Lestamente la blockchain smette i panni dell’oggetto sconosciuto e diviene nota come tecnologia abilitante scenari prossimi venturi anche nel mondo dell’agroalimentare. Essa costituisce core business di start-up tecnologiche e di consolidate realtà multinazionali. Tra costoro, Connecting Food che ha da qualche mese ha sede anche in Italia, a Milano. Abbiamo conversato con Alessandro Conti, Country Manager Italy che si occupa in prevalenza dell’attività di Go-to-market e sviluppo business nella regione Sud Europa, Italia e Spagna in particolare-
Ciao, Alessandro. Ci spieghi bene cosa è la blockchain? Si tocca? È tangibile? Quanto costa? A cosa serve?
In parole povere, una blockchain è un database distribuito. Una sorta di registro delle transazioni dove i dati non sono memorizzati su un solo computer, ma su più macchine collegate tra loro via Internet. Il collegamento avviene attraverso un’applicazione dedicata che permette di interfacciarsi con la “catena” (chain), fatta di blocchi (block) di dati che memorizzano transazioni. Per essere consolidato all’interno di un blocco, ogni dato, e successivamente ogni blocco prima di essere inserito nella “catena”, viene sottoposto a un processo di validazione.
Nel caso specifico di Connecting Food, come adoperate la blockchain?
Nel caso di Connecting Food (connecting-food.com), la tecnologia blockchain è una tecnologia abilitante, sopra la quale abbiamo sviluppato una soluzione business creata ad hoc per gli operatori del settore agroalimentare. Il suo ruolo, nel nostro caso, è notarizzare in maniera permanente e infalsificabile le transazioni che avvengono lungo la supply chain.
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Tra le definizioni che si danno di questa corrente economia, essendo oramai vetero e non più attuale la definizione di economia industriale, c'è quella di trust economy ed anche di reputation economy. La blockchain concorre a dare senso a queste due nuove label?
Inevitabilmente la tecnologia (in senso lato) sta trasformando il concetto di “fiducia”. Si pensi allo sviluppo di Airbnb o BlaBlaCar per esempio. La fiducia tra le persone nell’evoluzione del tech è diventata centrale, non solo perché avvengono delle transazioni in rapporti tra sconosciuti, ma di fatto il mondo digitale traccia le esperienze creando “capitale reputazionale”. In questo paradigma, la tecnologia blockchain può svolgere un ruolo di “intermediario di fiducia” digitale. Seppur ancora giovane come tecnologia, il mondo Fintech ne sta già apprezzando i benefici in questo senso.
La sfida è riuscire a traslare in maniera efficace l’applicazione di questa tecnologia in altri settori verticali, come sta facendo Connecting Food nell’agroalimentare, un settore le cui specificità e criticità sono distanti dal mondo finance.
Ed è proprio sull'agroalimentare che volevo approfondire. Come impatta la blockchain nello specifico dell'agroalimentare? Sarà il vero vettore del tragitto from Farm 2 Fork il cui approdo dovrebbe essere nel 2030?
L’applicazione delle tecnologie Dlt (Distributed Ledger Technology) nel settore agroalimentare è in fase esplorativa, una blockchain non abbinata ad una soluzione business verticale non risolve nessun tipo di problema. Come è noto, anche per la blockchain vale il principio “Garbage in, Garbage out” (letteralmente: immondizia immetti, immondizia ne esce) secondo il quale se si inseriscono input (informazioni) errate nel sistema, l’output esiterà informazioni ugualmente errate.
Il vero vettore del tragitto Farm to Fork a mio avviso si sviluppa su due binari paralleli: da un lato, nell'attività di creazione e raccolta dati lungo la food chain, dove è fondamentale assicurare l’oggettività dell’informazione.
Questo può avvenire attraverso la digitalizzazione, con l’utilizzo di IoT (Internet of Things), sensori o altre tecnologie che garantiscono l’oggettività dell’informazione. Dall’altro lato, è necessaria un’applicazione business basata su tecnologia blockchain in grado di standardizzare, centralizzare e organizzare questi dati per rispondere ai bisogni del settore, che sono sempre più data-driven.
Alessandro, mettiamoci nei panni del cittadino adulto e consapevole che talvolta mangia al ristorante e che sovente, con una componente di piacevolezza, fa la spesa food. Ecco, come ci poniamo al cospetto della blockchain? È una black box? È un oggetto misterioso? È il disvelatore di magagne? È la bocca della verità?
Bella domanda! Paradossalmente, l’utilizzo della tecnologia blockchain come buzz word o termine di marketing ha danneggiato la blockchain stessa.
Per assicurare il consumatore e tutelare quelle aziende che rispettano impegni di qualità, sostenibilità, made in italy ecc. è necessario digitalizzare le filiere agroalimentari in maniera trasversale, da monte a valle.
Come menzionato diverse volte dai Ministri del Mipaaf, da Centinaio a Bellanova e adesso Patuanelli, bisogna fare sintesi di filiera e rafforzare la collaborazione verticale per continuare ad aumentare la nostra competitività nel mercato internazionale.
Ecco, Connecting Food, attraverso l’utilizzo della blockchain ma anche di altre tecnologie, ha sviluppato uno strumento collaborativo che permette di facilitare la coordinazione tra gli attori di filiera e di minimizzare l’asimmetria informativa, condividendo dati e informazioni dai produttori fino ai consumatori, passando per tutti gli altri attori della supply chain.
Blockchain a supporto di trasparenza e tracciabilità, coerentemente alle linee guida della green economy.
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Alberto Lupini
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