Consegno le chiavi a Conte La Mantia: pochi i contributi
Filippo La Mantia pronto a fare un gesto eclatante: consegnare le chiavi del suo ristorante al premier per protesta ai contributi del decreto Ristoro che «sono pochissima cosa rispetto ai costi fissi» di un ristorante
30 ottobre 2020 | 00:17
«Se continuerà così, sarò costretto a un gesto eclatante: porterò le chiavi del mio ristorante al premier Conte. Saprà certamente cosa farne». Chiaro, conciso diretto, l’oste e cuoco Filippo La Mantia contesta i contribuiti del decreto Ristori intervenendo alla trasmissione “Diciottominuti-uno sguardo sull'attualità”, in onda sul sito e sulle pagine social dei consulenti del lavoro, come riporta l’Adnkronos.
SE NON SI LAVORA COME SI PAGANO I CONTI?
Un nuovo schiaffo per i ristoratori, dopo la chiusura anticipata alle 18: «Diciamo che i contributi sono pochissima cosa rispetto ai costi fissi che un’azienda come la mia ha giornalmente – spiega La Mantia - Inoltre, è bene evidenziare che noi ristoratori abbiamo oggi da saldare i costi del mese scorso e di quando siamo stati totalmente chiusi durante il lockdown primaverile. A noi interessa lavorare, noi vogliamo fare lavorare i nostri dipendenti e dare da mangiare ai nostri clienti. E poi pagare dipendenti e fornitori. Questo mi interessa e questo però non posso fare».
Perché, naturalmente, la chiusura anticipata non significa meno spese. Anzi: «Le spese rimangono. Si pensi solamente alle spese di sanificazione del locale che noi facciamo due volte al giorno e che ci costano settanta mila euro l'anno».
Problematiche che La Mantia aveva detto fuori dai denti già la scorsa estate quando aveva annunciato il “trasloco” del suo ristorante milanese in uno spazio più piccolo: «Chiuderò, perché la situazione attuale non permette a un ristorante così grande di sopravvivere – aveva spiegato - Cambierò location. È un po’ come fare un trasloco, vado ad abitare in un appartamento più piccolo». Il motivo? Il Covid. Ma non, in questo caso, per la mancanza di clienti. Bensì per tutto ciò che la pandemia ha stoppato: eventi, cene aziendali e consulenze: «Tra moda e architettura qui a Milano facevamo una media di 80 eventi l’anno, li ho persi tutti. Le consulenze si sono ridotte del 50% rispetto al periodo pre-coronavirus, così come gli show-cooking e simili». Il tutto con un impatto così forte che La Mantia ha dovuto cambiare strategia.
SIAMO IN REGOLA CON I PROTOCOLLI, PERCHÉ CHIUDERCI ALLORA?
Ed è proprio questo il punto. La Mantia, come tanti suoi colleghi, non riesce a digerire il fatto che dopo i tanti sforzi richiesti, e fatti, dai ristoranti per poter lavorare in sicurezza, il Governo non permetta di lavorare: «I ristoranti - ha sottolineato - sono luoghi sicuri, dove il contagio non avviene, anche perché abbiamo attuato tutti i protocolli di sicurezza con un grande dispendio di risorse economiche. Sarebbe stato preferibile chiudere tutto 24 h su 24 h e non includere i ristoratori nel comparto della movida e disporre la chiusura alle 18. Il mio ristorante fino a sabato scorso era frequentato da clienti ma nel rispetto delle disposizioni del governo e con i distanziamenti previsti. Abbiamo fatto degli sforzi e ora siamo costretti a chiudere alle 18».
IN PIÙ COSÌ I CLIENTI HANNO ANCORA PIÙ PAURA
Senza dimenticare che in questo modo è montata la paura dei clienti nel frequentare i ristoranti: «Se fino alla settimana scorsa i nostri clienti sono riusciti a superare la “paura”, la barriera di uscire e andare a cena fuori, ora con il pranzo è ancora più difficile – spiega il cuoco - Nel mio ristorante abbiamo una media di sole 20 persone a pranzo. La gente ora preferisce rimanere a casa usufruendo dei servizi di consegna a domicilio».
IL DELIVERY AUMENTA, MA NON CI COPRO I COSTI
E a proposito di delivery: «Stiamo ampliando il delivery e l’asporto dove abbiamo certamente più richieste – racconta La Mantia – Un’iniziativa che avevamo intrapreso a marzo scorso con il lockdown», ha spiegato La Mantia sottolineando però che «così sarà praticamente impossibile coprire i costi».
Costi che non riguardano, naturalmente solo il ristorante: «Premesso che la salute - ha continuato La Mantia - è la prima cosa di cui tutti noi tutti dobbiamo disporre. Bene dunque utilizzare tutte le precauzioni: mascherine, sanificazione, accortezza nello svolgere il proprio lavoro. Ma oggi il lavoro del cuoco e del ristoratore, tra i più antichi mestieri che abbiamo, è stato depennato in maniera totale. Personalmente rimango incredulo di un procedimento di questo tipo. Quando si ferma un ristorante, si ferma anche tutta la catena degli approvvigionamenti».
UN COMPARTO CAPRO ESPIATORIO
Tanta amarezza, dunque, per il fatto che il comparto sia stato utilizzato come capro espiatorio, invece di guardare anche altrove: «Ieri alle 18 ho finito di lavorare e fuori al mio locale c’erano ragazzi in strada, senza mascherina, che giocavano. Non ci sono controlli. Quindi gli sforzi che noi ristoratori stiamo facendo ogni giorno, soprattutto in termini economici, sono vanificati da quello che c’è in giro».
Ma, nonostante tutto, La Mantia non molla: «L’alternativa, dunque, era non aprire proprio. Almeno dentro di me avrei avuto meno rimorsi. Perché oggi, nonostante tutto, mi sento in dovere di rimanere aperto».
Filippo La Mantia
SE NON SI LAVORA COME SI PAGANO I CONTI?
Un nuovo schiaffo per i ristoratori, dopo la chiusura anticipata alle 18: «Diciamo che i contributi sono pochissima cosa rispetto ai costi fissi che un’azienda come la mia ha giornalmente – spiega La Mantia - Inoltre, è bene evidenziare che noi ristoratori abbiamo oggi da saldare i costi del mese scorso e di quando siamo stati totalmente chiusi durante il lockdown primaverile. A noi interessa lavorare, noi vogliamo fare lavorare i nostri dipendenti e dare da mangiare ai nostri clienti. E poi pagare dipendenti e fornitori. Questo mi interessa e questo però non posso fare».
Perché, naturalmente, la chiusura anticipata non significa meno spese. Anzi: «Le spese rimangono. Si pensi solamente alle spese di sanificazione del locale che noi facciamo due volte al giorno e che ci costano settanta mila euro l'anno».
Problematiche che La Mantia aveva detto fuori dai denti già la scorsa estate quando aveva annunciato il “trasloco” del suo ristorante milanese in uno spazio più piccolo: «Chiuderò, perché la situazione attuale non permette a un ristorante così grande di sopravvivere – aveva spiegato - Cambierò location. È un po’ come fare un trasloco, vado ad abitare in un appartamento più piccolo». Il motivo? Il Covid. Ma non, in questo caso, per la mancanza di clienti. Bensì per tutto ciò che la pandemia ha stoppato: eventi, cene aziendali e consulenze: «Tra moda e architettura qui a Milano facevamo una media di 80 eventi l’anno, li ho persi tutti. Le consulenze si sono ridotte del 50% rispetto al periodo pre-coronavirus, così come gli show-cooking e simili». Il tutto con un impatto così forte che La Mantia ha dovuto cambiare strategia.
SIAMO IN REGOLA CON I PROTOCOLLI, PERCHÉ CHIUDERCI ALLORA?
Ed è proprio questo il punto. La Mantia, come tanti suoi colleghi, non riesce a digerire il fatto che dopo i tanti sforzi richiesti, e fatti, dai ristoranti per poter lavorare in sicurezza, il Governo non permetta di lavorare: «I ristoranti - ha sottolineato - sono luoghi sicuri, dove il contagio non avviene, anche perché abbiamo attuato tutti i protocolli di sicurezza con un grande dispendio di risorse economiche. Sarebbe stato preferibile chiudere tutto 24 h su 24 h e non includere i ristoratori nel comparto della movida e disporre la chiusura alle 18. Il mio ristorante fino a sabato scorso era frequentato da clienti ma nel rispetto delle disposizioni del governo e con i distanziamenti previsti. Abbiamo fatto degli sforzi e ora siamo costretti a chiudere alle 18».
IN PIÙ COSÌ I CLIENTI HANNO ANCORA PIÙ PAURA
Senza dimenticare che in questo modo è montata la paura dei clienti nel frequentare i ristoranti: «Se fino alla settimana scorsa i nostri clienti sono riusciti a superare la “paura”, la barriera di uscire e andare a cena fuori, ora con il pranzo è ancora più difficile – spiega il cuoco - Nel mio ristorante abbiamo una media di sole 20 persone a pranzo. La gente ora preferisce rimanere a casa usufruendo dei servizi di consegna a domicilio».
IL DELIVERY AUMENTA, MA NON CI COPRO I COSTI
E a proposito di delivery: «Stiamo ampliando il delivery e l’asporto dove abbiamo certamente più richieste – racconta La Mantia – Un’iniziativa che avevamo intrapreso a marzo scorso con il lockdown», ha spiegato La Mantia sottolineando però che «così sarà praticamente impossibile coprire i costi».
Costi che non riguardano, naturalmente solo il ristorante: «Premesso che la salute - ha continuato La Mantia - è la prima cosa di cui tutti noi tutti dobbiamo disporre. Bene dunque utilizzare tutte le precauzioni: mascherine, sanificazione, accortezza nello svolgere il proprio lavoro. Ma oggi il lavoro del cuoco e del ristoratore, tra i più antichi mestieri che abbiamo, è stato depennato in maniera totale. Personalmente rimango incredulo di un procedimento di questo tipo. Quando si ferma un ristorante, si ferma anche tutta la catena degli approvvigionamenti».
UN COMPARTO CAPRO ESPIATORIO
Tanta amarezza, dunque, per il fatto che il comparto sia stato utilizzato come capro espiatorio, invece di guardare anche altrove: «Ieri alle 18 ho finito di lavorare e fuori al mio locale c’erano ragazzi in strada, senza mascherina, che giocavano. Non ci sono controlli. Quindi gli sforzi che noi ristoratori stiamo facendo ogni giorno, soprattutto in termini economici, sono vanificati da quello che c’è in giro».
Ma, nonostante tutto, La Mantia non molla: «L’alternativa, dunque, era non aprire proprio. Almeno dentro di me avrei avuto meno rimorsi. Perché oggi, nonostante tutto, mi sento in dovere di rimanere aperto».
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Alberto Lupini
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