A Treviso non ci sono i “4 Ristoranti” per Borghese: cresce la diffidenza per la tv

Dopo il grande successo delle prime edizioni, il programma di Alessandro Borghese “4 Ristoranti” sta incontrando qualche difficoltà nel trovare locali disposti a partecipare, come nel caso di Treviso e del Cremonese . I ristoratori ora guardano con cautela alla vetrina televisiva, temendo che la spettacolarizzazione e i tempi rapidi possano distorcere l'autenticità del loro lavoro

12 novembre 2024 | 18:12

Dal palcoscenico della tv al racconto faccia a faccia con il cliente. Dopo il boom delle passate edizioni, Alessandro Borghese sta incontrando sempre più difficoltà a trovare i locali per girare i suoi 4 Ristoranti. Se da un lato la vetrina televisiva può portare notorietà, dall’altro i tempi e le esigenze narrative del format rischiano di non essere compatibili con il racconto dell’esercente.

Da Cremona a Treviso, non ci sono 4 Ristoranti

A Treviso, la società Banijay, che produce il programma 4 Ristoranti, infatti non sta riuscendo a trovare abbastanza locali per mettere in piedi la puntata in città. Una difficoltà già emersa in passato, quando Borghese e il suo staff avevano dovuto rinunciare ad inserire il centro trevigiano in programmazione.

Anche nel Cremonese, però, la ricerca è stata tutt’altro che agevole. Secondo quanto riporta CremonaSera, la produzione di Borghese avrebbe incassato rifiuti eccellenti: almeno cinque locali avrebbero infatti gentilmente declinato l’invito, anche se poi una quadra potrebbe essere stata trovata in un territorio già teatro di una puntata in cui a sfidarsi furono il Molino San Giuseppe di Soncino, l’Agriturismo Breda de Bugni di Castelverde, la Trattoria Il Gabbiano di Corte de’ Cortesi con Cignone e l'Hostaria San Carlo di Moscazzano. Nell’occasione a vincere era stato il ristorante di Castelverde.

4 Ristoranti, perché tanta fatica?

Se da un lato è presto per dire che la “bolla” televisiva è terminata, dall’altro certamente l’approccio degli esercenti è cambiato. Se nella fase iniziale, infatti, si affrontava con disinvoltura la competizione sul piccolo schermo forti della convinzione che avere quel tipo di visibilità e ritorno di immagine sarebbe valso la candela, oggi si valuta con più attenzione se questo tipo di esposizione porti o meno dei vantaggi alla propria attività.

«Comprendo - spiega Aldo Cursano, vicepresidente vicario della Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi - il valore della cautela e dell'attenzione nel mettersi in gioco, perché in questo settore l’essere è più importante dell’apparire. Un’esperienza autentica è costruita su relazioni umane e tempi adeguati, e non sempre può essere ridotta in un format televisivo. Alla fine, c’è chi preferisce concentrarsi su ciò che davvero conta, cioè l’esperienza che un ristoratore crea per il proprio ospite. Dietro un piatto ci sono talento e passione, ma c’è anche una storia fatta di lavoro quotidiano che a volte non si può rappresentare in modo efficace in pochi minuti. In questo mondo, chi è legato alla sostanza spesso preferisce non esporsi in contesti che rischiano di distorcere ciò che davvero rappresenta il valore di un’osteria o di un ristorante».

Ristoranti in tv e la sfida del tempo

Anche perché tra tempi televisivi e tagli a fini narrativi, il rischio non è solo quello di perdere il controllo della propria narrazione, ma anche con il rischio di dare un’idea opposta. E allora molti preferiscono relazionarsi direttamente con i propri clienti e affidarsi al passaparola, che ha il pregio di portarsi in dote un grado di autenticità maggiore. «La natura di questi mestieri - aggiunge Cursano - è radicata in una complessità e in una storia personale che rischiano di essere fraintese. Questa dinamica può portare anche a competizioni o rivalità che potrebbero travisare la realtà di chi lavora con dedizione. La comunicazione televisiva e sui social, che spesso privilegia rapidità e spettacolarità, non sempre riesce a raccontare in modo efficace ciò che c’è di autentico dietro le quinte, provocando talvolta giudizi affrettati e ferendo chi dedica la propria vita al mestiere».

Dopo il successo delle prime edizioni, il programma di Borghese continua ad essere seguito, ma molti ristoranti si chiedono se il format - che prevede anche un confronto tra ristoratori di una stessa zona che in molti casi si fa fin troppo acceso - sia il veicolo migliore per raccontare questa complessità che sta alla base delle attività di ristorazione. «La televisione e la spettacolarizzazione - ammette il vicepresidente vicario della Fipe - si conciliano poco con il nostro modo di operare e gestire la complessità di queste attività. I tempi televisivi, così come la necessità di catturare l’attenzione del pubblico, finiscono spesso per semplificare eccessivamente un lavoro che è fatto di sacrificio, ricerca, e una cura che raramente si può comunicare in pochi secondi».

Ristoranti, uno stile poco televisivo

«Dietro ogni piatto - conclude Cursano - si cela un intero mondo, fatto di scelte e di passione, e spesso questo non riesce a essere raccontato pienamente attraverso la televisione. Esiste una distinzione netta tra il “fast food” e lo “slow food”: l’esperienza di ristorazione autentica si apprezza meglio con calma, in modo attento e consapevole, e non si adatta facilmente a certi strumenti mediatici che tendono a sintetizzare e, talvolta, a confondere invece di chiarire. È per questo che sempre più spesso i ristoratori guardano con cautela a questi mezzi di comunicazione, pur riconoscendone il potenziale attrattivo. Se l’attrazione mediatica non viene poi sostenuta dalla sostanza, si rischia di offrire un’immagine ingannevole, come una partita di “tre carte” che non rappresenta il reale valore di un locale».

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Alberto Lupini


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