Tutte le responsabilità di TripAdvisor Su “Sette” le (motivate) accuse al Gufo

29 giugno 2017 | 16:49
Oggi “Sette”, l’inserto del Corriere della Sera dedica una serie di pagine ad un’inchiesta su TripAdvisor nella quale si approfondisce la conoscenza della piattaforma internet, ma soprattutto si fanno emergere tutte le problematiche che essa contiene nel suo sistema, poco chiaro e poco corretto. Lo spiega nel suo editoriale in maniera come di consueto diretta e “fine” Beppe Severgnini, direttore di “Sette” e vicedirettore del Corriere. Poiché riprende concetti che Italia a Tavola da tempo sostiene con forza, riportiamo qui il testo integrale del suo editoriale.




Gufi e uccellini, facce e tubi: stessa storia. Qual è la responsabilità delle grandi piattaforme internet? TripAdvisor e Twitter, Facebook e YouTube devono render conto dei contenuti che ospitano? O dobbiamo considerarle semplici veicoli delle informazioni? Vi dico subito come la penso, prima di introdurre la copertina di oggi. Le grandi piattaforme Ott - Over-The-Top (le chiamano così) - sono responsabili dei contenuti che pubblicano, per un motivo semplice: li analizzano, li classificano, li utilizzano per farci i soldi, soprattutto attraverso la pubblicità personalizzata. Non possono lavarsene le mani, appena questi contenuti diventano pericolosi.

La responsabilità è di tre tipi. C’è una responsabilità legale (tema complesso di giurisdizione: quale norme si applicano alla diffamazione di un italiano nei confronti di un tedesco su una piattaforma americana con un server in India e una sede legale a Dublino?). Una responsabilità sociale, ormai accettata da tutti, Facebook in testa (2 miliardi di utenti!). E una responsabilità economica, che coincide con il proprio interesse. Su questa dobbiamo puntare, se vogliamo ottenere risultati. È il caso di TripAdvisor, il sito di viaggi più grande e potente al mondo. Nessun ristorante, nessun albergo, nessuna struttura turistica può permettersi di ignorare le recensioni che ospita (500 milioni scritte da 390 milioni di utenti).
 
Fondato nel 2000 in Massachusetts, oggi ha un valore azionario di 36 miliardi di dollari. Esistono piattaforme simili (Trivago, Booking, Expedia), ma TripAdvisor domina la scena. Nel sito italiano si presenta come un servizio basato sulle “recensioni imparziali dei viaggiatori”. La chiave sta nell’aggettivo: imparziali. Cosa accade se alcune di quelle recensioni sono, invece, a pagamento? Se altre vengono scritte da persone che non hanno mai messo piede nel ristorante che criticano? Se esistono agenzie che offrono pacchetti di recensioni positive a chi intende promuovere il proprio esercizio, e di recensioni negative a chi vuole danneggiare l’esercizio concorrente?

Come leggerete nell’inchiesta di Stefania Chiale (da pagina 18), queste cose accadono. E le vittime potenziali sono molte. I viaggiatori, che dubiteranno di ciò che leggono su TripAdvisor; i ristoratori onesti, che rischiano di essere danneggiati (o addirittura ricattati, nei casi peggiori); la stessa TripAdvisor, il cui modello di business si basa sull’affidabilità delle informazioni. Non è un caso che la società abbia deciso di agire contro le agenzie che offrono recensioni a pagamento. Perché Tripadvisor è forse la prima vittima di questo fenomeno. La credibilità è tutto. Una volta perduta, riconquistarla è difficile, se non impossibile. Lo stesso discorso vale per le altre piattaforme citate in apertura. L’incapacità di gestire la mole di odio sta affossando Twitter (che cede terreno a Instagram); la disinformazione premeditata (fake news), preoccupa Facebook, anche per le implicazioni politiche; l’orrore di alcuni video apparsi su YouTube inquieta Google, che studia come impedirne il caricamento e la diffusione. Perché reagiscono, i giganti del web? Perché sono consapevoli delle proprie responsabilità legali e sociali? Anche. Ma soprattutto perché ne va della loro reputazione, che vale molti miliardi. E ai miliardi, negli Usa, ci tengono. Oh, se ci tengono!


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Alberto Lupini


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