Capitale della Cultura... a tavola: Palazzo della Loggia e lo spiedo bresciano
Palazzo della Loggia e lo spiedo bresciano, due simboli di Brescia da celebrare nell'anno in cui è Capitale della Cultura insieme a Bergamo. Scopriamone la storia e i segreti
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta di Bergamo e Brescia Capitale italiana della Cultura 2023. Nello scorso numero di Check In abbiamo visto le eccellenze enostronomiche, dai ristoranti ai prodotti tipici fino ad arrivare ai vini. Da questo numero, però, vogliamo inaugurare una rubrica un po' particolare: Bergamo e Brescia tra storia e cibo.
Un excursus che lega un monumento storico di ognuna delle due città ad un piatto o un prodotto tipico andando a creare una sorta di fil rouge tra Cultura e Cucina perché, come diciamo da sempre, la Cucina con la C maiuscola è un aspetto fondamentale e fondante della Cultura di una città e del suo territorio, così come lo sono la storia e i monumenti che punteggiano e definiscono il tracciato urbano.
Nel cuore di Brescia: la Loggia e lo spiedo
Lo spiedo è il piatto tipico per eccellenza dei bresciani. È d'obbligo abbinarlo, nell'anno della Capitale Italiana della Cultura, a Palazzo della Loggia e alla statua della Bella Italia, i simboli e monumenti del cuore (e nel cuore) della Leonessa. La Loggia, iniziata nel 1492, nel 1575 venne coinvolta da un incendio che ne distrusse la copertura originaria, che venne però sostituita nel 1769 da una nuova, realizzata da Luigi Vanvitelli, che realizzò anche il grande salone ottagonale del primo piano. L'opera vanvitelliana venne però sostituita, non senza polemiche, nel 1914, con l'attuale copertura in piombo. Il palazzo si trova in piazza della Loggia, centro ideale della città e ospita oggi la Giunta comunale di Brescia. E nella stessa piazza si trova anche il Monumento alla Bella Italia, opera in marmo dedicata ai caduti delle Dieci giornate di Brescia e donata alla città da Vittorio Emanuele II.
Dai Longobardi a oggi
Come noto, la cottura sul fuoco o sulle braci della carne su un'asta e una modalità primordiale ancestrale. Le usanze dei Longobardi che tanto hanno a che vedere con la terra bresciana prevedevano un importante consumo di carne, e in particolare di selvaggina, cotta allo spiedo che simboleggiava la forza e il coraggio del cacciatore. In origine lo spiedo popolare contadino era composto esclusivamente da uccellini: allodole, uccelli da passo fra cui le cesene tordi, beccafichi, fringuelli, la regina dei boschi, la beccaccia protagonista assoluta del famoso quadro di Angelo Inganni risalente al 1870.
Con la diffusione delle armi da fuoco si moltiplicarono i capanni da caccia e i roccoli, ma furono i miglioramenti delle condizioni economiche che trasformarono la preparazione e il consumo degli spiedi da cibo tipicamente riservato ai cacciatori o contadini, in rito gastronomico identitario di tutta la provincia di Brescia. Comuni d'eccellenza dove gustarlo secondo la più genuina tradizione riconosciuta con la DE.CO sono Serle e Gussago. D'obbligo l'accompagnamento della polenta!
Bergamo e Brescia, Capitali del gusto: 23 eccellenze da non perdere
Bergamo e Brescia, un biglietto unico per bus e musei
Bergamo e Brescia, terre di vino: viaggio tra Doc e Docg
Enoturismo, una ciclovia per Bergamo e Brescia Capitali della Cultura 2023
Capitale della Cultura... a tavola: le Mura venete e la Stracciatella
Gli ingredienti e le regole dello spiedo bresciano
Gli ingredienti e le antiche regole fondamentali da rispettare obbligatoriamente, da tutti, per lo spiedo di qualità sono poche: lardo, salvia, fettine di maiale (può essere lonza o coppa) e obbligatoriamente gli uccellini. E qui va aperta va aperta una parentesi. Dopo i divieti e le polemiche degli anni scorsi, nel 2022 la Regione Lombardia ha approvato una apposita legge, che consente l'utilizzo di alcuni tipi di uccelli a condizione che il cacciatore, consegni (gratis) al ristoratore non più di 150 capi, rilasciando una dichiarazione attestante la certificazione della cattura delle specie consentite nei termini di legge. Tornando allo spiedo, va ricordato che con la lonza o coppa tagliata a fette si preparano i ''mòmboi'' detti anche ''lomboi'' o ''mombuli'': involtini salati e arrotolati, talvolta farciti con foglie di salvia alternati con lardo o pancetta locale. Il peso non deve superare gli 80 grammi. Gli uccellini non vanno svuotati delle interiora affinché conservino il tipico sapore amarognolo che è una delle caratteristiche dello spiedo bresciano .Oltre alle foglie di salvia alcune varianti prevedono ,fra un pezzo e l'altro, anche l'utilizzo delle patate a fette o spicchi.
Fondamentale ricordare che l'unico condimento ammesso è il burro, molto burro, niente olio o altro surrogato; guai! Generalmente un chilo di burro (se possibile nostrano) per 100 prese. Durante la cottura il grasso della pancetta si scioglie, a volte si usano dei pezzetti di lardo da spalmare poi con continuità sulle carni per insaporire. La cottura infine è una fase delicatissima e laboriosa. A fuoco lento, la tradizione indica come miglior legna per fare le braci, l'ulivo e le viti. Dicevamo, cottura lenta seguita minuziosamente per quattro/sei ore dallo spiedatore. Occorre salare da sopra, sorvegliare che il fuoco non perda di forza, che tuttavia non deve essere eccessiva perché brucerebbe il tutto, continuare a versare dall'alto il grasso che cola e che deve essere man mano raccolto nella leccarda. Lo speditore seguirà minuziosamente tutta l'operazione senza mai allontanarsi dalla ''macchina''. E infine tolto e portato in tavola: va gustato caldo, con l'intingolo generosamente ''imbucato'' nella polenta.
© Riproduzione riservata
• Iscriviti alle newsletter settimanali via mail |
• Abbonati alla rivista cartacea Italia a Tavola |
• Iscriviti alla newsletter su WhatsApp |
• Ricevi le principali news su Telegram |
“Italia a Tavola è da sempre in prima linea per garantire un’informazione libera e aggiornamenti puntuali sul mondo dell’enogastronomia e del turismo, promuovendo la conoscenza di tutti i suoi protagonisti attraverso l’utilizzo dei diversi media disponibili”
Alberto Lupini