Come spesso accade in Italia, realtà che non si parlano e non dialogano,
la scuola e la formazione sono fattori importanti per il Paese, soprattutto in una realtà in cui la disoccupazione giovanile è a livelli record. Il turismo, uno dei pochi lavori manuali rimasti, darebbe una accelerata al Pil, tant’è che anche l’Istat “vende” i mesi estivi come periodi in cui lo stesso ha un’impennata, cioè quando il turismo raggiunge livelli di incoming notevoli. Si ha l’impressione che ci si muova in ordine sparso, ci si muove sempre dinanzi ad un’emergenza continua. Mentre di fatto in pochi hanno il coraggio di affrontare i veri problemi.
Le scuole stanno in piedi, nonostante le infrastrutture siano fatiscenti, i laboratori di cucina siano senza strumenti moderni, i ragazzi di sala siano formati aprendo bottiglie di vino fasulle o peggio fanno cocktail con acque colorate, cioè senza liquori veri. Le scuole promuovono in massa gli alunni per timore di non avere iscritti, e quindi a rischio di chiusure o accorpamenti, e che i docenti siano spogliati della loro autorevolezza. Le imprese, soprattutto le grandi del settore, fanno man bassa degli stagisti in quanto vera e propria possibilità di forza lavoro a costo quasi zero.
D’altro canto tanti problemi sembrano irrisolvibili, anche perché nelle stesse associazioni sindacali d’impresa, commercianti, industriali, artigiani, le grandi aziende sono al fianco delle piccole e piccolissime e spesso hanno numeri di rappresentanza maggiori, chiaro che il ristorante a conduzione familiare con due o tre collaboratori ha esigenze diverse rispetto ad Autogrill, ma tant’è che gli stessi sono seduti allo stesso tavolo delle trattative a Roma. Alcuni problemi come l’ammodernamento delle strutture scolastiche sarebbe un gioco da ragazzi se solo si volesse, non è vero in fondo che il sistema produttivo vuole giovani più preparati. E allora almeno i grandi perché non intervengono? E sui voucher tanto utili in un settore con tempi di lavoro stagionali perché non si è intervenuto con forza sul governo?
Infatti. Solo questa settimana ben tre convegni importanti del settore ristorazione, praticamente una buona fetta della realtà d’impresa e di associazionismo del Paese, hanno posto al centro dei loro convegni stessi, la questione di questa nuova modalità scolastica e formativa dell’alternanza scuola-lavoro, cioè il forte impulso che il governo ha voluto dare alla formazione professionale arricchendola con una forte dose di esperienza pratica. A mio giudizio una grande opportunità per tutti.
L’Apci, Associazione professionali cuochi italiani, presidente Roberto Carcangiu, ha riunito i suoi stati maggiori e una fetta di oltre 200 associati a Trento; la Fic, Federazione italiana cuochi, presidente Rocco Pozzulo, ha riunito le sue forze a Napoli; il sindacato dei Pubblici Esercizi di Milano Epam-Fipe-Confcommercio, presidente Lino Stoppani, ha svolto la sua assemblea a Milano in Corso Venezia (tra l’altro in questo convegno ha partecipato come relatore anche Claudio Sadler presidente de Le Soste, una delle più importanti associazioni di ristoranti in Italia). Tutti e tre i convegni avevano come momento centrale la questione dell’alternanza scuola-lavoro e più in generale la professione dei Cuochi.
A Trento il ministro Poletti ha inviato un video sull’argomento all’Apci riconoscendo alla figura del Cuoco un valore artigianale e sociale; a Napoli uomini di governo e la Rai; a Milano personalità di Confcommercio e regionali, tra cui l’assessore Valentina Aprea, che obiettivamente molto ha fatto per adattare e definire le nuove norme scolastiche almeno per la regione Lombardia.
Personalmente per ovvi motivi logistici ho partecipato al convegno di Milano. Discutendo con Claudio Sadler, che mi chiedeva cosa ne pensavo di tutta la questione, una prima valutazione è che in qualche maniera il sistema scolastico a cominciare dai docenti non conosce il mondo del lavoro: un mondo quello dell’accoglienza e della ristorazione che è cambiato moltissimo, sempre più distante dal modello scolastico attuale. Tecnologia e tecniche in cucina, nuove conoscenze scientifiche sull’alimentazione, nuovi ingredienti, nuovi bisogni della clientela sono le nuove realtà, oltre naturalmente alla comunicazione, web e social inclusi, tutte materie su cui investire e formare gli alunni. Ma purtroppo, come sottolineava Sadler, il rischio che i costi di una formazione moderna non siano sostenibili da parte delle scuole del settore e sono probabilmente un grosso freno, da un lato le ore di pratica stanno diminuendo e in quelle che si attuano non sempre sono efficaci, per esempio, l’allievo lo si addestra a tagliare le verdure, così si trascorrono molte ore nei laboratori, ma ormai le verdure si acquistano già tagliate o si possono ottenere con facilità con “cutter” professionali.
Vorrei invece sottolineare un grande equivoco su cui anche le istituzioni non hanno la visione chiara, anzi forse è così: tutti, ma proprio tutti, sono convinti che la formazione professionale sia racchiusa nell’idea che il giovane debba imparare un mestiere. Certo è vero, ed è questo quello che noi imprenditori chiediamo alla scuola, ma in realtà non sta avvenendo questo, tant’è che, proprio per evidenti motivi di bilancio, l’alternanza scuola-lavoro, viene letto da molte imprese che il sistema scolastico stia trasferendo una parte della formazione attiva alle aziende. Cioè, “non abbiamo soldi per ristrutturare le cucine, per acquistare le materie prime, per pagare docenti professionisti, ecco che allora tu impresa mi aiuti a sostenere queste spese, ti mando l’allievo per 3-4 mesi e tu lo formi nella pratica, un aiuto concreto che con costi molto bassi dà una mano alla tua forza lavoro”. In altri grandi Paesi come Francia e Germania è già così da tempo, una visione dello stage moderna e concreta.
Questo è il grande equivoco alla base anche delle proteste studentesche. “Fate lavorare anche i ragazzi, ma insegnate loro qualcosa di vero del mestiere”. Sembrerebbe il messaggio intrinseco al sistema d’impresa. Risultato: gli studenti denunciano che la formazione non è lavare i piatti e che la gavetta è lontana dai loro desideri.
Perché tutto questo avvenga con un beneficio reale per la scuola, le aziende e i giovani, serve un nuovo vero patto sociale. La Cultura innanzitutto. L’impresa ha sì bisogno di un giovane cuoco, di un giovane addetto di sala o alla reception di un albergo, ma i ragazzi debbono essere motivati, sottolineava Sadler, si deve far vedere come si sfiletta un pesce, ma se il docente lo fa e gli studenti guardano, chiaro che quella pratica appassiona meno, il pesce non viene toccato e in una classe di 20-23 alunni ci vorrebbero almeno 15 pesci. Lezioni costose...
Altro grande problema è dato dalla divisione di cui oggi soffre il settore; le associazioni si guardano in cagnesco, non si parlano, si evitano, tant’è che parlano degli stessi problemi a 1.000 km di distanza l’una dall’altra.
Avanzo una proposta al sistema produttivo, a partire dalla Fipe (Federazione pubblici esercizi) ma coinvolgendo tutte le associazioni di categoria: pur lasciando che ogni associazione viva della propria storia, dei propri protagonismi, sulle questioni nazionali ma di grande rilievo per il Paese perché non aprire un tavolo in cui far affluire e discutere i grandi temi del turismo e dell’enogastronomia? Tavoli di lavoro in cui, come in questi casi, poter accogliere rappresentanti delle scuole e degli studenti e perché no anche della politica. Uno sforzo di democrazia che farebbe bene al Paese.