La prima firmataria del disegno di legge è la leghista Barbara Saltamartini; il testo è composto di due soli articoli e abroga i due che hanno
liberalizzato le aperture dei negozi e in particolare l'articolo 31 del cosiddetto
"Salva Italia" varato dal governo Monti, che aveva introdotto su questo fronte la massima autonomia da parte degli esercizi.
Il testo attuale dice che “le attività commerciali (...) e somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza il rispetto di orari di apertura e di chiusura, dell'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”.
E il nuovo testo, cosa dice? Chiusura obbligatoria di domenica con il compito di studiare un nuovo regolamento che spetterà a Comuni e Regioni. Tra le regole, un numero massimo di aperture che non dovrà superare le 8 nell’arco dei dodici mesi.
"Le regioni, d'intesa con gli enti locali - spiega il ddl - adottano un piano per la regolazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali di cui al comma 1 che prevede l'obbligo della chiusura domenicale e festiva dell'esercizio. Nel piano adottato ai sensi del comma 4 sono individuati i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Tali giorni comprendono le domeniche del mese di dicembre, nonché ulteriori quattro domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno".
Pronta arriva la risposta soddisfatta di Confesercenti: «Le liberalizzazioni delle aperture delle attività commerciali, introdotte dal governo Monti a partire dal 1 gennaio 2012 - si legge in una nota ufficiale - avrebbero dovuto dare una spinta ai consumi, grazie all’aumento delle opportunità di acquisto per i consumatori. Ma che non sembra essersi trasformato in acquisti reali: nel 2017 le vendite del commercio al dettaglio sono state inferiori di oltre 5 miliardi di euro ai livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione».
«È importante - prosegue la nota - arrivare ad una revisione dell’attuale regime con una norma condivisa e sostenibile. Noi non chiediamo di stare chiusi sempre, ma di restare aperti solo quando e dove necessario, come ad esempio nelle località turistiche. Fondamentale è passare dalla deregulation totale ad un minimo di regolamentazione, ragionevole e assolutamente compatibile con le prassi europee e puntare a correggere una distorsione che ha compresso i diritti di piccoli imprenditori e di lavoratori senza alcun vero vantaggio per economia ed occupazione, visto che ha causato indirettamente la chiusura di almeno 50mila negozi».
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Alberto Lupini