Borghese sta con i giovani: Senza prospettive serie si allontanano dalla cucina
Il noto chef, in un'intervista al Corriere della Sera, analizza la penuria di personale nel mondo dell'accoglienza facendo una sorta di mea culpa e spiegando che le esigenze dei ragazzi vanno assecondate
Ormai da diverso tempo come Italia a Tavola stiamo indagando sui motivi che hanno portato il mondo dell'accoglienza a rimanere a corto di personale proprio nel momento della ripartenza, cioè da quest'estate perchè è da lì che il mercato è ripartito ed è stato a quel punto che è stato lanciato l'allarme. Ovviamente la pandemia ha giocato un ruolo decisivo, ma ci sono altri temi come i programmi degli istituti scolastici vetusti e persone (anche professionisti) che non vogliono più fare questo lavoro. Ma in primis mancano i giovani - accusati di pigrizia - e il noto chef, Alessandro Borghese si schiera più dalla loro parte che contro in un'intervista al Corriere della Sera.
La denuncia di Borghese
«Sono alla perenne ricerca di collaboratori - ha attaccato Borghese - vorrei tenere aperto un giorno in più, il martedì, e aggiungere il pranzo anche in settimana. Ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala. Non credo che la figura del cuoco sia in crisi, ma ci si è accorti che non è un lavoro tutto televisione e luccichii. Si è capito che è faticoso e logorante. E mentre la mia generazione è cresciuta lavorando a ritmi pazzeschi, oggi è cambiata la mentalità: chi si affaccia a questa professione vuole garanzie. Stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita. In cambio del sacrificio di tempo, i giovani chiedono certezze e gratificazioni. In effetti prima questo mestiere era sottopagato: oggi i ragazzi non lo accettano».
Voce fuori dal coro
Parole che arrivano un po' a sorpresa, va detto, perché nelle nostre interviste a cuochi, sommelier, barman, pasticceri i toni erano piuttosto scocciati: i docenti insegnano male, le scuole sono indietro, ma la maggior parte dei ragazzi non ha più voglia di fare sacrifici in questo mestiere. Un mestiere che, è stato ribadito fino alla noia, richiede impegno h24, 7 su 7, 365 giorni all'anno; un mestiere che non conosce domeniche e festività, che chiude tardi la sera ed è esclusivo. E se fosse che è proprio questo un concetto ormai superato, vecchio, inefficace? Borghese ha risposto affermativo proponendo delle soluzioni per ridare il giusto appeal alla cucina, dopo il boom mediatico degli ultimi anni.
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120mila lavoratori hanno cambiato mestiere
Che lo dica Borghese, arcinoto, fa bene perchè scuote le coscienze e l'ambiente, ma la risposta concreta era già stata data da molti professionisti meno noti che avevano abbandonato bar e ristoranti per via di una situazione traballante, ma soprattutto perchè avevano scoperto quanto è bello starsene in famiglia.
Sono ben 120mila lavoratori a tempo indeterminato che durante la pandemia hanno deciso di cambiare mestiere, stanchi degli orari logoranti e degli stipendi bassi, non sono ancora stati rimpiazzati (dati Fipe). E se l’estate è stata affrontata con gli stagionali, ora il problema si ripropone: la Federazione italiana pubblici esercizi parla di 40mila professionisti che mancano all’appello nel mese di ottobre, divisi tra camerieri di sala, cuochi e aiuto cuochi, pizzaioli, baristi.
Il tempo è la vera moneta
Borghese, entra nel merito della questione "personale", cercando le cause di questo allontanamento. «Con le chiusure tante persone hanno avuto la possibilità di stare in famiglia. E hanno cambiato mestiere per avere più tempo. Il tempo, oggi, è la vera moneta. La mia stessa brigata si è rivoluzionata radicalmente: sono andate via figure che stavano con me da più di dieci anni, sono tornate nelle loro regioni d’origine, dove hanno scelto un lavoro che richiedesse meno fatica psicologica, mentale e fisica».
E qui, la svolta. Alla domanda: "Bisogna ripensare la professione?", Borghese risponde. «Sicuramente bisogna lavorare in modo diverso. Sta già succedendo: io ero aperto sette giorni su sette pre-pandemia, adesso cinque. Vorrei tornare a sei, ma comunque terrò chiuso un giorno. Il riposo e i turni sono fondamentali e noi chef, che siamo brand ambassador della cucina italiana, dobbiamo ascoltare le richieste dei ragazzi e delle ragazze che rendono possibile il nostro lavoro».
Ma come si può rendere ancora appetibile questo mestiere? «Bisogna essere datori di lavoro seri, dare prospettive. Se vogliamo che questo settore sia centrale per l’Italia è l’unica strada. Senza personale qualificato non andiamo da nessuna parte, se si trovano male i clienti non tornano».
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Alberto Lupini
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