Chef Tamani aggredito da 4 malviventi «Ho pensato di morire»
Un altro ristoratore di fama, dopo Gino Sorbillo, finisce sulle pagine di cronaca nera. Questa volta è toccato allo chef Romano Tamani che nel suo ristorante Ambasciata è stato sequestrato e picchiato
23 gennaio 2019 | 11:23
Il settantacinquenne, che gestisce il locale stellato di Quistello (Mn) con il fratello Francesco, ha raccontato al Corriere della Sera: «Quando dopo avermi legato e imbavagliato hanno iniziato a picchiarmi ho pensato che sarei morto lì, sul pavimento del mio ristorante fra i vetri dei quadri andati in frantumi».
«Poi mentre ero riverso sul pavimento hanno iniziato a colpirmi a calci nella pancia chiedendomi ossessivamente dove fosse la cassaforte. Ma qui non c’è - spiega Tamani - perché nessuno paga più in contanti e oggi non si conservano grandi somme di danaro». I rapinatori hanno comunque dato la caccia alla cassaforte o comunque ai soldi che loro pensavano ci fossero. «Nella foga hanno distrutto quadri e ricordi di una vita».
La notizia, al di là della violenta aggressione, ha fatto scalpore perché l’Ambasciata, fondato nel 1978, è un pezzo di storia della cucina padana e mantovana e ha tuttora mantenuto quel clima antico. Un ristorante che ha visto sedersi ai tavoli nomi di spicco come Francesco Cossiga e Papa Giovanni Paolo II, e artisti quali Lucio Dalla, per assaggiare piatti celebri d’ispirazione rinascimentale come la Faraona del vicariato di Quistello.
«I rapinatori sono entrati anche nel mio appartamento al piano superiore. Anche lì hanno messo tutto a soqquadro, rovesciato il materasso, svuotato gli armadi e i cassetti». Alla fine sono fuggiti con un bottino formato dalle poche banconote che Tamani aveva nel portafoglio, qualche pregiata bottiglia di vino e un paio di carte di credito appoggiate sul comodino della camera da letto. «Su una c’era appuntato sopra il codice, così sono riusciti a prelevare del denaro da alcuni sportelli bancomat di Modena, Bologna e Castelvetro prima che potessi chiamare la mia banca e bloccarla».
«Quando sono andati via abbandonandomi sul pavimento mi sono trascinato fino all’ingresso e ho aperto la porta. Adesso ogni volta che chiudo gli occhi ho paura non riesco più a essere tranquillo né dentro casa né nel mio ristorante, questi briganti mi hanno rubato la serenità».
«L'aggressione avvenuta ai danni dello chef Romano Tamani - spiega la Fipe in una nota ufficiale - testimonia ancora una volta il fatto che bar e ristoranti in Italia vengono spesso lasciati al loro destino quando si parla di sicurezza e presidio del territorio. I pubblici esercizi sono pressoché quotidianamente al centro di episodi di delinquenza e criminalità, che in diversi casi hanno anche avuto esiti tragici, come la tragica notte nella tabaccheria di Budrio ci ricorda ancora. Esprimendo tutto il nostro sostegno a Romano Tamani, torniamo a chiedere con forza alle istituzioni un più capillare presidio sul territorio in difesa di una categoria di imprenditori che svolgono anche un'importante funzione sociale».
Romano Tamani
Tutto è accaduto domenica sera quando il locale era chiuso; quattro uomini con i volti coperti da passamontagna e cappucci si sono introdotti tenendolo in ostaggio per oltre un’ora. «Avevano l’accento dell’est Europa - ricorda - sembravano giovani e non credo fossero armati, ma del resto non gli serviva esserlo. Erano circa le 20.30. Stavo uscendo per fare una passeggiata e incontrare degli amici quando un uomo si è avvicinato e mi ha aggredito sul portone di casa, riuscendo poi a scaraventarmi sulle scale dell’ingresso. Altri tre mi hanno circondato e bloccato le mani, la testa e la bocca col nastro adesivo, quindi mi hanno trascinato dentro al ristorante, non riuscivo neanche a respirare, temevo mi venisse un infarto di lì a poco».«Poi mentre ero riverso sul pavimento hanno iniziato a colpirmi a calci nella pancia chiedendomi ossessivamente dove fosse la cassaforte. Ma qui non c’è - spiega Tamani - perché nessuno paga più in contanti e oggi non si conservano grandi somme di danaro». I rapinatori hanno comunque dato la caccia alla cassaforte o comunque ai soldi che loro pensavano ci fossero. «Nella foga hanno distrutto quadri e ricordi di una vita».
La notizia, al di là della violenta aggressione, ha fatto scalpore perché l’Ambasciata, fondato nel 1978, è un pezzo di storia della cucina padana e mantovana e ha tuttora mantenuto quel clima antico. Un ristorante che ha visto sedersi ai tavoli nomi di spicco come Francesco Cossiga e Papa Giovanni Paolo II, e artisti quali Lucio Dalla, per assaggiare piatti celebri d’ispirazione rinascimentale come la Faraona del vicariato di Quistello.
«I rapinatori sono entrati anche nel mio appartamento al piano superiore. Anche lì hanno messo tutto a soqquadro, rovesciato il materasso, svuotato gli armadi e i cassetti». Alla fine sono fuggiti con un bottino formato dalle poche banconote che Tamani aveva nel portafoglio, qualche pregiata bottiglia di vino e un paio di carte di credito appoggiate sul comodino della camera da letto. «Su una c’era appuntato sopra il codice, così sono riusciti a prelevare del denaro da alcuni sportelli bancomat di Modena, Bologna e Castelvetro prima che potessi chiamare la mia banca e bloccarla».
«Quando sono andati via abbandonandomi sul pavimento mi sono trascinato fino all’ingresso e ho aperto la porta. Adesso ogni volta che chiudo gli occhi ho paura non riesco più a essere tranquillo né dentro casa né nel mio ristorante, questi briganti mi hanno rubato la serenità».
«L'aggressione avvenuta ai danni dello chef Romano Tamani - spiega la Fipe in una nota ufficiale - testimonia ancora una volta il fatto che bar e ristoranti in Italia vengono spesso lasciati al loro destino quando si parla di sicurezza e presidio del territorio. I pubblici esercizi sono pressoché quotidianamente al centro di episodi di delinquenza e criminalità, che in diversi casi hanno anche avuto esiti tragici, come la tragica notte nella tabaccheria di Budrio ci ricorda ancora. Esprimendo tutto il nostro sostegno a Romano Tamani, torniamo a chiedere con forza alle istituzioni un più capillare presidio sul territorio in difesa di una categoria di imprenditori che svolgono anche un'importante funzione sociale».
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Alberto Lupini
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