In un mondo sempre più interconnesso, le ripercussioni delle guerre non si limitano ai confini fisici dei paesi direttamente coinvolti. L'attuale panorama geopolitico, segnato da conflitti in diverse regioni, ha iniziato a tessere una rete di conseguenze che si estendono ben oltre i campi di battaglia. Un settore particolarmente sensibile a queste dinamiche è proprio quello del cibo e dell'ospitalità, pilastri fondamentali dell'economia e della cultura italiana.
Le sfide della sicurezza alimentare: dal Covid ai conflitti internazionali
Mentre la guerra in Ucraina continua senza sosta e con prospettive di pace sempre più lontane, eccoci di fronte ad un altro conflitto altrettanto grave e preoccupante che si aggiunge allo scenario mondiale già complesso e fluttuante dopo l’emergenza sanitaria. Israele, seppur piccolo e meno coinvolto nel nostro bilancio export agroalimentare, nel 2022 ha acquistato prodotti made in Italy per un valore di 346,7 milioni e bevande per 48,28 milioni (fonte Osservatorio Economico Mercati Esteri), evidenziando anche in questo caso che il problema rimane importante.
Anche volendo tenersi distanziati dagli aspetti politici, non possiamo non ammettere che tutto ciò influenza in maniera tangibile il settore alimentare: dall'interruzione delle catene di approvvigionamento all'aumento dei costi, passando per le variazioni nei modelli di consumo, le guerre in corso hanno iniziato a lasciare il loro segno, che a mio avviso diventerà indelebile.
Gli equilibri storici ed i mercati globalizzati del food hanno iniziato a scricchiolare durante il Covid, mostrando le debolezze del sistema che nonostante tutti gli sforzi a livello legislativo e regolamentario, oggi confluiscono in maniera significativa a ciò che sempre più esperti ed analisti chiamano “nuovo disordine mondiale”. Termine che rispecchia le sfide emergenti e le dinamiche geopolitiche che stanno ridefinendo la sicurezza alimentare e le catene di produzione e distribuzione degli alimenti che da anni faticano a compiere quel passo in più, necessario e fondamentale per rendere il comparto veramente sostenibile sotto il profilo economico-finanziario, sociale ed ecologico.
La crisi ha spinto molti paesi, compresa l’Italia, a riconsiderare le proprie politiche agricole e di sicurezza alimentare, enfatizzando la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento ed aumentare la produzione interna. Mosse audaci che devono però fare i conti con i mercati energetici e le conseguenze dirette sui costi di produzione e di logistica intermodale.
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E da qui, tutti possono vedere come il conflitto nel Medio Oriente scoperchia un altro enorme problema che ha iniziato a bollire in pentola a pressione come conseguenza dalle sanzioni derivanti dalla guerra tra Russia e Ucraina. E il vapore che fuoriesce da questa pentola diventa sempre più offuscante insieme all’odore di bruciato delle politiche sulle fonti rinnovabili, l’energia green, le pratiche agricole sostenibili e l’adozione di tecnologie di produzione innovative, compone un brodo amaro, che però non riusciamo a smettere di bere a piccoli o grandi sorsi, in base all’andamento dei mercati o delle leggi a volte sensate, a volte no.
La crisi colpisce il settore alimentare: aumento dei prezzi, inflazione in crescita e sgrammatura
I primi sintomi di indigestione di tutto ciò sono facilmente riconoscibili: secondo il Rapporto Coop 2023 in Italia i prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche in due anni sono aumentati del 21,3% e si prevede che nel 2024 cresceranno ancora del 4%. Questi dati però non rappresentano in pieno la situazione reale, perché cresce a dismisura anche il fenomeno della sgrammatura (shrinkflation), mascherato da un cambio di confezione “sostenibile” accompagnato da riduzione del peso o del volume dei prodotti venduti poi allo stesso prezzo di prima.
Il Rapporto mette in chiaro anche un altro fatto: negli ultimi due anni l’inflazione ha abbattuto il potere di acquisto di 6.700 euro pro capite e ha trascinato 27 milioni di italiani in condizioni di difficoltà. Non possiamo fingerci allora sorpresi di scoprire che il 36% delle persone intende ridurre i propri consumi, mettendo così a rischio di crollo anche la mitica e italianissima Dieta Mediterranea, a causa degli aumenti vertiginosi dei prezzi che hanno ridotto di oltre 900mila tonnellate in due anni gli acquisti di ortofrutta.
I numeri si commentano da soli, aggiungo solo che i dati del Rapporto Coop 2023 sono stati presentati esattamente un mese prima dell’inizio del conflitto israeliano. Non vorrei precipitarmi in affrettati allarmismi, ma stare tranquilli sarebbe ancora più sbagliato. Altrettanto inutile e errato secondo me, è continuare a sbandierare slogan di pace, sostenibilità e progresso dietro i quali trapelano interessi economici o, peggio ancora, demagogici.
È fuori discussione il fatto che i conflitti internazionali e le guerre in atto richiedono un significativo intervento umanitario e aiuti finanziari, deviando risorse prezioso che altrimenti potrebbero essere impiegate per affrontare la sicurezza alimentare globale, senza quale non ci sarà futuro per nessuno a prescindere dalla razza, dalla religione o dalle preferenze politiche.
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Alberto Lupini
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