritti.

E per qualche tempo si è ipotizzato che, se il trend fosse rimasto invariato, nel mondo del lavoro l’Italia avrebbe avuto due cuochi per ogni operaio in azione. Numeri che, del resto, avrebbero rispecchiato in lungo e in largo la cultura di un Paese che fa da sempre del turismo uno dei suoi pilastri.

Ma le cose sono cambiate. Oggi, infatti, le iscrizioni alla scuola che prepara professionalmente cuochi, camerieri e receptionist d’albergo continua a veder calare il numero degli iscritti. E non di poco.

Il boom dopo le prime edizioni di Masterchef

Il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri è iniziato dopo il 2013. Probabilmente non è stato un caso il fatto che sia successo proprio a ridosso della prima edizione (era il 2011) di Masterchef, il popolare talent show culinario che ha dato il via alla trasformazione della figura del cuoco e dell’ambiente di cucina.

Prima di Masterchef chef come Bruno Barbieri, Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo erano famosi solo nel mondo della ristorazione: grandi professionisti che non sarebbero però mai stati fermati per strada per un selfie o un autografo. Il talent, dopo un primo anno chiuso senza numeri straordinari (con una media di 350mila spettatori per serata) dalla seconda edizione in avanti ha iniziato a diventare popolare come non mai, spinto soprattutto dai social: chi, in quegli anni, non ha incontrato su Facebook un meme di un giudice che lanciava un piatto dopo aver assaggiato una preparazione deludente?

Per non parlare delle riuscitissime imitazioni dell’imprenditore italo americano Joe Bastianich fatte dal comico Maurizio Crozza. La quinta edizione, quella andata in onda su Sky Uno (e in chiaro su TV8) dal 17 dicembre 2015 al 3 marzo 2016, la prima con lo chef Cannavacciuolo in giuria, ha sfiorato la media di 2 milioni di spettatori a serata.


Il cuoco sui media visto come una rock star

Da lì in avanti la figura del cuoco su giornali, tv, radio e social network è cambiata radicalmente: quello dietro ai fornelli non era più un professionista che si limitava a spadellare chiuso in una cucina, ma era diventato una figura chiave della società, interpellato a volte anche per questione molto più grandi come politica o ambiente.

Nel frattempo sui media hanno iniziato a “piovere” cuochi: nei tg, nelle radio, nelle trasmissioni generaliste, sulle riviste. E alcuni di questi sono diventati delle celebrità fatte e finite alle quali sono state affidate dei programmi tv veri e propri. Il cuoco, da semplice operaio dei fornelli, è diventato una sorta di rock star.

 

Impennata di iscrizioni nel 2014, poi il crollo

L’anno scolastico col maggior numero di iscritti agli istituti alberghieri italiani è stato il 2014-2015, con 64.296 "primini" (dati forniti dal Miur a dicembre 2021, ndr) che hanno preso via alle lezioni di settembre. È stato l’effetto Masterchef, che nei mesi precedenti era diventato uno dei programmi più visti in tv.

Numeri più o meno identici anche tra gli iscritti dell’anno scolastico successivo (61.477), prima del vistoso calo iniziato da lì in poi: 55.825 nell’anno scolastico 2016-2017, 52.264 nell’anno scolastico 2017-2018, 47.437 nell’anno scolastico 2018-2019 e 41.916 nell’anno scolastico 2019-2020.

La fase di discesa si è trasformata in un crollo negli ultimi due anni di cui abbiamo traccia: per le lezioni degli anni scolastici 2020-2021 e 2021-2022 gli iscritti hanno di poco superato le 34mila unità. In pratica in sei anni gli italiani che hanno scelto la scuola alberghiera si sono quasi dimezzati.

La testimonianza del Carlo Porta di Milano

Rossana di Gennaro, direttrice scolastica dell’Istituto Carlo Porta di Milano, conferma i dati: «Sì, gli studenti in eccedenza non ci sono più. La riduzione degli iscritti c’è stata e pure noi la vediamo: probabilmente la chiusura dei ristoranti e la pubblicità negativa al settore portata dal Covid hanno fatto la differenza», ci spiega.

«Gli studi da fare all’interno del nostro istituto sono molto impegnativi - continua la direttrice -. Il livello di preparazione, soprattutto in Lombardia dove le scuole alberghiere sono poche, negli anni del boom di iscrizioni ha permesso a realtà come la nostra di poter fare una selezione. Ovviamente, anche oggi che contiamo meno iscritti, l’indirizzo di cucina resta quello più gettonato. È in sofferenza, invece, quello di accoglienza turistica, probabilmente perché è di gran lunga quello più impegnativo dei tre proposti».

 

«Dobbiamo formare veri professionisti»

«Dal punto di vista dell’occupazione gli istituti professionali alberghieri restano quelli più performanti - spiega ancora la dottoressa di Gennaro -, ce lo dicono ogni anno i dati. Peccato però che, sempre a causa delle chiusure imposte nei mesi scorsi dalla pandemia, in tante strutture del mondo horeca manchi il personale. Io credo che un istituto alberghiero abbia la responsabilità di far capire l’enorme differenza tra un dipendente che capita in un ristorante, in un bar o in un hotel per caso e un professionista che ha completato un percorso di studi prima di arrivare nel mondo del lavoro. Il nostro obiettivo dev’essere questo: formare dei veri professionisti. Mentre sulla parte economia, ahinoi, le scuole possono fare gran poco: lì serve la politica».

«Effetto mediatico della tv ha illuso i ragazzi»

«L'effetto mediatico della comunicazione televisiva ha illuso tantissimi ragazzi, che hanno visto la figura del cuoco come un obiettivo facilmente raggiungibile - spiega senza mezzi termini Matteo Scibilia, chef del Piazza della Repubblica di Milano e vicepresidente di Confcommercio Vimercate -. La realtà non è proprio così: per diventare un cuoco fatto e finito serve tanta esperienza, tanto sacrificio, tanto apprendistato. La tv ha mandato un messaggio fine a sé stesso: tanti ragazzi hanno pensato che due mesi di Masterchef potessero formare un grande cuoco. Questo è andato a sminuire anche la figura del docente, già di per sé non in ottima luce: ricordiamoci che spesso a insegnare i mestieri del mondo Horeca viene messa una persona teoricamente preparata ma con pochissima esperienza nel mondo del lavoro, che sia esso in cucina, in sala o nella hall di un hotel. Inoltre il decadimento delle scuole alberghiere, soprattutto negli ultimi anni, passa anche da strumenti e materie prima di bassa qualità, scelte per motivi economici».

Il futuro del turismo passa soprattutto dalle scuole

«Da tempo sostengo che dobbiamo fare molto di più nella formazione dei cuochi di domani: ho incontrato ragazzi in stage che avevano poca dimestichezza con coltelli e padelle. Quello che va cambiato al più presto - continua Scibilia - è il patto sociale: il gap che c'è tra scuola e mondo del lavoro è incredibile e inaccettabile. Un istituto alberghiero deve funzionare in modo diverso, deve diventare un vero e proprio ponte tra istruzione e mondo del lavoro con strumenti nuovi e all'avanguardia. Oggi tutto questo non c'è: la scuola alberghiera e molte scuole professionali sono allo sbando».

La cucina non è uno show: il bagno di realtà

«Il calo delle iscrizioni, significativo, è una tendenza chiara e netta nelle scuole alberghiere  conferma anche Stefano Salina, ex presidente ed ex direttore generale della Scuola Superiore del Commercio, del Turismo, dei Servizi e delle Professioni -. Il motivo? Secondo me è dettato dal mondo del lavoro: le retribuzioni che un ragazzo diplomato si trova di fronte non sono quelle che sognava quando ha iniziato il percorso di studi. Tutto questo a fronte di grandi sforzi fisici e psichici imposti da questo lavoro. Lavorare nel mondo Horeca dev'essere quasi una vocazione. Negli ultimi anni credo che i ragazzi si siano fatti un bagno di realtà, hanno potuto toccare con mano cosa significa fare il cuoco o il cameriere».

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Alberto Lupini


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