Tagli dell'Iva? A bar e ristoranti servono aliquote uguali per tutti
Dopo le sparate sulla riduzione delle aliquote, Conte fa marcia indietro. Lo stesso prodotto non può essere tassato a seconda di come è venduto: asporto o somministrazione . Le proposte estemporanee del Premier non convincono: per essere efficaci servirebbero tagli per 10 miliardi di euro
23 giugno 2020 | 15:31
di Alberto Lupini
Eppure sull’Iva e sulle tasse non si può proprio scherzare. È vero che per il Covid-19 abbiamo cancellato gli aumenti dell’Iva previsti dalle “clausole di salvaguardia”, che prevedevano un aumento automatico dell’Iva se non fossero stati raggiunti determinati obiettivi di contenimento del deficit pubblico, ma ora ridurla non è uno scherzo. Soprattutto se non si hanno idee chiare. Tagliare l’Iva per rilanciare i consumi può anche essere un’idea. In Germania, Paese che non ha evasioni fiscali ai nostri livelli, l’aliquota generale del 19% (più o meno la nostra del 22%) è scesa al 16% e quella dei generi alimentari dal 7% al 5%. Tutto bene? Si, forse, ma… Il solo fatto di parlarne senza deciderlo subito (a Berlino è stata questione di 24 ore) rischia infatti di deprimere ancora di più i consumi. Dopo 3 mesi di acquisti ai minimi, per molti consumatori l’idea di qualche sconto in vista fa rinviare ulteriormente le spese. E questo non fa certo bene al Paese che ha bisogno di riavviarsi. È l’ABC di un corso di economia politica, che forse il premier … non ha mai studiato.
Gli italiani non hanno bisogno della politica delle conferenze stampa e degli annunci. Gli italiani hanno bisogno di fatti: di cassa integrazione pagata, di finanziamenti alle imprese, di semplificazione burocratica, di investimenti in grandi opere e nella sanità.
Anche perché, tornando all’Iva, il punto centrale è che dietro l’Iva c’è un complesso sistema che andrebbe semplificato. Anche perché, come ricorda ConfCommercio, per avere un qualche effetto, il taglio dovrebbe avere almeno un valore di 10 miliardi di euro. Il che costringe Conte e il Governo a fare un po’ di conti. E se pensiamo che fra i comparti che hanno maggiore bisogno d una boccata d’ossigeno c’è tutto il mondo del cibo, dell’accoglienza e che turismo, su cui gravano aliquote diverse che creano non pochi problemi. Pensiamo solo a quei locali che hanno deciso di fare “anche” asporto o delivery. Il piatto è magari lo stesso che va in tavola nel locale, ma se lo si consuma a casa, l’Iva è (o dovrebbe essere) diversa molto diversa...
Purtroppo al momento Conte, che fosrse non aveva studiato bene i dossier, ha parlato solo di possibili tagli e non di revisione delle aliquote (4%, 5%, 10% e 22%). La scusa è che si tratterebbe di provvedimenti a durata breve, come se in Italia le cose provvisorie non fossero quelle più stabili nel tempo.
La riduzione dell’Iva, per essere efficace, dovrebbe in particolare prevedere un taglio di almeno 3 punti sull’aliquota del 22%, che potrebbe scendere al 19%. E questo perché ogni punto di Iva a quello livello vale circa 3,4 miliardi di euro di gettito per l’Erario. Con il che si raggiungono i 10 miliardi prima indicati.
Ma vediamo a livello generale quali sono le categorie merceologiche sottoposte ai 4 diversi scaglioni dell’aliquota Iva, precisando che tra i prodotti e i servizi esenti Iva ci sono i servizi medici, l’istruzione e i servizi domestici. E fin qui poco male.
Improbabili sono ritocchi sull’Iva al 4% che si applica ai beni di prima necessità. Garantisce un gettito di circa 4 miliardi e si applica al 10% dei consumi, ma presenta molte distorsioni. Perché vale ad esempio sui formaggi, sul pane e la pasta, ma sulle uova l’Iva sale invece al 10%? Ugualmente senza senso sembra l’aliquota del 5% sulle spezie… o sulle mascherine, che pure potrebbero essere messe in esenzione Iva come servizi medici.
Oltre alle ricordate uova, anche la carne, il pesce, le caramelle, i dolci o lo yogurt sono sottoposti al 10% (e questo già crea oggi dubbi seri sulla ratio della divisione). Lo stesso scaglione vale però anche per artigiani e per gli alberghi. E qui nasce una questione di raccordo fra tutte le imprese che operano nel mondo dell’accoglienza o del turismo (vale anche per treni ed aerei). Ci sono infatti casi specifici che dimostrano l’assurdità burocratica del sistema IVA. Una bevanda consumata al bar è sottoposta ad esempio al 10% di Iva, ma se venduta d’asporto o in delivery va sottoposta all’aliquota che vale per quel bene. Il vino ad esempio è al 22%... Ovviamente lo stesso vale (e diventa ancora più complesso) per i ristoranti …
Il peso più grosso dell’Iva è peraltro quello del 22% garantisce un gettito di circa 74 miliardi di euro. Si va dal caffè alle sigarette, dal parrucchiere alle automobili e al ricordato vino. Si può intervenire su qualcosa? Difficile immaginarlo senza una riforma organica … e forse nemmeno Conte sapeva bene cosa stava dicendo agli Stati Generali.
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Alberto Lupini