Il tè, la bevanda più consumata dopo l'acqua: storia e tradizioni

Il tè è la bevanda più consumata al mondo, dopo l’acqua naturalmente, ma spesso viene presa sottogamba nelle colazioni dai locali e dagli alberghi. Serve puntare sulla qualità e conoscere il prodotto. Proprio per questo, anche in Italia, è fondamentale investire sulla formazione del personale negli alberghi

25 maggio 2023 | 05:00
di Gianluca Pirovano

Dopo l’acqua, il tè è la bevanda più consumata al mondo. La sua storia è millenaria ed è associata a riti e tradizioni che variano da un capo all’altro del mondo. In Italia il tè è sicuramente apprezzato, ma rappresenta ancora una minoranza, soprattutto se si parla di colazioni. I dati dicono che soltanto il 22% della popolazione lo beve per iniziare la giornata.

 

Gli sono, infatti, preferiti caffè e latte. Forse anche per questo nei bar e nei ristoranti, mediamente, l’attenzione che gli si presta è inferiore a quanto accade ad altre latitudini. Un’attenzione che cresce soltanto in locali specializzati o in alcuni, rari, alberghi. Un peccato, ancor di più se si pensa alle potenzialità di un prodotto che, proprio grazie alla sua storia e alla sua diffusione mondiale, offre infinite combinazioni di gusto e proprietà.

 

Quanti tipi di tè esistono?

Ma andiamo con ordine e proviamo prima a rispondere a una domanda all’apparenza semplice: quanti tipi di tè esistono? Di primo acchito si potrebbe rispondere con un generico “infinite”. Approfondendo un po’ di più, si parla di più di 3mila varietà. Nella realtà, però, esiste una classificazione che ne prevede cinque, la cui differenza è data dal tipo di lavorazione della foglia.

 

C’è il tè verde, fatto da foglie non ossidate, che mantengono quindi il loro colore verde; il tè nero, dove le foglie sono, invece, molto ossidate e, quindi, anneriscono; il tè Oolong, che è una sorta di via di mezzo tra i primi due e per questo viene detto anche tè semi-ossidato; il tè bianco, che si ottiene dalle gemme o dalle prime foglie della pianta; il tè fermentato, le cui foglie vengono fatte invecchiare per più tempo di quanto si faccia abitualmente.

Bustina o foglie: come è meglio bere il tè?

Come dicevamo qualche riga più in su, l’attenzione al tè in molti bar non è altissima. Il risultato è che, nell’immaginario comune, quando si chiede un tè al bar non è che si abbiano particolari pretese, anzi. La scelta per il cliente si riduce, mediamente, a poche bustine “generiche”: un tè per la colazione, un tè verde e uno più adatto per il pomeriggio, quando va bene. Una situazione comune anche in molti alberghi di fascia media e di fascia bassa. Qualcosa però sta cambiando, non tanto nell’atteggiamento del mercato, ma nella tecnologia del prodotto.

 

Ora, è naturale che il modo migliore per gustare il tè sia quello di lasciare in infusione direttamente le foglie. Questo permette, infatti, al tè di sprigionare tutte le sue caratteristiche di gusto e d’olfatto e di esprimersi al meglio. C’è chi, la maggioranza, lo fa utilizzando degli appositi filtri in metallo e chi, la minoranza, preferisce farlo da “purista”, lasciando direttamente le foglie in infusione. In entrambi i casi, serve comunque pazienza. Il tè, dicevamo, è un rito e dovrebbe avere i suoi tempi.

 

Ma qual è, quindi, il cambiamento di cui parlavamo? Serve concentrarsi sulla fetta più importante del mercato di bar e hotel, quella delle bustine. In origine e per molti anni, le bustine sono state sinonimo di tè di medio-bassa qualità. Questo perché al loro interno si trovava, di fatto, soltanto polvere. Nessuna traccia di foglie.

Una situazione che ha portato, a livello industriale, a un appiattimento del tè in bustina, che perde le sue caratteristiche. Una situazione che, negli ultimi anni, è però cambiata. Sempre più spesso, infatti, i produttori adattano la bustina al tipo di tè e danno spazio anche a miscele più “grossolane”, con foglie a volte anche intere e con, quindi, una maggiore qualità e un gusto ogni volta diverso.

In conclusione, per dare una risposta alla domanda su come sia meglio bere il tè, è naturale che la scelta di utilizzare le foglie sia migliore, perché evita la standardizzazione del gusto e mantiene intatta le caratteristiche del prodotto, ma è anche vero che, anche in bustina, è possibile servire un tè di buona, se non ottima, qualità.

I consigli per servire al meglio il tè

Preso atto di questa possibilità, la palla passa quindi a bar e hotel. È raro, a eccezione degli alberghi di alta gamma, trovare proposte accattivanti per quanto riguarda il tè, così com’è raro trovare bar attenti sul tema. Non basterebbe molto, soltanto qualche accorgimento, per dare valore e peso a un prodotto apprezzato a livello internazionale. Quali? Offrire al cliente una “carta dei tè”, per esempio, a cui abbinare magari prodotti, dolci o salati, che si sposino con le diverse caratteristiche del tè scelto.

 

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Anche la tazza ha un suo peso: il tè non va servito nelle stesse tazze del cappuccino. E ancora, spiegare al cliente i giusti tempi di infusione, diversi tra un tè e l’altro. E, infine, prestare la giusta attenzione anche alla temperatura dell’acqua. Il rischio, nel caso in cui venga servita un’acqua bollente, è di rovinare il tè, se si è scelto di non servirlo in bustina.

 

C’è poi un aspetto che sicuramente rende complesso a molti bar e hotel la gestione del tè: la sua conservazione. Non conservarlo al meglio significa rovinarlo e metterne a rischio gusto e aromi. È necessario, infatti, tenerlo in un luogo fresco e lontano dalla luce diretta del sole, a cui le foglie sono sensibili. La temperatura ideale? Intorno ai 19°. Il contenitore ideale? Un barattolo di latta, certo meno spettacolare dei vasetti di vetro, ma più adatto alla conservazione del tè.  

Formazione e cultura per bar e hotel

In definitiva, se vi siete chiesti anche voi come mai sia così difficile bere un tè di qualità al bar e negli hotel italiani, vi sarete accorti di come non esista una risposta unica, ma tante piccole questioni. Il tè rappresenta, almeno nel Belpaese, un prodotto di nicchia per il fuori casa e questo porta, in un circolo vizioso, ad avere da un lato un’offerta non sempre all’altezza e dall’altro una clientela non abituata a consumare il tè e quindi poco interessata alla qualità.

 

Come fare? Investire in primis sulla formazione, che deve partire dai fornitori e arrivare a locali e alberghi. In secondo piano, non nascondersi dietro alla frase “in Italia non c’è la cultura del tè”, ma proporre questa cultura del tè in maniera attenta e rispettosa. Di certo, il consumatore attento, saprà cogliere e apprezzare.

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Alberto Lupini


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