Viaggio nell’Aroma di Roma con i piatti di Giuseppe Di Iorio

È il ristorante dell’Hotel Manfredi con vista mozzafiato sul Colosseo. Per il menu, lo chef stellato ha reinterpreto i piatti dalla tradizione con nuovi metodi di cottura e nuovi accessori

20 luglio 2021 | 10:54
di Jerry Bortolan

In questa particolare e infuocata estate, con “liberi tutti” dopo i vari lockdown e nel pieno degli incontri per il campionato europeo di calcio, il settore della ristorazione ha ricominciato a fare il pieno di clienti italiani e registrare buone percentuali di turisti europei, per la felicità di imprenditori e chef del settore. Anche se con cautela, tutti sono scesi in campo con proprie strategie per centrare e offrire il massimo del godimento nei loro locali. Come è successo da Aroma, a Roma: sì, il gioco di parole rende subito l’idea di quello che si respirerà e si troverà sulla terrazza di questo unico rooftop, dell’Hotel Manfredi: è il ristorante che fa dialogare e nutre la fantasia dei clienti seduti ai suoi tavoli mentre guardano estasiati il magnifico e più antico anfiteatro del mondo, il Colosseo.

 

Vista impagabile e una cucina che emoziona

Quasi si tocca con mano tanto è vicino alla terrazza del ristorante e filtra lo skyline del vicino Foro romano con il Campidoglio che per effetto ottico avvicina la distanza dalla cupola di San Pietro che sembra che gli faccia ombra. Però, se questo sicuramente è il massimo per il valore aggiunto di un ristorante, da solo non basta. Mentre si guarda la storia che ha dominato il mondo per secoli, ha creato regole, piaceri e cultura, servono anche proposte che sappiano coniugare le due emozioni: quelle della mente e quelle del palato. Per fare viaggi gustosi e sensoriali ci vuole una grande cucina e uno chef con una sensibilità creativa e umana che sappia coniugare le due emozioni.

 

La stella Giuseppe Di Iorio

Giuseppe Di Iorio, lo chef stellato di Aroma, è andato oltre con un passo indietro ritornando al tradizionale e innovazione, e con due in avanti usando cervello, fantasia e tecnica non esasperata. Come lo straordinario “Risotto con le ostriche e rapa rossa” e la “Triglia ripiena al caprino con vellutata di piselli” o il “Filetto di bufalo, terrina di patate e peperoni”: sono piatti di una potenzialità emozionale che rimarranno nella memoria.

 

Per cui non siete ripartiti da zero - domando - ma, come diceva il grande Troisi, si ricomincia da tre...
Noi siamo pronti. Nei feedback delle prime sere, quando le ultime disposizioni governative ci hanno dato un po’ di continuità, mi sono confrontato con i clienti per sapere che cosa ne pensavano, se ci avevano trovato arrugginiti, differenti. Ci hanno risposto positivamente e questo è fondamentale nel rapporto che si instaura col cliente. Io credo che, in questo momento, sia vincente la scelta di valorizzare il made in Italy, la scelta di fare una cucina con alcuni piatti legati alla tradizione. Abbiamo ripensato a un’amatriciana, una carbonara, una zuppa di arzilla con un tocco di alta cucina per renderli meno aggressivi e superbi. Questa scelta ci ha permesso di avere il locale pieno con la clientela che ha risposto alla grande. Credo anche che il peggio sia passato, dobbiamo cercare di essere uniti. Chi ha avuto la forza di resistere, emotivamente ed economicamente, può vedere il futuro con uno stato d’animo fiducioso. Adesso mancandoci la clientela americana, ci siamo dedicati soprattutto ai clienti romani e italiani. Con la mia brigada abbiamo reinterpretato qualche piatto dalla tradizione per riportarlo ai giorni nostri con i nuovi metodi di cottura, con i nuovi accessori. In questa ripartenza, ho preferito non fare la “grand card” ma ho fatto tre menu, più uno vegetariano che ho chiamato “Colle Oppio” perché a fianco del ristorante abbiamo la meraviglia del parco del Colle Oppio, con la casa di Nerone, mentre i tre menu degustazione li ho chiamati come i capitelli del Colosseo.

 

Durante questo difficile periodo, hai mai pensato di abbandonare questo lavoro per farne un altro?
No, nel modo più assoluto. Penso sempre di fare il lavoro più bello del mondo e ne sono sempre più convinto. È stata dura resistere anche se due giorni alla settimana noi eravamo sempre aperti. Soprattutto il venerdì e il sabato grazie al fatto di essere anche una struttura ricettiva. Però è stata veramente dura perché in quel periodo non serviva più uno chef: serviva un motivatore per i ragazzi perché i soldi erano pochi o c’era la cassa integrazione. Poi, andavi a fare l’approvvigionamento e non c’era più nulla. Così, la maggior parte dei piccoli fornitori li abbiamo persi perché non hanno resistito alla crisi mentre la grande distribuzione non aveva più nulla di fresco. Perciò si faceva davvero fatica. In questo momento siamo ancora in una situazione di stallo dove non serve più un menu da presentare per una settimana, dieci giorni: oggi si lavora con quello che ti offre il mare, la terra, ma giornalmente. C’è un nuovo problema nella ristorazione. Questa pandemia ha dimezzato le brigate di cucina e la sala. I ragazzi che venivano da fuori sede a marzo se ne sono andati. Tutti noi pensavamo che con la nuova riapertura ci sarebbe stata tantissima gente che avrebbe cercato il posto di lavoro e, per noi, ci sarebbe stata tantissima scelta. Invece, è successo il contrario. Forse, la gente si è un po’ adagiata a stare a casa a fare nulla.

 

 

Cosa ne pensi di questa nuova tendenza approvata anche dall’Unione Europea sull’inserimento degli insetti in cucina?
Io ho già avuto diverse critiche perché mi è capitato di dire che se trovo un insetto in cucina chiamo la disinfestazione.

 

Il futuro lasciamolo ai posteri. Si parla sempre di cucina, parliamo anche di vino con Alessandro Grognale, grande esperto di vini e sommelier che ci stava ascoltando e gli chiedo cosa consiglierebbe di bere per sostenere questa nuova carta.
Dipende. Con il bufalo avrei suggerito un vino toscano, per esempio un merlot 2016, il Tosco, un rosso prezioso e di grande gusto per il palato con una nota un po’ speziata che aiuta e asciuga: è un matrimonio perfetto e nessuno la fa da padrone. Con il pesce consiglierei un ottimo Riesling dell’Alto Adige.

 

Immagino che nella tua carriera avrai bevuto qualche ettolitro di vino...
Qualche bel vino l’ho gustato: sempre cose interessanti di tutte le cantine del mondo, da etichette blasonate a quelle più piccole, ma delle vere chicche.

 

Adesso ti faccio una domanda difficile: ti piacerebbe di più un grande vino o un grande piatto?
Non voglio essere di parte, però un grande bicchiere di vino accompagnato anche solo da una bruschetta burro e alici rende tutto perfetto.

 

Agli chef chiedo sempre cosa vorrebbero mangiare, e tu cosa vorresti bere?
La domanda è difficile. Forse qualcosa che ancora non ho bevuto: o una grandissima Borgogna o un grande Champagne.


 

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Alberto Lupini


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