Un trovatello può diventare un campione del tartufo, ma la genetica richiede generazioni
Pino Crestini, maestro cavatore e custode del bosco per la Toscana, spiega il lungo lavoro dietro alla selezione dei cani da tartufo: «la genetica è tutto, ma servono impegno e generazioni di selezione»

Da quasi cinquant’anni, Pino Crestini dedica la sua vita ai cani da tartufo. L’olfatto, la resistenza e il legame con il cavatore sono le tre colonne portanti per formare un vero campione del tartufo. Ma non basta: servono anni di selezione meticolosa. Un cane di primo, secondo o terzo livello inizia a fiutare i tartufi già a sei mesi, ma solo a un anno diventa un professionista, come fosse un diciottenne pronto a entrare nel mondo degli adulti.
Pino Crestini è considerato uno dei massimi esperti italiani del settore, e ogni sua intervista è un’occasione per ribadire l’importanza del rispetto per il bosco e per un mestiere che richiede sacrificio, competenza e rigore.
La genetica
La selezione genetica è un tassello fondamentale: non basta l’allenamento, serve un’attenta pianificazione per allevare cani con il giusto temperamento, meno attratti dalla caccia e più concentrati sulla ricerca del tartufo. Ma anche con incroci mirati, non esiste la certezza matematica di ottenere il fiuto perfetto: è un lavoro di generazioni.
L’appello
Oggi il mondo del tartufo ha bisogno di una vera strategia. La produzione è in calo e non bastano più passerelle o autocelebrazioni. Servirebbe un piano nazionale serio, che metta ordine nel settore e tuteli il patrimonio tartufigeno italiano, prima che sia troppo tardi.
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Alberto Lupini