A Venezia è scontro sul turismo sfrenato Zaia chiede autonomia e limiti agli accessi

16 febbraio 2017 | 12:06
Forse nessuno nel mondo è capace quanto gli italiani di accusare, e talvolta distruggere, le proprie potenzialità creando attorno ad esse degli scontri che fanno perdere la retta via, quella che dovrebbe portare alla valorizzazione delle nostre risorse. Sarà che siamo ancora un Paese relativamente giovane e i campanilismi continuano a brulicare sotto la bandiera tricolore, sarà che l’eloquio, la discussione e la libertà di parola è nelle fondamenta dell’italianità, sta di fatto che più una cosa italiana è bella, più viene criticata. Da chi? Dagli italiani stessi, mentre da tutto il mondo arriva gente a scoprirla, studiarla, ammirarla e, inevitabilmente, copiarla.



Tra queste potenzialità la più grande è probabilmente quella del turismo, emblema di tutto questo preambolo iniziale. Le risorse sono infinite e di qualità, ma la valorizzazione delle stesse no o per invidie, o per scarse capacità o perché si pensa che siano talmente straordinarie da potersi pubblicizzare da sole in tutto il mondo. L’ultimo caso che si è accesso attorno al turismo italiano è quello che riguarda Venezia.

Ad accendere la miccia un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia sulla “prima” del Corriere della sera che non usa mezzi termini per descrivere la scarsa gestione del turismo lagunare da parte di Comune e Regione. «Venezia è ormai irrimediabilmente una città fantasma - ha scritto Galli della Loggia - l’originale di una Disneyland che è già eguale alla propria copia. Una mostruosità. […] Lo sfruttamento selvaggio delle risorse turistiche ha così creato a Venezia come in molti altri luoghi della Penisola un vasto intreccio d’interessi: un intreccio che risulta virtualmente inespugnabile e mira in pratica a essere il padrone della politica locale e delle sue decisioni. […] Il turismo, insomma, è diventato il nuovo veleno che sta uccidendo i paesi e le città italiani, il nostro patrimonio d’arte e di cultura, spesso il nostro modello di vita e di relazioni sociali». Quindi attacca direttamente il sindaco Luigi Brugnaro e il governatore del Veneto Luca Zaia accusato di un malinteso orgoglio locale a fronte di clamorose corruzioni come «il Mose con la sua ramificata Banda Bassotti composta quasi tutta di veneti purosangue (vero presidente Zaia? Ma un tempo non era Roma ad essere «ladrona»?)».


Luca Zaia

La scintilla ha fatto divampare una fiamma poche ore più tardi con lo stesso Luca Zaia che ha replicato sempre sulle pagine del Corriere difendendo la “sua” terra e la sua politica a spada tratta. «Venezia non può sopportare più di un certo numero di visitatori al giorno - scrive Zaia - quindi i flussi vanno rigorosamente regolamentati nei due unici punti di accesso a Venezia: piazzale Roma e la stazione ferroviaria. Non credo invece al versamento di una somma per ingresso e visita: Venezia deve restare alla portata di tutti. Sono convinto che un obolo - anche simbolico - ogni italiano lo debba mettere in conto, come contributo e segno di rispetto per una città universale; ma non concordo sul fatto che la visita diventi accessibile per reddito». Quindi la sua stoccata: «La mia posizione è chiara - spiega il Governatore - io credo al numero chiuso».

La discussione a questo punto sembra virare verso la costruzione di un ragionamento utile a Venezia e all’economia italiana, ma - ahinoi - ancora una volta ecco i campanilismi triti e ritriti che tornano a fare capolino e a prendere il sopravvento distruggendo ogni possibilità di arrivare ad un “dunque”. «Il Mose e Roma ladrona? Sarebbe sufficiente replicare che il Mose è un cantiere statale - scrive Zaia - finanziato dallo Stato, e che l’inchiesta sul sistema corruttivo che gli si era sviluppato intorno (oltre 100 indagati, 35 agli arresti) ha toccato certamente personaggi politici regionali, ma per la gran parte una pletora di personaggi non veneti che avevano eletto Venezia a teatro delle loro malefatte esclusivamente perché qui c’è il cantiere. Personaggi che, quando l’acronimo Mose definiva solo un’opera pubblica e non un’inchiesta, ci venivano magari indicati quali esempi luminosi, paladini del «fare». Soltanto leggendo gli atti, acquisimmo tutti consapevolezza da quale altra spinta morale e professionale fossero animati».

Quindi ecco l’antico slogan: «Roma resta quindi ladrona - dice Zaia - intendendo per Roma tutti quei poteri, quei palazzi, quegli organi che pesano sui conti pubblici, specialisti in adempimenti inutili, che nulla producono se non far gravare sulle imprese del secondo Pil italiano un total rate tax di oltre il 68% contro una media Ue del 46». In chiusura Zaia torna su vecchi concetti: «La soluzione è una soltanto, Professore: l’autonomia del Veneto e uno Stato federale, come l’avevano delineato anche i nostri padri costituenti. Più autonomia nei territori virtuosi, più Stato in quelli falliti».


Luigi Brugnaro

Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha tagliato corto, forse più saggiamente almeno nella sfida tutta di scritti e parole, twittando: «Risponderò con fatti concreti e umiltà di azione a un'analisi stereotipata di Venezia». E qualcosa di concreto sembra proprio che si stia mettendo in atto perché il Comune è pronto a mettere al bando kebab, pizza al taglio e take away. La delibera è pronta e sfrutta il pertugio previsto nel decreto 222 del 2016 che dà potere ai Comuni, in accordo con la Sovrintendenza e la Regione, di bloccare attività di particolari categorie merceologiche «non compatibili con l’esigenza di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale». L’obiettivo è ridurre l’impatto dei turisti sulla città, sotto stress soprattutto durante alcuni periodi come Carnevale, Pasqua o l’estate. Del resto i numeri parlano da soli: 15 milioni i turisti «mordi e fuggi» che arrivano ogni anno, quattro e mezzo quelli che soggiornano in città con una media di poco più di due notti. «Leggete cosa siamo andati a dire all’Unesco qualche settimana fa, lì c’è tutto il nostro piano», dice in sostanza il sindaco.

Un dossier di 70 pagine, dalla salvaguardia della Laguna alla manutenzione della città, dagli interventi contro lo spopolamento all’insediamento di nuove attività economiche con la valorizzazione di quelle storiche. «Ma è giusto che a decidere della sorte di Venezia siano solo gli iscritti all’anagrafe della città?», si è chiesto Della Loggia invocando invece l’intervento del governo. Brugnaro risponde con il Patto per Venezia (i 10 milioni messi sul piatto dall’esecutivo), mentre i parlamentari del Partito democratico con una mozione. Insomma, qualcosa di concreto.

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Alberto Lupini


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