L'alternanza scuola-lavoro Un ponte per il futuro del Paese

Si tratta di un sistema che può risolvere l'impreparazione degli studenti prima di entrare nel mondo del lavoro, i quali però devono chiaramente essere motivati dalle aziende. Se funziona, a guadagnarci sarà il settore

27 ottobre 2017 | 09:01
di Matteo Scibilia
Sono stato ad Host, la nota esposizione del settore ospitalità presso la Fiera di Milano, e sono stato coinvolto anche in qualità di cuoco imprenditore in alcuni momenti di confronto sul tema presso gli spazi della Fipe Confcommercio. L’argomento è attuale in tutti i settori produttivi italiani e la Fipe si sta adoperando moltissimo per rapportarlo al mondo di cui è garante, i pubblici esercizi, ristoranti in testa.



Intanto di cosa si tratta. Il governo, sulla scia del Jobs Act, ha voluto affrontare il tema del rapporto tra scuola e mondo del lavoro partendo proprio da una necessità reale di quest’ultimo: le imprese hanno frequentemente lamentano la scarsa preparazione dei giovani appena entrati in una realtà lavorativa. Per la ristorazione è fondamentale lo stesso: è infatti necessario essere preparati non solo sulle materie tradizionali di cucina, ma anche in fatto di tecnologia, nel rapporto con i clienti (inteso anche come utilizzo del web e dei social), ma soprattutto per la dinamica di crescita professionale, perché la velocità dei cambiamenti e il bisogno di professionalità sono tanto pressanti da rendere difficile ai giovani l'inserimento nella nuova realtà lavorativa.

Se poi, come altre volte già sottolineato da queste pagine, la tv, con tutti i programmi di cucina ed i rispettivi cuochi-star, trasmette l’idea che in pochi mesi si possa diventare grandi chef, ecco che la strada si fa complessa e di difficile comprensione. Finalmente, il governo ha voluto imprimere, come in molti Paesi europei, un cambiamento di rotta per ovviare a questa difficoltà, e lo ha fatto con una soluzione precisa, lo "stage".

Alternanza scuola-lavoro significa che d’ora in poi i ragazzi delle scuole di avviamento professionale, statali e non, dovranno alternare momenti di studio a momenti di pratica lavorativa... E come non potrebbe essere diversamente? E non si tratta di poche giornate di pratica, no! Si tratta di mesi, un periodo pari alla metà del percorso scolastico annuale, rivolto agli studenti del secondo, del terzo e del quarto anno, quindi giovani tra i 15 e i 17 anni, che in questo modo si avvicinano in maniera reale al mondo del lavoro.

Non solo, una parte importante di questo percorso formativo prevede anche un vero e proprio momento di apprendistato con tanto di contratto tra azienda e alunno, sotto l’egida della scuola di appartenenza: un grande risultato, in linea con altri grandi Paesi europei... e con una piccola paga!

Bene, ci sarebbe da dire... invece no! Gli studenti hanno e stanno scioperando, con diverse manifestazioni, spesso con interventi anche della forza pubblica. Ha fatto il giro del web e dei giornali la foto di una ragazza con in mano un cartello che - trattando di uno degli aspetti più controversi della protesta - diceva: “Formazione non è lavare i piatti”.

In più occasioni la denuncia e la consequenziale protesta si sono concentrate proprio su questo tema: le imprese sono accusate di sfruttare gli studenti affidandogli compiti e ruoli poco consoni al loro percorso formativo... Quindi agli allievi cuochi pulire le pentole e i piatti, agli allievi di sala pulire e lavare bicchieri e anche pavimenti. Ma non è forse vero che negli uffici di altre professioni, come per avvocati e notai, coloro che fanno praticantato, gli stagisti o i nuovi assunti, facciano fotocopie o lavori considerati comunque “umili”?

Durante la mia esperienza in qualità di docente, ho spesso raccontato che anche i divi-chef della televisione hanno appreso il lavoro partendo dalle posizioni più semplici, poi con passione, sacrifici e voglia di fare sono diventati i vari Carlo Cracco o i Cannavacciuolo del momento, esempi da imitare.

Alternanza scuola-lavoro e disoccupazione giovanile in realtà vanno a braccetto: una buona formazione scolastica ed un minimo di praticantato possono far fronte al problema della disoccupazione. Le aziende dell’ospitalità, soprattutto i ristoranti, sono alla continua ricerca di personale qualificato, i ragazzi che rientrano in questa categoria è facile vadano all’estero, anzi, ci vengono “rubati” dai grandi ristoranti italiani in giro per il mondo.

Le scuole hanno la loro parte di responsabilità in questo: non sono preparate, non hanno le tecnologie, nemmeno quelle basilari che oggi si utilizzano nelle cucine, gli allievi di sala non conoscono una lingua straniera in maniera fluente, e i docenti spesso non sono preparati a rapportarsi con il mondo del lavoro o almeno, sperimentano raramente un confronto con esso.

Il risultato è che in molti casi sono i grandi gruppi e le grandi catene alberghiere ad accaparrarsi gli studenti e a farli stagisti, togliendoli alle piccole e medie realtà e agli artigiani del paese. Certamente si tratta di imprese più organizzate, hanno figure professionali che si occupano solo di questo genere di selezioni. Ed è altrettanto vero che per la segreteria di una scuola è più comodo gestire un rapporto con un utente che ospiterà 10 stagisti, piuttosto che con dieci diversi ristoranti che ne ospiteranno uno a testa.

In questa importante “rivoluzione” scolastica, tutti hanno le loro responsabilità. Anche le famiglie, dal canto loro, che desiderano i loro ragazzi diventino bravi cuochi, maitre, sommelier o manager dell'ospitalità. Bisogna che ognuno faccia uno sforzo di comprensione: un esempio? Anche se le aziende sono da una parte costrette a far fare la gavetta agli allievi, dall'altra parte possono motivarli premiando i migliori. Solo con questi compromessi l’alternanza scuola-lavoro sarà un successo e risolverà alcuni problemi del settore.

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Alberto Lupini


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