La stella di Aqua Crua oscilla tra gusto e provocazione
Lasciato il centro di Vicenza, zigzaghiamo per stradine poco battute su e giù per la collina: e questo il modo più naturale - l’autostrada avrebbe rovinato il contesto ormai prossimo - per giungere ad Aqua Crua
11 luglio 2018 | 10:10
di Marco Di Giovanni
Giuliano Baldessari e il suo staff in cucina
Prima di accomodarsi a tavola
Ci sistemiamo in camera, e intanto ci prepariamo a ciò che sappiamo aspettarci: sperimentazione, all’ennesima potenza, nella sua più autentica espressione. Giuliano ha voglia di osare per divertirsi, di illudere per giocare. E noi al gioco ci stiamo.
Il bello di andare a cena da Giuliano è che non serve parlar d’altro se non dei piatti che arrivano in tavola.
Arredamento semplice, minimal direi; menu con piatti descritti in maniera criptica («altrimenti noi a cosa serviamo?», mi spiega Mattia Ruffilli, giovane maitre ma già forte di esperienze di alto livello) e una cucina che “a vista” è dir poco: solo un grande cucchiaio rosso e un bancale d’acciaio per il passaggio dei piatti, poi è come se fosse parte integrante della sala, parte integrante, direi, dell’esperienza unica che attende il più o meno ignaro ospite.
Entrée
In tavola le prime entrée, servite a mo' di Trespolo. Un bignè di pizza fritta con farina di ceci, bottarga di cozze e crema di tahina, di notevole morbidezza: bello il fatto che il gusto della bottarga si armonizzi perfettamente nel complesso; poi una bresaola di pomodoro con rucola e parmigiano: il maitre inizialmente non ci vuol dire di cosa si tratta, siamo noi a doverlo indovinare - per Giuliano è così che deve andare, tutto deve far parte di un gioco capace di ammaliare ma al tempo stesso di coinvolgere, di portare convivialità in tavola; infine una Noce di farina di grano arso con segale e avena, maionese di polline e tartare di manzo: le tre farine che costituiscono la "noce" danno vita a un involucro sufficientemente delicato da lasciar pregustare il tesoro conservato nello scrigno, la tartare.
La barba del mais
La barba di mais
Per antipasto, la Barba del mais con spezie indiane e nero di seppia. Realizzato insieme al gusto orientale di una particolare spezia indiana, lievito di birra e per terminare, inchiostro di calamari, il piatto presenta una consistenza che può risultare fastidiosa, ma calati nell’esperienza, impegnati ad assaggiare la Barba del mais come fosse uno spaghetto, ci lasciamo coinvolgere da una sensazione oscillante tra il mentolato e lo speziato in bocca, davvero intensa.
Il fiore di zucca
Il fiore di zucca
Il primo piatto è un Fiore di zucca crudo con crema di canapa, maionese all’olio di marijuana con una spolverata di parmigiano di cocco e pepe di sichuan. Prima il fiore e la sua consistenza al naturale, poi il cocco e infine una lieve piccantezza a chiudere. Se la chiusura fosse qui: invece no, tocca al vino far da epilogo: un Ravello Doc Costa d’Amalfi di Marisa Cuomo, 50% Falanghina e 50% Biancolella, vinificazione in legno, sei mesi in barrique e il resto in bottiglia. Un abbinamento perfettamente azzeccato, con sentori erbacei al naso, una spettacolare intensità in bocca e quella giusta acidità a chiudere.
La muffa
La muffa
Tocca al piatto novità: la Muffa. «In questo caso - dice Giuliano - l’ispirazione mi è venuta dalla canzone Vivere senza te, che parla proprio della voglia di spingersi oltre i propri limiti. In questo caso la trasgressione è quella di non aver rispettato le modalità di conservazione per la carne, di aver voluto sperimentare, creando un piatto che ci lascia spiazzati, che ci emoziona proprio perché non ci annoia». Di noia certo non ce n’è stata. Il morso, vivo e incisivo, non ha per nulla fatto dimenticare quell’odore che è effettivamente muffa, che - ci crediate o meno - ancora porto con me. Si è trattato di un controfiletto di fassona piemontese da allevamento bio, marinata con l'iniezione di una muffa usata per produrre formaggi come il brie, e lasciata di conseguenza ammuffire ad una temperatura controllata di 20°C per tre o quattro settimane.
Il Disznòko Tokaji Dry Furmint 2016, con il suo naso complesso, chiuso, minerale, duro e resistente, con la sua bocca ferrosa, smaltata, decisa, intensa e incredibilmente persistente, ancora una volta crea un equilibrio fra portata e calice che davvero merita un applauso, per l’indubbio lavoro di ricerca che ne sta dietro.
Il tendine
Il tendine
Si rimane sull’originalità con il Tendine, un tendine di manzo al plancton con scampo crudo, cappero di Pantelleria, cialda di lenticchie rosse, polvere di lupino e fagiolo dell’India tostato. Anche qui si resta spiazzati ma ci si coccola con l’armonia creata dal vino, un Tocai di Jakot Radikon del 2009, ottima intensità.
Il miso
Il miso
Tra una chiacchiera e l'altra, sempre all'insegna della convivialità, arriva in tavola il Miso: linguine firmate Pastificio Mancini con miso di pasta (una crema dal particolare sapore dolce-salato, prodotta dalla fermentazione dei fagioli di soia con sale marino e fungo giapponese koji), caffè d'alga e, a completamento, una foglia di kefir, «tipica della cucina thailandese», ci spiega Mattia. La pasta risalta in bocca in tutta la sua naturalezza, qui Giuliano ha esaltato la qualità firmata dal marchigiano Massimo Mancini; si fa avanti il caffè ogni tanto, senza però essere invadente; nel complesso il piatto stupisce per il binomio complessità nella realizzazione - semplicità nell'assaggio. In abbinamento un Alicante Rosato Calabretta 2016, vino ferroso e minerale, molto particolare.
Il riso
Il riso
Senza fermarsi, via libera a Il Riso (notare come sempre i nomi siano sintentici ed essenziali, nient'altro sul menu): si tratta di un riso Buono Carnaroli di Vervelli al taggete, mantecato al succo di arancia, zenzero, peperoncino e Parmigiano Reggiano 24 mesi. Un profumo quasi primaverile invoglia all'assaggio, una volta in bocca, appena notata la cottura a puntino, si fanno largo arancia e zenzero, per lasciare posto in chiusura all'asprezza dei fiori. Proprio quest'asprezza con l'acidità in ogni sua sfumatura contraddistinguono a dovere la filosofia in cucina di Giuliano, mai banale. In abbinamento il Domaine de l'Horizon Blanc 2016, aromatico, fresco, erbaceo, con una buona acidità a chiudere.
L'argilla
L'argilla
Tocca all'Argilla, un'anguilla di Chioggia cotta con argilla ventilata, mescolata con salsa teriyaki, limone, soia e beta rossa. La volontà di Giuliano era ricreare "sotto i denti" l'habitat naturale dell'anguilla, non per niente è "mare nella sua essenza" quello che si percepisce in bocca. Insieme un abbinamento azzeccato in bocca (meno al naso): Ylice, un Verdicchio Castello di Jesi di Podere Mattioli, 2015.
Il piccione
Il piccione
Il piccione è servito in tavola con latte fermentato, fiori di tarassaco marinato, polvere di caffè e rocher con fegato di piccione e nocciole. Il piccione, da intendersi come filetto e petto, è cotto a puntino, genuino ed elegante; il suo fegato, sorprendentemente, si confonde in bocca trasformandosi quasi in cioccolato alle nocciole. Il cappero (fiore del tarassaco) dà quel tocco di salato per bilanciare il piatto. L'abbinamento è con un Pinot Noir, Bourgogne Rouge Seguin-Manuel 2016, abbinamento ben riuscito: frutti di bosco al naso, beverino e persistente.
I dolci
La pesca
Si passa ai dolci: un predessert costituito da spuma al mezcal con foglie di origano e sorbetto di succo di arancia, lime, curcuma e gin. Fresco, buona introduzione per il dolce, La pesca: una pesca sciroppata con yogurt naturale, cremoso al cioccolato bianco, maionese vegana di banana, tartufo di Norcia e aneto fresco. Ottimo l'equilibrio, anche se forse si ha un po' esagerato con il tartufo. In abbinamento, giustamente, sake.
A chiudere, infine, La crema, carbonizzata con lime, carbone vegetale in polvere, succo di lime, liquirizia selvatica, acido citrico e polipodio. Un dessert pieno e rotondo, abbinamento perfettamente con un Marsala Vergne Riserva Intorcia 1980, una vera chicca.
La crema
La cena da Aqua Crua è un'esperienza da vivere una volta nella vita. Non trovo altra sintesi essenziale per parlarne. Una serata che come un pendolo oscillante tra gli estremi di gusto e provocazione, rivela l'anima mai stanca e tanto appassionata di un Giuliano giovane che, da braccio destro di Alajmo, ha di fronte a sé sicuramente un futuro più che roseo nel panorama gastronomico italiano e internazionale.
Giuliano Baldessari
Giuliano Baldessari
Classe 1977, trentino di origine, circondato fin da piccolo da alberghi e ristoranti, comprende presto di essere vocato per questo mestiere. Dopo gli studi iniziano le tante esperienze che danno vita ad un bagaglio formativo di tutto rispetto: l'Hotel Posta e Cavallino Bianco di Ortisei e il Grand Hotel di Cortina prima, poi ci si sposta fino al Villa d'Este di Cernobbio, all'Aimo e Nadia di Milano, poi la Francia. Proprio qui incontra Massimiliano Alajmo, che lo porterà come sous chef alle Calandre nel 2003. 10 anni passano, e Giuliano diventa il braccio destro del cuoco tristellato. Poi nel 2013 il salto, la voglia di iniziare una grande avventura e di aprire un locale proprio. Due anni soltanto e arriva in casa la prima stella Michelin.
Per informazioni: www.aquacrua.it
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Alberto Lupini