Anche le mance sono soggette a tassazione. Ad affermarlo è una sentenza della Corte di Cassazione che, legge alla mano, è intervenuta su un caso davvero singolare andando a normare quella che è una delle fonti d’entrata più ambite da camerieri, maitre, sommelier e operatori di sala. E che ora rientra nel “reddito da lavoro dipendente”, non più limitato allo stipendio corrisposto dal datore di lavoro.
84mila euro di mance non dichiarate. E l'Agenzia delle Entrate batte cassa
Ma andiamo con ordine. La vicenda su cui si è espressa la Suprema Corte è quella che mette di fronte l’Agenzia delle Entrate e un capo ricevimento assunto da un hotel 5 stelle lusso della Costa Smeralda. Secondo il Fisco, gli 84mila euro che il lavoratore era riuscito a racimolare in un solo anno attraverso le mance dei generosi vacanzieri erano da intendersi come reddito da lavoro non dichiarato dal dipendente. Sintetizzando: evasione fiscale. Una presa di posizione che aveva portato il dipendente della struttura ai giudici della Commissione tributaria regionale. Il primo round aveva dato ragione al lavoratore: secondo i giudici tributari le mance, da intendersi come regalie, non potevano essere considerate tassabili perché non comprese nel reddito da lavoro dipendente. A motivare la sentenza, la natura aleatoria delle mance e che quest’ultime arrivavano direttamente e spontaneamente dal cliente senza il coinvolgimento del datore di lavoro.
La sentenza della Cassazione
Per la Cassazione, però, le cose stanno in un modo diverso. I guadagni delle mance non condivisi con il Fisco rientrano nel quadro normativo sopra descritto e quindi concorrono a determinare il reddito da lavoro; sia ai fini fiscali che contributivi. «Le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del Dpr 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione», si legge nel testo della sentenza. E questo nonostante il fatto che proprio una circolare dell’Agenzia delle Entrate escluda dalla tassazione le donazioni di modico valore. E quindi, che si fa?
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Valerio Beltrami (Amira): «Quasi impossibile regolamentare un gesto spontaneo»
«La mancia esiste dai tempi che furono. E in tanti paesi è quasi obbligatoria», afferma Valerio Beltrami, presidente di Amira, l’associazione che raggruppa i maitre italiani di ristoranti e alberghi. Che conseguenze potrebbe avere la decisione della Cassazione, quindi? «Le rispondo in modo ironico: se la mancia viene tassata, allora che lo sia anche l’elemosina ai mendicanti», dice Beltrami. Al di là dell’ironia, però, c’è una questione pratica che emerge, ossia: la gestione di un’abitudine molto diffusa soprattutto fra i clienti esteri e che risulta difficile da affrontare diversamente da quanto avviene attualmente. «Arrivare a regolamentare un gesto come quello della mancia sarà quasi impossibile a mio avviso. La soluzione più semplice sarebbe renderla obbligatoria, così come avviene negli Usa dove in molti locali la percentuale della tip sul conto finale è comunicata direttamente nel menu. Ma questo rischierebbe di far venire meno la volontarietà del gesto, che va a premiare il singolo lavoratore in modo del tutto spontaneo per il servizio ricevuto», spiega Beltrami.
Il rischioso contraccolpo sui salari
Il rischio, poi, è che una eventuale regolarizzazione della mancia si trasformi in un boomerang per il lavoratore: «Gli stipendi, al momento, sono già quello che sono: 1.500 euro al mese per un caposervizio; non molti. Se la mancia venisse regolamentata, cosa impedirebbe al datore di lavoro di abbassare il salario a fronte di un’altra entrata direttamente dalle tasche dei clienti? Che poi, dipende dai clienti. Gli italiani, per esempio, la mancia difficilmente la lasciano», conclude Beltrami.
Una decisione che allontana ancor di più il personale (che non si trova)
La questione salario-mance impatta una realtà occupazionale che, dalle riaperture di aprile in poi e soprattutto durante la stagione estiva, racconta di una mancanza cronica di personale nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità. «E se anche sulle mance si dovranno pagare le tasse, allora l’appeal della professione, soprattutto per i giovani che su queste regalie ci contano per arrotondare uno stipendio peraltro molto basso, diminuirà in modo definitivo», commenta Marco Reitano, presidente di Noi di Sala. Insomma, la situazione va ben analizzata. Il contraccolpo su un settore in ripresa ma ancora esposto ad alcune fragilità è dietro l’angolo. Anche da un punto di vista operativo: «Chi dovrebbe pagarle le tasse? Il cameriere oppure il cliente? E come si dovrebbe tracciare questa “transazione” fra cliente e lavoratore? Attraverso una ricevuta? Questioni che rischiano di aggravare un’offerta di lavoro ai minimi storici», prosegue Reitano.
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Alberto Lupini
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