Tagli a contributi previdenziali e stop al lavoro nero, solo così il turismo può ripartire
Con l'addio alle mascherine, la pandemia sembra finalmente un ricordo. Sul mondo dell'accoglienza incombe però la mancanza di personale. È necessario ripartire dalle scuole e intervenire sul costo del lavoro
Camerieri, cuochi e baristi sono ora esentati dall’obbligo della mascherina. Tutte le misure di sicurezza adottate in due anni (dai distanziamenti alle vaccinazioni, fino al super green pass) ci hanno permesso di rimettere in pista tutto il mondo dell’accoglienza: dalle discoteche agli hotel, dai bar alle pizzerie, si è tornati di fatto alla “quasi” normalità. La vittoria sul virus ha però comportato perdite e vittime. Non siamo ancora tornati a livelli di lavoro pre pandemia, ma ci stiamo avvicinando (nonostante l’inflazione che spinge al ribasso i consumi) e molti locali non hanno più riaperto, ma forse a conti fatti non è un male visto l’eccesso di offerta (spesso non qualificata) che avevamo negli ultimi anni.
Il vero problema che ci lascia in eredità il covid (sperando che dalla Cina non ci torni una quinta ondata in autunno) è però la carenza di personale. Tutto il mondo del turismo è in crisi. Non mancano solo camerieri o cuochi, non si trovano nemmeno bagnini o guide.
Carenza di personale: cause e conseguenze
Le motivazioni di questa scomparsa di personale sono tante e non strettamente legate fra loro, anche se la crisi del comparto le ha fatte emergere contemporaneamente. Si va dalla scarsa formazione scolastica alla disaffezione verso un lavoro pesante e a volte scarsamente remunerativo, dalla “concorrenza” del reddito di cittadinanza (che fa restare a casa qualcuno) al combinato disposto di stage non pagati/lavoro in nero/assenza di esperienza.
Il risultato è che le aziende del turismo, che più di altri settori ha sofferto durante la pandemia, potrebbero non riuscire a intercettare fino in fondo la voglia di ripartenza degli italiani e degli stranieri che tornano a mettere l’Italia al primo posto dei desideri. I sold out di Pasqua e 25 aprile a Venezia come in molte località di mare o di montagna sono segnali più che positivi, così come le iniziative del Ministero per promuovere in modo più efficiente l’incoming internazionale (al netto dell’assenza russa). Il timore di ristoratori e albergatori è però quello di non essere in grado di rispondere ad una domanda che oggi più che mai vuole servizi e sicurezza che richiedono personale, possibilmente qualificato, e non fai da te dell’ultimo momento.
Come superare l'emergenza
Riportare i giovani ad apprezzare un lavoro che è fatto soprattutto di relazioni personali, non sarà facile nel breve periodo. Si deve lavorare sulla formazione scolastica (su cui da anni Italia a Tavola chiede riforme radicali che dalle scuole alberghiere porti anche a facoltà di accoglienza) per avere risultati fra 4-5 anni. Al momento bisogna però superare l’emergenza con pochi interventi chiari e trasparenti per cercare di riportare al lavoro in sala o dietro un bancone circa 250mila persone.
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C’è chi propone di utilizzare i rifugiati ucraini, ma al di là del problema della lingua, resta il tema dell’esperienza. E c’è chi, con buon senso, propone di intervenire sul costo del lavoro per garantire stipendi più alti. E in questo caso la strada potrebbe essere quella della sospensione dei contributi previdenziali (trasferendoli a carico dello Stato) almeno per questione periodo transitorio e rendere più remunerativo lavorare nelle aziende dell’Horeca. Una strada che richiede una scelta politica chiara a cui si deve però accompagnare anche quella di controlli e sanzioni pesantissime (fino alla chiusura definitiva dei locali) per estirpare la piaga dei troppi esercizi in cui si consente il lavoro in nero e/o la gestione da parte della criminalità per riciclare denaro sporco.
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Alberto Lupini