Altro che scontrini gonfiati, in estate i ristoranti hanno sostenuto il Sud Italia
L'Horeca è stata al centro di una diatriba sui costi ma, dati alla mano, ha rappresentato una risorsa di 22,6 miliardi di euro, che però ora, secondo la Fipe, va preservata e gestita attraverso un programma di investimenti
Le belle prospettive sul numero delle presenze per l'estate 2023, quella che avrebbe dovuto sancire la ripresa del turismo italiano, c'erano tutte, almeno sulla carta. Ma la realtà è stata un'altra e con il caro vita (tra prezzi alle stelle per benzina, biglietti aerei, hotel, ombrelloni… e chi più ne ha più ne metta) i numeri dei turisti sono stati ritoccati al ribasso e bar e ristoranti sono stati spesso (a torto) presi come vero e proprio capro espiatorio dopo i famosi toast a due euro e via dicendo. Ma la verità è che, proprio, la ristorazione ha rappresentato (e rappresenta) un vero e proprio volano di crescita per l'Italia, soprattutto al Sud e in questa estate a tratti, appunto, difficile. Infatti, «la stagione estiva che si è appena conclusa ha confermato che la ristorazione rappresenta uno dei maggiori propulsori di crescita per l'economia del Mezzogiorno - ha detto Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana pubblici esercizi, in audizione alla Commissione V “Bilancio, Tesoro e programmazione” della Camera dei Deputati, riunitasi (nell'ambito del procedimento di conversione del Decreto Legge n. 124/2023, c.d. “D.L. “SUD”) per discutere delle politiche di coesione per il rilancio dell'economia nelle aree del Sud del Paese. Una risorsa preziosa dal valore complessivo di 22,6 miliardi di euro, che però va preservata e gestita attraverso un programma di investimenti strutturato che incentivi il rinnovamento delle aziende e supporti la loro produttività».
Calugi (Fipe): «Occorre un piano di investimenti per bar e ristoranti e incentivi per le pmi»
Calugi ha poi aggiunto che «come Federazione abbiamo accolto con soddisfazione gli interventi di semplificazione dei procedimenti amministrativi inerenti all'esercizio delle attività economiche nella Zes Unica, che potranno dare slancio alla crescita del territorio e allo sviluppo di diverse realtà imprenditoriali. Allo stesso tempo, riteniamo necessario un piano di investimenti che promuova programmi di formazione del personale e permetta interventi strutturali sulla destagionalizzazione del settore turistico in generale. In questo senso, è fondamentale che gli incentivi previsti siano fruibili anche dalle micro e piccole imprese, vero motore di crescita non solo del Sud Italia, ma dell'intero Paese. Nell'immediato occorre modificare la disciplina del credito d'imposta per l'acquisto dei beni strumentali nella Zes Unica prevedendo che siano finanziabili anche i progetti di investimento di valore inferiore alla soglia attualmente prevista, abbassandola da 200mila a 50mila euro».
La gogna mediatica crocifigge i ristoratori: si sta cercando un capro espiatorio?
E tutto questo, come dicevamo, in un'estate che poi si è rivelata difficile sotto molti aspetti per ristoranti, bar e hotel. Per un'intera estate, infatti, siamo stati bombardati da un filone di notizie, tutte simili tra loro, che mettevano nel mirino gli esercenti del settore dell'ospitalità, rei di aver aumentato i prezzi oltre ogni ragionevolezza. Era tutto un pullulare di scontrini ritenuti troppo pesanti, colazioni costosissime, coperti considerati fuori luogo, fino a culminare con l'iconico “taglio del toast” alla modica cifra di 2 euro. In un calderone infuocato di commenti, fomentato dalla benzina dall'hate speech tipico dell'epoca social, occorre fermarsi un momento e fare una riflessione attorno a quello che, probabilmente, è stato solo il capro espiatorio di una rabbia sociale scaturita dalle impennate inflattive, senza per altro che l'Horeca fosse effettivamente il settore con i prezzi più gonfiati in un contesto di rialzi generalizzato. Anzi tutt'altro, come spiegato da Calugi, i rialzi su menu e listini prezzi dei bar «sono rimasti abbondantemente sotto la dinamica inflattiva nel corso degli ultimi 24 mesi». In altre parole, «a fronte di materie prime, energia e altri costi crescenti - prosegue Calugi - la ristorazione ha registrato aumenti inferiori, compensando con l'erosione dei margini il differenziale». Dati dell'Istat alla mano, infatti, si nota come complessivamente negli ultimi due anni l'inflazione abbia pompato i prezzi del 14% in tutta l'economia, mentre i rincari della ristorazione si siano assestati intorno all'11%”.
Horeca e polemiche, i prezzi degli alimentari sono cresciuti quasi il doppio rispetto a quelli della ristorazione
Dunque è lecito chiedersi da dove sia scaturita questa lunga polemica che ha portato il settore nell'occhio del ciclone mediatico. Facendo un passo all'indietro, si può partire dall'assunto secondo il quale «a nessun imprenditore piace aumentare i prezzi, con il rischio di perdere clientela», come correttamente segnalato da Calugi. Contando che alcune materie prime hanno registrato delle impennate difficilmente assorbibili per gli esercenti (si pensi alla pasta che è aumentata di quasi il 35% o alcuni frutti di mare e la carne di maiale che sfiorano il +30%) in generale i costi del settore della ristorazione rimangono bassi rispetto alla dinamica inflattiva anche secondo le ultime cifre ufficiali: come riportato dal centro studi Fipe, nel 2022 l'aumento generale dei prezzi si è attestato al +8,2%, quello di bar, ristoranti, pizzerie e mense invece si è fermato al +6,8%. E, dato ancor più significativo, l'aumento dei prezzi del settore Horeca è quasi la metà di quello dei beni alimentari, che impenna al +12,1%. Questi numeri danno il quadro di quanto effettivamente, scavando un po' più a fondo, la situazione del mercato non dia adito a tutte le polemiche che hanno popolato social e talk show.
Non è tuttavia da negare che esistono delle casistiche di comportamenti poco virtuosi da parte dei proprietari di attività. Non analizzando il caso specifico del famigerato toast, ma astraendo e generalizzando il ragionamento: far prevalere il guadagno immediato sulla coltivazione di un patrimonio come la clientela non è di per sé una scelta vincente dal punto di vista commerciale. Non tutti gli esercenti riescono a equilibrare una sacrosanta attenzione alle cifre con quello che dovrebbe essere un giusto riguardo dovuto al cliente, a prescindere dalla remunerazione. Ciò non toglie che, come correttamente notato da Calugi, «le polemiche nate a valle di quei comportamenti, non rendono giustizia a quel 99% fra i 300.000 bar e ristoranti di questo Paese, che quel toast o quella pizza ogni giorno la tagliano e la fanno condividere gratuitamente».
Bisogna, in conclusione, tenere a mente, per questo e altri casi che scatenano le arene social, che cadere nella trappola di pensiero che vuole la parte per il tutto, il singolo caso che infanga l'intera categoria, è sempre errato. Soprattutto se, come fatto qui sopra, consultando dati e statistiche, non si trova alcun buon motivo per accusare un comparto, come quello dei ristoratori, di essere degli speculatori. Non vale la pena azionare la macchina del fango con poco riguardo, in particolar modo se si parla di accoglienza in un luogo vocato al turismo come l'Italia, cioè attaccando una risorsa economica fondamentale per il Paese, che più di altre può essere lesa dai danni di immagini scaturiti dalle malelingue, talvolta poco fondate.
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Alberto Lupini