I Borboni. Non solo Napoli e Caserta, anche Salerno ha la “sua” pizza

A Pontecagnano, paesino pochi chilometri a sud di Salerno, da qualche anno è la casa de I Borboni, pizzeria che lavorando sodo e puntando molto sul territorio si sta affermando come destinazione per i pizzalovers locali

21 dicembre 2024 | 07:30
di Alessandro Creta

Quello di “territorialità” è un concetto che ormai la pizzeria così come la cucina (più o meno alta) richiede, ha fatto suo e che, fortunatamente, ormai sembra aver preso piede nella maggior parte delle realtà che fanno di studio, attenzione e qualità i propri must. 

La provincia di Salerno: un territorio che a sua volta non è certamente il primo che balza in mente quando si parla di pizza. A maggior ragione quando si parla di pizza in Campania, con Napoli e Caserta a farla da padrone dividendosi le preferenze, le discussioni e gli schieramenti di questo o quel cliente, questo o quell’addetto ai lavori. 

E invece scavando un po’, andando un po’ a fondo nel mondo pizza, andando soprattutto più a sud rispetto alle città citate, oltrepassando di pochi chilometri Salerno, eccola una pizzeria che nel corso degli anni (6 per la precisione, con l’apertura risalente al 2018) ha saputo ritagliarsi il suo spazio in zona, finendo poi nelle principali guide di settore a testimonianza di un lavoro fatto per bene, ragionato, curato, sempre in evoluzione. Ed eccoci quindi a Pontecagnano, su una strada che fu antica via borbonica di passaggio per chi fosse diretto verso la Calabria.

E, non a caso, la pizzeria si chiama proprio I Borboni. Sia per omaggiare il passato storico di questa terra, sia per ricollegarsene e, a proprio modo, tenerne quasi viva la memoria. Territorialità, dicevamo, è il primo concetto che emerge parlando, in primis, con Valerio Iessi e Daniele Ferrara (proprietari e in prima linea nel loro locale, assieme al terzo socio Adriano Romano), e in secundis leggendo il bel menu che propongono, con tanti ingredienti provenienti da produttori che popolano le zone limitrofe. 

Dal formaggio al pomodoro, passando per nocciole e carni (tra salsicce e affettati), senza dimenticare olio extravergine di oliva e vino, con etichette abbondantemente a rappresentanza campana. Sentendoli parlare, sentendoli descrivere le loro pizze, e ancor prima ascoltando tutto il lavoro che c’è dietro alle loro pizze, si percepisce l’attaccamento al territorio di cui Valerio e Daniele si fanno ambasciatori, promotori di una zona che geograficamente parlando non sarebbe nemmeno la loro culla (uno, di Cava de Tirreni, l’altro di Vico Equense) ma di cui si sentono oggi figli adottivi grazie all'impegno qua profuso e agli apprezzamenti qua ottenuti.  

E allora cosa si mangia dai Borboni? Attenta la ricerca su una pizza in costante evoluzione, che punta su alcuni capisaldi (ingredienti di stagione prima di tutto, mai “fissi” nella loro resa ma elaborati in nuove forme e versioni, perché sempre nuove devono essere le pizze che escono dai forni a legna) per proporre un’offerta in continuo sviluppo. 

Cosa si mangia da I Borboni? Ecco il nuovo menu

Abbiamo provato in anteprima alcune proposte dal nuovo menu, disponibile fino al prossimo marzo. Si comincia con gli immancabili frittini, stuzzichini per aprire lo stomaco e stimolare l’appetito come una frittatina di maccheroni con assoluto di funghi, un cubo di riso ai tre caci e pepe, quindi una polpettina di baccalà con papaccella napoletana. Tempo delle pizze: il cliente può decidere se scegliere alla carta (poco più di 20 le proposte nella loro totalità) oppure optare per tre percorsi degustazione: Terra Mia (5 portate, 30 euro), Soul Fud (7 portate, 40 euro) e Mman’a l’arte (9 portate, 50 euro).

La prima pizza che arriva è quella definita “proteica”, per la presenza di soia nell’impasto che ne aumenta, per l’appunto, la concentrazione di proteine. Proprietà nutrizionali a parte (anche uno attento a queste cose, dopotutto, se va a mangiarsi una pizza non ha come primo cruccio la quantità di proteine/carboidrati che sta assumendo) sicuramente un abile stratagemma di marketing per una pizza comunque buona, ben fatta, “scrocchiarella”, con robiola, misticanza, granella di nocciole, cipolla rossa caramellata e olive taggiasche. Si prosegue con la Ngazzate Nire, con broccolo saltato, crema di broccoli, provola d’Agerola, salsiccia, nduja e pecorino di Bagnoli. Buona, forse con un piccante della nduja troppo pronunciato ma per gli amanti dello spicy sicuramente un plus. Dopo la Riccio Campano (scarola alla brace, provola affumicata, tartare di manzo, blu di bufala e senape al miele) arriva una gradevolissima Monzù, praticamente una genovese su pizza. Carne di manzo e cipolla brasata, ancora la provola d’Agerola, una spolveratina di polvere di caffè e qualche chicco di melagrana a dare un piacevole tocco acido a sferzare la dolcezza del topping. La pizza migliore tra quelle degustate è forse quella realizzata con il siero di bufala nell’impasto in sostituzione dell’acqua. Una vera e propria creazione di Daniele e Valerio, frutto della collaborazione a stretto contatto con uno dei fornitori storici, il caseificio Giuseppe Morese. In onore di questa collaborazione, la pizza prende il nome di ‘Morese’- Ode alla Provola e Pepe. Una pizza che parla di territorio e di sostenibilità e che fa parte della sezione ‘vapo crock, cotte al vapore e poi rigenerate in forno. Si chiude con una quattro formaggi “monorigine” di bufala, blu di bufala, ciuffi di bufala, granella di nocciola e un azzeccatissimo utilizzo di confettura al mandarino per uno sfumato twist agrumato che ben si sposa con tutto il resto.

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Alberto Lupini


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