Moma, quando l’arte sposa la cucina

Nel locale dei fratelli Pierini, ispirato al famoso museo di New York, splende la stella di Andrea Pasqualucci, giovane chef alla guida di uno staff giovanissimo tutto under 35. Un tuffo nei piatti della memoria

17 novembre 2021 | 09:30

La cucina può essere considerata arte? Il dibattito è aperto da sempre e probabilmente non troverà mai un punto svolta. A Roma, però, i fratelli Gastone e Franco Pierini – nel mondo della ristorazione da 40 anni - hanno pochi dubbi sulla parte da prendere. Lo si capisce dal nome che hanno scelto per il loro locale, Moma, aperto nel 2002 nell’energetico quartiere degli affari romano, quello dal respiro più internazionale in città, proprio di fronte all’ambasciata americana, ispirato dal Museum of Modern Art di New York del quale hanno voluto riprodurre proprio il concetto di “contenitore di opere d’arte”. La parola d’ordine di Moma è “contemporaneità”, un concetto ben visibile nelle sculture, nei quadri, nelle fotografie e nei piatti.


Concept gastronomico tra tradizione e modernità

Nel 2002, quando ha aperto i battenti, l’ambiziosa operazione si inserì come concept gastronomico nel solco della tradizione culinaria della città per proporre una visione alternativa e allora rivoluzionaria del cibo.


Al centro del loro progetto due certezze: il rapporto costante con i piccoli produttori che permettono di portare nel piatto, con continuità, una filiera sostenibile ed etica in tutte le sue parti, e una squadra giovanissima (tutti i membri dello staff sono under 35) guidata dallo chef trentenne Andrea Pasqualucci.


Sapori contadini e piatti della memoria

Tutte le sue preparazioni codificano sapori contadini della memoria, valorizzando spesso tagli poveri, come il quinto quarto e il pesce azzurro, conferendogli un carattere inconfondibile grazie al gusto affilato ed essenziale.


Infatti, la costruzione dei suoi piatti conta pochi ingredienti di base, sempre riconoscibili, uniti a profumi, spezie o erbe che ne esaltano le caratteristiche, facendoli scoprire come fosse la prima volta.


Dotato di una particolare sensibilità, Pasqualucci riesce a giocare con gli elementi creando un delicato equilibrio gustativo. Il grande bagaglio tecnico acquisito durante il corso degli anni gli permette di giocare con sapori fatti di contrasti. Amante delle note acide, i suoi piatti si contraddistinguono per picchi di sapore che sorprendono a ogni boccone nell’alternarsi di dolce, amaro, acido, sapido, tenue, aspro e pungente. Quasi maniacale nell’attenzione e nella cura della scelta della materia prima, ha selezionato i suoi fornitori garantendosi eccellenze che rispettano prossimità, filiera corta e dunque territorialità.


La cucina che Pasqualucci esprime al Moma è riconoscibile, rispecchia lo chef nei gusti, nei sapori e nelle esperienze che ha vissuto. Costruita sulla base di un ricordo che lo ha cresciuto e sulla tradizione a lui ben nota, è una cucina che muta perché attenta alla cura del cliente e all’evoluzione dei gusti, pur rimanendo fedele alla propria linea. Una cucina non volutamente ma naturalmente adatta a tutti, personale ma non egocentrica, lontana da quella voglia di imporsi con prepotenza e noncuranza perché parla di ristorazione e cura del commensale.


Mise en place di grane fascino

La ricerca dell’armonia e la delicatezza del suo muoversi all’interno delle cose si rivela anche nell’attenzione massima posta alla base della concezione del design del piatto: così, come Gastone Pierini ha realizzato Moma seguendo un’ideale architettonico e visuale, Andrea Pasqualucci compone il piatto secondo un’estetica precisa che, giocando con gli ingredienti con piglio e sapienza, realizza una mise en place di grande fascino visivo e cromatico.


Massima attenzione agli sprechi

A rendere ancor più speciale la cucina c’è la grande attenzione verso la riduzione degli sprechi, valorizzando ogni singolo ingrediente e mettendo in bella luce i tanti piccoli produttori – sempre citati nella descrizione dei piatti in sala dagli attenti Federico Salvi e Federico Cucchiarelli – che portano al Moma gli ingredienti, perlopiù locali, e sempre di stagione.


Le proposte? Fatevi guidare dallo chef

Al Moma è possibile ordinare alla carta oppure optare per un menu degustazione chiamato “Cambiamenti”: cinque portate tutte scelte da Andrea Pasqualucci.


Le origini romane, l’attenzione al commensale, non sempre favorevole o pronto a gusti complessi e pungenti come quelli del quinto quarto, insieme all’amore viscerale per queste parti dell’animale, fanno ricadere la scelta la proposta di questo taglio sulle più dolci e tenui “Animelle di vitello al fieno, agretti, bagna cauda e salsa cacciatora”. Cotte a bassa temperatura, panate e fritte in burro chiarificato e lavanda, umide all’interno e croccanti all’esterno, le animelle diventano lo strumento per fare una scarpetta con la bagna cauda e la salsa alla cacciatora che le irrora. Un antipasto reso fresco dalla lavanda e dagli agretti di stagione che concentra la passione per la romanità.


Altri due antipasti simbolo del ristorante sono “Il nostro orto di stagione in giardiniera” in cui la croccantezza e i sapori delle verdure che l’Agro Pontino offre, risultato di una certosina selezione della materia prima, si rincorrono in un sapiente alternarsi di agro e dolce; le “Tagliatelle di seppia alla puttanesca” sono, invece, frutto di una particolare lavorazione di seppie locali che richiamano prepotentemente la tradizione e la mediterraneità.


Tra i primi la tradizione si rinnova nei “Bottoni di baccalà mantecato e guazzetto di pesce”, un altro tributo a un sapore della memoria, l’immancabile baccalà. Questa pasta ripiena di baccalà mantecato e zafferano, e finita davanti agli occhi del commensale con un estratto di pesce aromatizzato, anice stellato e coriandolo, dalle note fresche e pungenti, è un piatto dal sapore intenso e sapido in cui le forti aromatizzazioni giocano sul filo.


Ancora, tra i primi lo “Spaghettino tiepido all’olio di Coratina, melassa di cipolle e caprino “Anarchico” uno spaghettino tiepido cotto in acqua di pomodoro, emulsionato a freddo con olio di Coratina, dal sapore pungente e amaro a ricordare una bruschetta, arricchito poi da un caprino a dare la nota acida e completato infine da una salsa molto ridotta di cipolla, quasi una melassa; e poi il must tra i primi del Moma rappresentato dal “Risotto alla camomilla, anguilla affumicata, miele e origano”. Figlio del desiderio di riproporre il risotto alla parmigiana, (riso, burro, olio, parmigiano e limone) anch’esso un vivido ricordo dell’infanzia. Il riso viene cotto bagnandolo con la camomilla ottenendo un sapore tenue che va a ravvivarsi man mano con l’aggiunta delle anguille di Oristano, più piccole delle comuni anguille e dalle carni tenere e meno tenaci, cotte a bassa temperatura affumicate e piastrate e comunque apportatrici di un ulteriore sapore delicato. Infine, il burro precedentemente tenuto in infusione a 60 C° per un’ora e mezza con i fiori della camomilla, a mantecare questo riso il cui sapore viene spinto dalla nota acida del limone che armonizza e vivacizza tutta la dolcezza e tenuità dei sapori. Carne e pesce ad arricchire l’offerta dei secondi.

 


Non una semplice carne quella della “Costina di manzo Beneventano, scalogno in agrodolce, misticanza e liquirizia”. Allevato allo stato brado il manzo beneventano si contraddistingue per le sue carni molto marezzate e dolci. La cottura a 58 C° per due giorni con le spezie e la marinatura nel miso creano sapori molto intensi ammorbiditi da una misticanza dolce di Erba Regina condita con liquirizia, resi più leggeri da un battuto di scalogno in agrodolce con mostarda di frutta e rinfrescati infine dalla acidità di una salsa di ciliegie che conclude il rincorrersi dei sapori di questo piatto.


Arrivano poi il “Pescato croccante, salsa al burro acido, finocchio e peperoncino…” dove i contrasti e le acidità vengono apportati dalla piccantezza del peperoncino e freschezza della salsa burro e lime con scalogno e Pernod, e il “Polpo verace alla piastra con radici e dragoncello messicano”, un piatto che cambia in base alle stagioni perché con esse mutano le radici: dalle rapette invernali ai ramoracci e alla scorzonera fritta. Il polpo quello non cambia, un polpo verace che proviene dalla Puglia. Cotto a bassa temperatura in modo da renderlo volutamente morbido all’interno e poi scottato sulla piastra per farlo risultare croccante fuori, è accompagnato da una maionese ottenuta dalla sua acqua con aggiunta di lime e aromatizzato con una nota di dragoncello e poi finito con una vinaigrette ottenuta con i pomodori gratinati sulla brace e conditi con aceto balsamico e Xeres.


Dopo questo excursus tra picchi di sapori, note acide e amare non si può che terminare esplorando il mondo dolce del Moma che vede tra gli altri il freschissimo “Mandorle, fragole, rabarbaro e basilico”: una gelatina rosa ricavata dall’estratto del rabarbaro, dal sapore aspro e amaro, profumata e addolcita dalle fragole di Terracina fresche che si uniscono alle mandorle di Noto sabbiate, una granita di fragole, del basilico alla cannella è completata da una immancabile nota grassa data da piccoli cubi di semifreddo di cioccolato bianco e rum e gelato di mandorle. Inutile dire che in un gioco di tradizione e memoria non possa mancare la “Chantilly alla ricotta di pecora, ciliegie torbate enocciola”. Quando possibile le ciliegie sono visciole che vengono sciroppate e macerate nel whisky torbato e a completare il dolce una ricotta di pecora aromatizzata con vaniglia e zucchero, una frolla, della mentuccia romana, un sorbetto alle visciole e una spugna di nocciola.


Tra friulani e francesi, anche la cantina parla del territorio

La carta rappresenta le migliori zone vinicole italiane e, certamente, si concentra sui grandi classici, come i “Super Tuscan”, i rossi Piemontesi, i bianchi Friulani e i vini delle Isole, con una accurata selezione delle annate più importanti.


Presenti anche alcune delle migliori bollicine italiane, Franciacorta in testa. Immancabile un giusto tributo ai rossi di Francia, con una selezione delle aree di eccellenza, come Borgogna, Bordeaux, Loira e Champagne.


Uno spazio a parte è dedicato alle piccole produzioni artigianali, vini unici che raccontano i territori e il lavoro attento e meticoloso dei vignaioli, con alcune chicche del territorio laziale.


La formula bistrot

Il Moma si sviluppa su due livelli: entrando, sulla sinistra una scala conduce gli ospiti nella parte superiore dedicata al ristorante “stellato”, mentre al piano terra c’è il bistrot con una proposta gastronomica semplice, eclettica e gustosa, che mantiene comunque alti livelli.

L’arredamento è dominato da un mood minimal, dove il calore del legno wengé e della pelle gioca con il rigore dell’acciaio e dei cristalli delle grandi finestre. I toni avvolgenti del nocciola, del mogano e dell’écru sono impreziositi da arredi che esaltano il piacere della convivialità mentre il bicromatismo del locale è funzionale al design contemporaneo del locale, disegnato dagli stessi padroni di casa in sinergia con l’architetto Papiri, affinché anche l’ambiente concorra a interpretare il Manifesto culinario in cui l’ingrediente è assoluto protagonista.


Moma si mostra accogliente anche all’esterno, con il gradevole dehors fruibile tutto l’anno grazie al mite clima romano e ai funghi che riscaldano lo spazio anche nei mesi più freddi, consentendo momenti di relax all’aria aperta all’insegna del gusto sin dalla prima colazione, come anche per il pranzo e per l’aperitivo pomeridiano.


Ristorante Moma
via di San Basilio 42 - 00187 Roma
Tel 06 42011798
www.ristorantemoma.it

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Alberto Lupini


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