Tari, in sei anni la tassa è raddoppiata 1,2 miliardi da commercio e turismo
20 luglio 2015 | 15:51
Salasso da rifiuti. La Tari, la Tassa sui rifiuti che ha sostituito la Tares, potrebbe costare quest’anno ai contribuenti fino a 10 miliardi di euro, di cui 4 a carico delle sole imprese. L’aumento, di circa il 20% sullo scorso anno e di oltre il 100% dal 2008, è dovuto al susseguirsi di nuove tasse e poi di ritocchi verso l’alto della tariffa da parte dei comuni in tutta Italia. Particolarmente tartassate le imprese della somministrazione e del turismo: da alberghi, ristoranti e bar arrivano complessivamente 1,2 miliardi del gettito Tari.
È quanto stima Confesercenti, sulla base di un’indagine sull’incidenza della Tassa sui Rifiuti nei vari capoluoghi di regione italiani con l’esclusione di Trento dove vige una tariffa non confrontabile. L’analisi è partita da campioni tipo di diverse tipologie di imprese del commercio e del turismo, al fine di effettuare su questi un’analisi statistica dei rispettivi tributi applicati nei diversi comuni presi in considerazione. Dalle rilevazioni emerge una vera babele tributaria in cui, a parità di condizioni, si rilevano forti differenze da città a città non solo in merito all’importo della tassa, ma anche in merito alle esenzioni e alle agevolazioni e relativamente alla qualità del servizio e alla sostenibilità ambientale.
Tra i comuni capoluogo d’Italia è quello di Napoli dove si registra la Tari media più alta a carico delle imprese del commercio e del turismo esaminate: 5.567,89 euro, un valore l’84% superiore a quello di Milano. In seconda posizione Firenze, dove le attività dei due settori pagano in media 4.975 euro l’anno, seguita da Roma (4.902 euro). La Tari media più leggera si paga invece a L’Aquila: sono 1.473 euro l’anno, il 278% in meno rispetto a Napoli. Bisogna considerare, però, che il comune abruzzese sembra aver scelto di mantenere basso il tributo, una posizione di tipo politico dell’amministrazione locale per non gravare ulteriormente sulle attività commerciali e turistiche della città, già provate dal sisma (i cui sgravi di emergenza sono terminati nel 2011) e dalla crisi economica degli ultimi anni. Dopo L’Aquila, la Tari media più leggera si versa ad Aosta (1.745,03 euro), seguita in terza posizione da Campobasso (1.881,09 euro).
Tra le categorie di impresa, la Tari pesa soprattutto sugli alberghi: l’esborso arriva fino agli oltre 15mila euro annuali richiesti a Napoli. L’Aquila è il comune dalla mano più leggera: solo 3.249 euro. Elevatissimo anche il contributo richiesto a ristoranti, trattorie e pizzerie, seconda categoria più tartassata: per un’attività di 200 metri quadri, si può giungere a pagare, a Venezia, quasi 12mila euro l’anno. Oltre cinque volte l’importo di Campobasso, dove si pagano poco più di 2.400 euro. Il Comune di Venezia è il più caro anche per un bar, caffè o pasticceria. L’amministrazione ha distinto la tariffa applicata al centro storico con quella applicata alla terraferma: sono entrambe le più elevate, con rispettivamente 4.663,05 € e 4.382,70 € di spesa. Ad Aosta l’esborso è di circa 900 euro.
Il peso dell’imposta scende considerevolmente se si considerano gli esercizi commerciali per la vendita di alimenti. In questo contesto è a Torino la Tari più cara, con un importo vicino ai 3.900 euro. Le tariffe più basse all’Aquila (817 euro). Per i negozi d’abbigliamento Roma risulta il Comune con la Tari maggiore: si pagano oltre 2.300 euro. Un importo incommensurabile rispetto a quello pagato dai commercianti di Milano: nonostante le due città abbiano dimensioni simili, i colleghi milanesi pagano 824 euro, un terzo dei romani. All’Aquila pagherebbero solo 400 euro.
Nemmeno le bancarelle sfuggono alla Tari, considerate dalla tassa alla stregua di un’attività fissa di tipo annuale. Se si prende in esame un banco di mercato di generi alimentari, la tariffa più alta è a Genova, dove raggiunge i 1.522 euro. La Tari più bassa, invece, si paga ad Aosta: 426 euro. Il valore massimo di spesa per la Tari per i distributori di carburanti è risultato quello del Comune di Potenza, pari a 1.957 euro, poco più dei 1875 euro pagati a Roma. Piuttosto distaccata Firenze, che chiede 1.382 euro. Il valore più basso, ancora una volta, è quello dell’Aquila, pari a circa 372 euro, seguita da Campobasso (532 euro) e Aosta (600).
«Più che una tassa legata ad un servizio - spiega Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti - la Tari sembra essere ormai diventata un’imposta locale basata sulla superficie dell’attività e del tutto slegata dalla effettiva produzione di rifiuti e dall’efficienza dei sistemi di raccolta. Un tributo salatissimo, che praticamente in tutti i comuni non appare proporzionato né ai consumi prodotti né al servizio ricevuto e che sta mettendo in ginocchio le imprese del commercio e del turismo. Ci sono state già proteste in molti comuni in tutta Italia. Per questo scriveremo al presidente del Consiglio Renzi e al presidente dell’Anci Fassino per individuare soluzioni».
«La difformità territoriale non è l’unico problema», spiega ancora Vivoli. «Il prelievo della tassa sui rifiuti è cresciuto continuamente negli anni, non solo per le imprese “inquinanti”, ma anche per quelle più attente, che riciclano e producono meno rifiuti. È evidente, a questo punto, che occorra rivedere al più presto la struttura dell’attuale sistema di prelievo, ridefinendo con maggiore puntualità coefficienti e voci di costi in base al tipo e al quantitativo e qualità di rifiuti effettivamente prodotti, premiando piuttosto chi mette in atto azioni di riduzione della produzione dei rifiuti e chi ricicla. L’annunciata istituzione della Local Tax è l’occasione giusta per evitare che, per una volta, l’imposta diventi l’ennesimo strumento per mascherare le inefficienze delle amministrazioni locali spalmando i costi impropri sulle imprese».
È quanto stima Confesercenti, sulla base di un’indagine sull’incidenza della Tassa sui Rifiuti nei vari capoluoghi di regione italiani con l’esclusione di Trento dove vige una tariffa non confrontabile. L’analisi è partita da campioni tipo di diverse tipologie di imprese del commercio e del turismo, al fine di effettuare su questi un’analisi statistica dei rispettivi tributi applicati nei diversi comuni presi in considerazione. Dalle rilevazioni emerge una vera babele tributaria in cui, a parità di condizioni, si rilevano forti differenze da città a città non solo in merito all’importo della tassa, ma anche in merito alle esenzioni e alle agevolazioni e relativamente alla qualità del servizio e alla sostenibilità ambientale.
Tra i comuni capoluogo d’Italia è quello di Napoli dove si registra la Tari media più alta a carico delle imprese del commercio e del turismo esaminate: 5.567,89 euro, un valore l’84% superiore a quello di Milano. In seconda posizione Firenze, dove le attività dei due settori pagano in media 4.975 euro l’anno, seguita da Roma (4.902 euro). La Tari media più leggera si paga invece a L’Aquila: sono 1.473 euro l’anno, il 278% in meno rispetto a Napoli. Bisogna considerare, però, che il comune abruzzese sembra aver scelto di mantenere basso il tributo, una posizione di tipo politico dell’amministrazione locale per non gravare ulteriormente sulle attività commerciali e turistiche della città, già provate dal sisma (i cui sgravi di emergenza sono terminati nel 2011) e dalla crisi economica degli ultimi anni. Dopo L’Aquila, la Tari media più leggera si versa ad Aosta (1.745,03 euro), seguita in terza posizione da Campobasso (1.881,09 euro).
Tra le categorie di impresa, la Tari pesa soprattutto sugli alberghi: l’esborso arriva fino agli oltre 15mila euro annuali richiesti a Napoli. L’Aquila è il comune dalla mano più leggera: solo 3.249 euro. Elevatissimo anche il contributo richiesto a ristoranti, trattorie e pizzerie, seconda categoria più tartassata: per un’attività di 200 metri quadri, si può giungere a pagare, a Venezia, quasi 12mila euro l’anno. Oltre cinque volte l’importo di Campobasso, dove si pagano poco più di 2.400 euro. Il Comune di Venezia è il più caro anche per un bar, caffè o pasticceria. L’amministrazione ha distinto la tariffa applicata al centro storico con quella applicata alla terraferma: sono entrambe le più elevate, con rispettivamente 4.663,05 € e 4.382,70 € di spesa. Ad Aosta l’esborso è di circa 900 euro.
Il peso dell’imposta scende considerevolmente se si considerano gli esercizi commerciali per la vendita di alimenti. In questo contesto è a Torino la Tari più cara, con un importo vicino ai 3.900 euro. Le tariffe più basse all’Aquila (817 euro). Per i negozi d’abbigliamento Roma risulta il Comune con la Tari maggiore: si pagano oltre 2.300 euro. Un importo incommensurabile rispetto a quello pagato dai commercianti di Milano: nonostante le due città abbiano dimensioni simili, i colleghi milanesi pagano 824 euro, un terzo dei romani. All’Aquila pagherebbero solo 400 euro.
«Più che una tassa legata ad un servizio - spiega Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti - la Tari sembra essere ormai diventata un’imposta locale basata sulla superficie dell’attività e del tutto slegata dalla effettiva produzione di rifiuti e dall’efficienza dei sistemi di raccolta. Un tributo salatissimo, che praticamente in tutti i comuni non appare proporzionato né ai consumi prodotti né al servizio ricevuto e che sta mettendo in ginocchio le imprese del commercio e del turismo. Ci sono state già proteste in molti comuni in tutta Italia. Per questo scriveremo al presidente del Consiglio Renzi e al presidente dell’Anci Fassino per individuare soluzioni».
«La difformità territoriale non è l’unico problema», spiega ancora Vivoli. «Il prelievo della tassa sui rifiuti è cresciuto continuamente negli anni, non solo per le imprese “inquinanti”, ma anche per quelle più attente, che riciclano e producono meno rifiuti. È evidente, a questo punto, che occorra rivedere al più presto la struttura dell’attuale sistema di prelievo, ridefinendo con maggiore puntualità coefficienti e voci di costi in base al tipo e al quantitativo e qualità di rifiuti effettivamente prodotti, premiando piuttosto chi mette in atto azioni di riduzione della produzione dei rifiuti e chi ricicla. L’annunciata istituzione della Local Tax è l’occasione giusta per evitare che, per una volta, l’imposta diventi l’ennesimo strumento per mascherare le inefficienze delle amministrazioni locali spalmando i costi impropri sulle imprese».
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Alberto Lupini
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