RossoPomodoro, pronta a riaprire Tavoli più grandi se non conviventi

Al via dal 18 maggio la catena italiana di pizzerie/ristoranti. La riorganizzazione di Roberto Colombo, ammnistratore delegato: dal taglio nei menu a coperti ridotti e differenziati . Massimo impegno per la sicurezza, garantendo lo stile di sempre. Asporto e delivery dopo una revisione di ricette e tecniche di cottura

23 aprile 2020 | 07:50
di Alberto Lupini
Ormai manca poco. Qualche settimana. E se va tutto bene per bar e ristoranti si riapriranno le porte. Il che non vuol dire che sarà tutto come prima. Anzi. «Avremo almeno tre turni per pranzo e due per cena; i coperti ad andar bene saranno dimezzati; ci sarà del personale dedicato a controllare la temperatura all’ingresso (se obbligatorio); altri a regolare l’accesso ai bagni (se diventerà obbligatorio); menu semplificati e riprodotti sulle tovagliette per evitare contatti, con qrcode stampato che rimanda al menu in formato digitale anche in inglese; personale di sala con mascherine e guanti. Ma manterremo i nostri ambienti e il livello consueto di accoglienza: lo stile non si cambia. In più dobbiamo garantire standard e rigore per superare la comprensibile diffidenza iniziale dei nostri clienti». Poche parole, ma che danno chiarissimo il senso di come ci si prepara alla riapertura, al RE-START. Ad annunciare fra i primi di essere pronto alla Fase 2 è Roberto Colombo, amministratore delegato di RossoPomodoro, la più importante catena italiana di pizzerie/ristoranti.


Disegno 1

«Dall’11 di marzo abbiamo chiuso prima tutti i locali italiani e poi quelli nel resto del mondo, per ultimi a Londra. Ora siamo pronti, sempre a partire dall’Italia, a riaprire dal 18 maggio (salvo altre indicazionidi legge), e poi a seguire all’estero, dopo che avremo dedicato una settimana a sanificare gli ambienti e ad addestrare il personale per le nuove mansioni e ad utilizzare correttamente i sistemi di protezione. I locali non presenteranno modifiche a livello di arredi ed atmosfera, perchè per fortuna abbiamo grandi spazi (mediamente il format dei locali è sui 500mq), ma i coperti saranno drasticamente ridotti per garantire quel “distanziamento sociale” che è la prima regola da rispettare», spiega Colombo che in questi giorni ha ormai chiuso tutta la fase di riorganizzazione della catena.




Roberto Colombo, ad RossoPomodoro

La novità forse più importante è che all’accoglienza i clienti saranno smistati fra persone conviventi (vedi disegno 1) e non conviventi/gruppi misti (disegno 2). Gli ospiti  saranno quindi guidati a tavoli differenziati. Nel primo caso due persone si potranno sedere una di fronte all’altra in un tavolo tradizionale da 2. Per 2 clienti non conviventi ci sarà invece un tavolo da 4 posti (praticamente due tavolini uniti) e si metteranno sempre di fronte, ma in modo obliquo, così da aumentare la distanza fra di loro. Un gruppo di 3 o 4 familiari si siederà sempre in un tavolo da 4, rimanendo di fronte, mentre 3 o 4 amici o colleghi occuperanno, sempre seduti di fronte in modo obliquo, un tavolo da 8. La distanza fra i tavoli sarà rigorosamente sempre di 2 metri. Una scelta che tiene conto del fatto che chi già vive nella stessa casa è sempre in contatto con chi avrebbe al tavolo del ristorante, mentre per i "non conviventi" si punta ad assicurare quel distanziamento sociale previsto dalle norme: in questo caso 1,25 mt contro il metro previsto per i luoghi di lavoro.


Disegno 2


Un risultato tutt’altro che semplice e che è il frutto di un riadeguamento di tutta la macchina organizzativa. «Sedersi con sicurezza al tavolo sarà la parte più semplice – dice l’ad di RossoPomodoro – lo si potrà fare ancora di più avendo attivato orari flessibili del personale spalmando le presenze su più turni». Già perché sarebbe impensabile di dimezzare i coperti e poter avere una gestione in equilibrio senza una rotazione dei pochi coperti che rimangono. Ecco allora l’attivazione di tre turni a pranzo e due alla sera. «Fondamentale è l’adeguamento della nostra App che permetterà di prenotare per un turno invece che per un altro, partendo dal presupposto che si pensa una durata media di permanenza nel locale di 45 minuti a pranzo in settimana e di un'ora o un'ora e mezza a cena e nel week end. Dobbiamo evitare code in attesa e nel locale. Vanno gestiti al meglio i flussi, anche per chi deve andare in bagno…nella massima sicurezza».


Antonio Sorrentino e Davide Civitiello

Occorre ricalibrare anche i tempi di lavoro in cucina e al forno…

«È stato uno dei primi impegni. Per garantire i turni in sala su 7 giorni vanno ovviamente rivisti i carichi di lavoro in cucina. Abbiamo previsto di avere così sempre una persone sempre in pizzeria e analogamente una in cucina, riduciamo le presenze in contemporanea. Nell’offerta abbiamo tagliato 6 pizze, le paste scendono da 3 a 2 e uguale si farà con la carne o gli antipasti. Privilegiamo ricette già conosciute e già in uso da noi, con l’utilizzo delle migliori materie prime come sempre. A questo si sono dedicati Antonio Sorrentino, il nostro executive chef e Davide Civitiello, responsabile dei pizzaioli, che hanno anche rivisto molte procedure per il delivery».

Ma ritenete che economicamente sarà gestibile una simile organizzazione? Avete in previsioni ritocchi nei prezzi?

«I prezzi non saranno modificati. Manterremo le formule promozionali che avevamo per il lunch e ne introdurremo di nuove la sera e nei fine settimana. In queste condizioni ci immaginiamo una contrazione del fatturato del 60% al 70% e per questo abbiamo deciso di potenziare le attività di delivery ed asporto con diverse soluzioni che già stiamo testando con successo in una decina dei sessanta locali attivi in Italia». I test in atto si svolgono attualmente a locali chiusi. Due persone preparano su ordinazione delle pizze che poi vengono distribuite attraverso le aziende principali che si sono specializzate nel delivery. «Ci interessava fare queste verifiche, che non ci danno certo un reddito oggi, per testare nuovi impasti, nuove farciture e tecniche di cottura che garantiscano il risultato migliore anche dopo trasporto. E ciò vale anche per la cucina. Abbiamo anche prestato attenzione al packcing: poniamo sigilli di chiusure sui contenitori e usiamo dei box termici. È anche un modo per tenere vivo il brand ma, soprattutto, di migliorare la nostra esperienza per attivare alla riapertura delle attività di asporto e delivery che potremmo anche effettuare direttamente, così da garantire a tutti livelli i nostri clienti».

In tutta questa riorganizzazione, che può essere di esempio anche per tante realtà più piccole, come vi siete confrontati col personale?

«Per noi era importante, in Italia come nel resto del mondo, dare garanzie ai collaboratori che sono la nostra forza insieme alle materie prime. Abbiamo dovuto rinunciare a chi era con contratti a tempo determinato o in scadenza. Per il resto, e parliamo di 650 persone per i 20 locali diretti (gli altri sono in frachising), abbiamo attivato subito la cassa integrazione senza alcun licenziamento. Abbiamo definito insieme una maggiore flessibilità per orari e per mansioni. Ci sono i turni, ma ci sono anche operazioni di igienizzazione e accoglienza da garantire. C’è stata sempre una grande collaborazione che ci fa ben sperare nel successo del nostro piano di riapertura».

Un modello, va detto, che se può sembrare facile da realizzare in una grande organizzazione, in realtà prsenta schemi e attenzioni su cui da tempo Italia a Tavola richiama l’attenzione e che, certamente con impegno e sacrificio, possono essere applicati dalla gran parte dei locali italiani che vogliono presentarsi al RE-START in buone condizioni. E questo, lo sottolineiamo, in assenza delle indicazioni da parte delle istituzioni che ad oggi sono ancora totalmente latitanti. Del resto nella task force di Colao, lo ricordiamo, non c’è un solo imprenditore o un rappresentante del mondo del turismo e dell’ospitalità. Il buon senso, coi piedi per terra e cognizione di causa, è l’arma vincente.

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Alberto Lupini


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