Ichino-Guariniello: il fronte del licenziamento
A sollevare la questione sono stati, innanzitutto, due interventi di altrettante personalità di spicco del mondo giuslavoristico. Stiamo parlando di Pietro Ichino e Raffaele Guariniello. Il primo, sulle colonne del Corriere della Sera, aveva sostenuto che chi rifiuta di vaccinarsi può essere licenziato perché «la protezione del tuo interesse alla prosecuzione del rapporto cede di fronte alla protezione della salute altrui». Ichino si è focalizzato poi sull'ipotesi di obbligatorietàdel vaccino: «Non solo si può, ma in molte situazioni è previsto. L'articolo 2087 del Codice Civile obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure suggerite da scienza ed esperienza, necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda, il loro benessere», ha spiegato il giurista, aggiungendo che un datore di lavoro «non solo può, ma deve farlo. Ovviamente se è ragionevole. In questo momento non lo sarebbe, perché non è ancora possibile vaccinarsi».
Una posizione simile l’ha assunta anche il giurista Raffaele Guariniello che sul Fatto Quotidiano aveva affermato che «qualcuno potrebbe lamentare la violazione della libertà personale di non sottoporsi al vaccino. Potrebbe sì, ma per avere ragione dovrebbe prima cambiare la legge. Altrimenti la normativa è chiara nel prevedere la messa a disposizione del vaccino, l'allontanamento e la destinazione ad altra mansione "ove possibile" del lavoratore che si rifiuti inidoneo». Traducendo: se nel momento in cui il vaccino sarà disponibile il dipendente non volesse vaccinarsi, può perdere il lavoro. D’altronde, come sostenuto da Guariniello, «la sorveglianza sanitaria non serve solo a tutelare il singolo lavoratore ma anche tutti gli altri. La Corte costituzionale lo ha ribadito più volte: la tutela della salute è un diritto dell'individuo e un interesse della collettività. La legge prevede l'obbligo di allontanare il lavoratore e di adibirlo ad altra mansione, ma solo “ove possibile”. La Cassazione ritiene che tale obbligo di ripescaggio non possa ritenersi violato quando la ricollocazione del lavoratore in azienda non è compatibile con l'assetto organizzativo stabilito dall'azienda stessa. Insomma, il datore di lavoro è obbligato a predisporre misure organizzative per tutelare il lavoro, ma se questo non è possibile si rischia la rescissione del rapporto di lavoro».
Le norme non prevedono l'obbligatorietà
Tuttavia, questi due interventi rappresentano l’ala interpretativa minoritaria della questione. «La tesi più condivisa è che l’obbligo a vaccinarsi pena la perdita del lavoro non sussiste. L’art. 32 della Costituzione, infatti, richiede che l’obbligatorietà del trattamento sanitario debba essere previsto per legge. Detto diversamente, serve una legge specifica ad hoc per quel determinato trattamento: che nel caso in questione è il vaccino anti-Covid. Ad oggi una norma del genere non c’è. Questo significa che un’eventuale indisponibilità soggettiva del lavoratore a vaccinarsi, come nel caso di chi ha paura della somministrazione della cura o si rifiuta per ragioni ideologiche, non possa causare azioni disciplinari né il licenziamento», spiega il giuslavorista e docente di diritto del lavoro all’Università di Milano-Bicocca Franco Scarpelli.
Diversi i problemi che potrebbero incorrere dalla volontà di un datore di lavoro di accertarsi dell’avvenuta vaccinazione del lavoratore: «Poniamo che un ristorante apra a seguito dell’allentamento dei dpcm e si trovi nella necessità di assumere nuovi dipendenti per rafforzare un team di lavoro ridotto all’osso dalla crisi – afferma Scarpelli - Ecco, in questo caso il datore di lavoro può porre la questione della vaccinazione come condizione sine qua non per l’assunzione? No, secondo me non può. Innanzitutto, perché non esiste un obbligo e, successivamente, perché violerebbe la tutela dei dati personali del dipendente».
La responsabilità del medico aziendale
Ma allora cosa si può fare? Una tesi molto diffusa sostiene che se è vero che il datore di lavoro non può imporre il vaccino, il datore di lavoro può delegare al medico aziendale competente la verifica dell’idoneità del lavoratore non vaccinato a svolgere il proprio ruolo e la propria mansione. E qui si apre un tema: la mancata vaccinazione, per lavori non esposti specificamente al rischio contagio, rende il lavoratore inidoneo? «Ci sono attività di contatto con il pubblico come la ristorazione, la scuola, gli ospedali. Per queste attività si può pensare che il lavoratore non vaccinato abbia problemi? Sì. Ma a dirlo deve essere il medico aziendale che potrebbe ritenere quel lavoratore non idoneo alla prestazione perché esposto al contagio. E finché non si vaccina, al massimo il datore di lavoro può valutarne la sospensione. In generale, però, si presentano due tipi di problemi. Il primo riguarda le tempistiche della vaccinazione. Il datore di lavoro non può sapere se e quando al dipendente sia pervenuta la proposta di vaccinazione né può mettersi a fare delle indagini al riguardo; c’è in gioco la privacy. In secondo luogo, il datore di lavoro non può fare valutazioni mediche tali per cui decidere in modo autonomo l’idoneità del lavoratore alla mansione affidatagli», ha risposto il giuslavorista Gianpiero Falasca.
Senza vaccini bisogna aggiornare i protocolli
Per chiarire ancor di più la questione, però, bisogna far riferimento ai protocolli anti-Covid che definiscono le misure da adottare sul posto di lavoro per evitare il contagio. «Questo è lo strumento da utilizzare per capire in quali settori il vaccino sia da considerarsi obbligatorio. Certo, serve un aggiornamento delle norme che deve coinvolgere in prima istanza i rappresentanti di aziende e dipendenti. Il modo del lavoro deve autodeterminarsi. In tal modo, potremmo fare anche a meno di una nuova norma generale che imponga un certo livello di obbligatorietà della vaccinazione. Nel frattempo, non possiamo dire chi sia licenziabile e chi no. Anche qualora il medico competente dichiarasse inidoneo un lavoratore. L’inidoneità, infatti, dovrebbe trasformarsi in una situazione stabile per permettere il licenziamento. E anche in questo caso la prospettiva di perdere il lavoro è molto remota», commenta Falasca.
«Il vaccino non consente di abbassare la guardia sulle altre misure di sicurezza. I datori di lavoro sono i primi che devono rispettare e far rispettare i protocolli di settore. Al di là del fatto che i dipendenti si vaccinino o meno. Certo, poi ci vuole uno sforzo collettivo di convincimento a non opporsi alla somministrazione del vaccino. Per questo potrebbe essere utile dividere le categorie di lavoratori per esposizione al rischio di contagio e stabilire in concreto per quali di queste il vaccino sia una vera e propria misura di sicurezza al pari delle scarpe anti-infortunistiche per i muratori», conclude Scarpelli.
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Alberto Lupini
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