Turismo, il Ministero c'è, ma ora è tutto da costruire

La grande sorpresa del Governo Draghi non rappresenta una vera e propria novità perchè nella storia della Repubblica ci sono già stati dei tentativi, non tutti andati a buon fine . L'iniziativa è ben augurante, ma ora bisogna strutturare uno staff capace e con portafoglio in grado di soddisfare le necessità del settore

19 febbraio 2021 | 08:30
di Alberto Lupini
Si fa presto a dire ministero del Turismo. Da tempo le imprese del settore (dagli hotel ai ristoranti, dalle cantine alle agenzie di viaggio) lo volevano. Fipe, Federalberghi e Confindustria Alberghi ne avevano fatto una delle richieste strategiche a Conte, anche per mettere ordine nel settore. E una delle novità del nuovo Governo Draghi è stata proprio il suo avvio. Ma cosa sarà? Sulla carta al momento sembra un po’ come Eva, nata dalla costola di Adamo. Ma come la prima donna di fatto è nudo e quasi senza organizzazione.


Serve costruire uno staff capace

Serve un portafoglio ad un Ministero quasi fantasma
È stato staccato come competenza dal ministero dei Beni Culturali, che a sua volta era stato istituito negli anni Novanta scorporando dal preesistente ministero del Turismo e dello spettacolo. Detto di una storia travagliata che riprenderemo dopo, c’è da dire che dotare di un portafoglio un ministero quasi fantasma, tanto è eterea la sua consistenza fra risorse e personale, sarà il primo compito del neo ministro Massimo Garavaglia (leghista), già viceministro all’Economia nel primo governo Conte. Già, perchè dopo un referendum che lo aveva cancellato servirà una legge ad hoc, magari in forma di decreto.

A parte la dotazione finanziaria di cui potrà godere, andranno completate e irrobustite le competenze e la struttura operativa. Un dato per tutti: l’ultimo Ministro che lo voleva valorizzare, un altro leghista, Gian Marco Centinaio, aveva fatto dell’Enit, il braccio operativo trasferendo la sede del ministero presso l’ente. E in più aveva usato un po’ di soldi dell’altro suo ministero (Politiche agricole) per finanziare alcuni progetti.

Quali competenze avrà?
Ma il vero punto di svolta saranno le competenze. Sarebbe interessante che alcune di quelle del ministero dello Sviluppo economico fossero trasferite qui (pensiamo ai pubblici esercizi e agli hotel, ad esempio). Sarebbe il caso di ripristinare l’accesso al settore rivedendo criteri e licenze (altra competenza da scorporare, in questo caso dal ministero degli Interni). E che dire della folle anarchia del turismo a gestione regionale, con fondi stanziati per valorizzare territori italiani in concorrenza con altri magari vicini ma di altre regioni. Per non parlare dei criteri, assai diversi, con cui nelle diverse regioni si attribuiscono le stelle degli alberghi, o per come si regolamentano gli agriturismi.


Servono nuovi criteri di classificazione

Insomma, se si vuole davvero credere in questo ministero del Turismo se ne deve fare il referente unico (o comunque il principale) di tutte le imprese che prima della crisi del Covid rappresentavano oltre il 14% del Pil italiano. Parliamo di uno dei comparti più vitali e con le maggiori possibilità di sviluppo nei prossimi anni, ma anche di quello più massacrato con la giustificazione di contenere la pandemia. Fra lockdown e chiusure si sono perse 237 milioni di presenze l’anno scorso. Ed è anche per questo che Draghi ha deciso di istituire il Ministero, ponendo il Turismo fra le priorità degli interventi più immediati del suo Governo.

Il Ministero, non una novità
A ben guardare ciò che accade ora con il governo Draghi non è una novità in assoluto. Già in passato il turismo aveva un suo Ministero, sia pure a mezzadria come detto con lo Spettacolo. Era stato infatti istituito con la legge 617/1959, dal secondo governo Segni. Il primo ministro era stato Umberto Tupini Dc). Il dicastero era stato però poi soppresso da uno dei più stupidi referendum popolari, voluto dai radicali e dalle Regioni.

L’ultimo Ministro era stata così la socialista Margherita Boniver fino al 1993, quando a seguito del referendum abrogativo il ministero del Turismo e dello Spettacolo fu cancellato e le sue competenze furono trasferite in due dipartimenti della presidenza del consiglio (del Turismo uno e dello Spettacolo l’altro).


Margherita Boniver (Il Sole 24 Ore)

L’8 maggio del 2009, durante il governo Berlusconi IV, il ministero del Turismo era quasi “risorto” a seguito del Dpr con cui Michela Brambilla fu stata nominata Ministro senza portafoglio, e le furono delegate le funzioni sul turismo con un successivo Dpcm. Al suo posto, nel Governo Monti le funzioni sono state assegnate al Ministro Piero Gnudi che aveva anche la più pesante delega agli Affari regionali. Sarà però solo nel 2013 che si tornerà a parlare, anche se in modo non stabile, di un ritorno in qualche modo “politico” perché i due dipartimenti - divenuti Direzione generale Turismo e Direzione generale Spettacolo dal vivo – furono feriti al ministero dei Beni culturali che perse la competenze sui ”beni ambientali” e fino al 2018 restò anche referente per il Turismo, anche se in modo subordinato e con al massimo un sottosegretario senza poteri e uno staff ridotto all’osso.


Gian Marco Centinaio

La svolta con Conte
Il punto di volta avviene col primo governo Conte, quando il Turismo viene tolto dal ministero dei Beni Culturali ed assegnato a quelle delle Politiche agricole sotto la guida di Gian Marco Centinaio che ne avvia la ricostruzione affidando come detto la struttura operativa all’Enit e avviando una strategia di promozione del turismo enogastronomico, fino ad allora mai considerato dalle istituzioni. Il secondo Governo Conte riporta però il Turismo ai Beni culturali gestiti da Dario Franceschini che, complice anche la pandemia lo abbandona a sè stesso. Al punto che di fronte all’insoddisfazione generale del settore, Draghi ne fa, per la prima volta nella storia della Repubblica, un Ministero a sè (senza altre aree in sovrapposizione) con tanto di portafoglio, ma con tutta una struttura da riempire.

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