Il Pagliaccio, esperienza gastronomica da provare almeno una volta nella vita
Un viaggio che parte dal cuore di Roma e passa attraverso i sapori e i profumi del mondo con i quattro menu degustazione al buio (è l'unico ristorante nella Capitale a proporli) di Anthony Genovese, due stelle Michelin
Ognuno di noi dà delle priorità ai piaceri della vita: un viaggio desiderato o una visita al museo per osservare una tela di Cézanne o di Picasso. Oppure ammirare semplicemente un tramonto che ci fa sognare, o ascoltare un brano musicale che rievoca ricordi struggenti. Ma è sempre la mente che sollecita le emozioni che lasciano tracce nella cineteca della memoria. Diverso è invece quando sono il palato e l’olfatto che suscitano emozioni e gusto, come in un ristorante dove la cucina è in mano a un altro tipo di artista che viene chiamato chef e che usa alimenti, pentole e fornelli al posto di pennelli e scalpelli per creare pietanze uniche per il piacere del palato. In questo momento, anzi da un po’ di tempo, la prima voce del piacere e divertimento mondiale sono i diversi percorsi gastronomici con eccellenze che - se vengono capite - regalano emozioni sostanziali con proposte impensabili per un viaggio di appagamento culinario e sensoriale. Come quello proposto da “Il Pagliaccio”, il ristorante con due stelle Michelin dello chef Anthony Genovese, l’unico a Roma a proporre quattro menu degustazione, da fare al buio: non si può néscegliere né ordinare.
Quattro i menu al buio
Una follia organizzata con un percorso gastronomico di altissimo livello. Si chiamano: Circus - un percorso di 10 portate che si sposta tra occidente e oriente; Orme - otto portate di sentimento, calore, un viaggio sulla via di casa che richiama i ricordi; Terrae - sei portate, la natura e rispetto dell’ingrediente; Intermezzo - un bivio essenziale, tappe elementari di esperienze.
Un’esperienza unica: il menu Intermezzo
Quest’ultimo è il menu che ho scelto: uno sconcertante e stimolante percorso sia per i più esperti gourmet sia per i nuovi adepti che cercano le nuove emozioni nell’alta cucina. Il gioco inizia dal tipo di posate che di volta in volta vengono posizionate sulla tavola per individuare le portate in arrivo.
Si parte con lo “Chawan Mushi” - un flan di uova e acqua di cannolicchi sopra vongole alla scapece, ceci neri sott’olio finito con olio all’erba cipollina e finocchietto, crema di limone arrosto; segue la “Sfogliata d’autunno”, sfogliata di verza, indivia, cavolo nero e radicchio di Castelfanco, arrosto con salsa di mango marinato con le spezie, fette sottili di avocado con jus di indivia, tartufo nero e polline. Non poteva mancare la pasta, ma che piatto questo che ha chiamato “Caput Mundi”! Un omaggio a Roma capitale con la cacio e pepe: spaghetti Gerardo di Nola mantecati con crema di cacio e pepe (con tre formaggi caprino, pecorino, parmigiano). Completa il piatto dashi vegetale, a base di rapa bianca, alghe, mirin, soia, pepe nero, pepe lungo e pepe Cambogia, grattugiata di manzo essiccato. Il penultimo piatto lo individuo dalle tre posate (forchetta, coltello da carne, cucchiaio). Infatti, arriva il “Maiale nero di Nebrodi” marinato con shio koji d’orzo, papaya, miso per 24 ore, laccato sul bbq con jus di maiale ridotto e pepe verde e foglie di radicchio rosso. Sul piatto composta di tamarillo e mostarda di Cremona, platano scottato con il burro in padella e ricoperto di fetta di rapa rossa e kimchi di rosa rossa. Per terminare, “Una idea di formaggio”, bavarese di latte caprino con composta di pere e zenzero, granita di vermut.
Una cucina capace di stupire che non si dimentica
Due ore di puro godimento il percorso di questo lunch che vale deviazioni da qualsiasi viaggio. La composizione dei piatti si racconta da sé perché entrano tutti nell’alta valutazione della perfezione. Fantastico Anthony! Un vero gentleman della ristorazione, con aneddoti, contaminazioni perfette e sorprese.
La sua è una cucina capace di stupire e, aggiungerei, laica, senza tabù, non classificabile in base agli schemi correnti. Come direbbe il grande Celentano, lui è rock, nel senso che nella sua creatività impone ritmo e sensualità, con giochi alternanti di tecnica, consistenza, acidità e gusto, con la certezza di regalare felicità a chi la prova. Come sia riuscito a creare queste perfette fusion lo deve alla sua formazione nelle grandi cucine e viaggiando a lungo. Ha respirato l’Oriente e l’ha riversato nei suoi piatti con contaminazioni armoniche. La sua cucina può non essere capita dai neofiti, ma non la dimenticheranno per le sue geniali provocazioni.
Perfetta anche la sala
Una menzione speciale va fatta anche alla sala, attenta e esauriente nel raccontare i piatti, e al sommelier, per i suoi suggerimenti con l’abbinamento dei vini: impresa sempre molto complicata perché si mangia caldo e si beve freddo e, non ultimo, per le note grasse, dolci, complesse del cibo. Solo chi ha una grande cultura del vasto mondo dei vini non sbaglia. E non ha sbagliato suggerendomi vini come un grande Riesling della Mosella il Nik Weis e lo straordinario Pinot Noir Chambolle-Musign della Borgogna che mi hanno accompagnato nella degustazione. È con questa superba concentrazione di alta capacità professionale di un team fidelizzato che il ristorante Il Pagliaccio è stato premiato da 50 Top Italy per aver realizzato il miglior “Pranzo dell’Anno”, un riconoscimento unico a Roma, scalando anche la classifica dei migliori ristoranti italiani: è passato dalla 16ª alla 9ª posizione.
Da terza stella
Ridi Pagliaccio (per citare l'opera di Leoncavallo): il tuo amore per il food merita una visita per godere della tua cucina almeno una volta nella vita e merita una terza stella Michelin per il tuo costante impegno che non tradisce mai le aspettative del cliente.
Il Pagliaccio
via dei Banchi Vecchi 129a - 00186 Roma
Tel 06 68809595
www.ristoranteilpagliaccio.com
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Alberto Lupini