La spending review degli italiani non tocca il cibo, ma sono tante le incognite per la Gdo
Dopo la pandemia gli italiani si trovano di nuovo sconvolti da guerra e inflazione. Le tre variabili insieme creano una tempesta perfetta. Questo è quanto emerge dal "Rapporto Coop 2022 - Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani
Pandemia, crisi climatica, guerra, inflazione. Il sommarsi simultaneo di una serie di eventi terribili e imprevisti ha innescato nei primi mesi del 2022 una tempesta perfetta. Questo è ciò che emerge dal “Rapporto Coop 2022 - Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, parte integrante di italiani.coop, il portale di ricerca e analisi sulla vita quotidiana degli italiani curato dall’Ufficio Studi Coop. All’orizzonte un pericoloso nuovo mondo in cui la democrazia è sempre più a rischio (il 40 del Pil globale arriva da Paesi non liberi), cresce la povertà alimentare, il commercio internazionale decresce e l’emergenza climatica è oramai drammatica quotidianità. Se il Pil mondiale sconta un ribasso dal +5,7% del 2021 al +2,9% previsionale del 2022, anche l’Italia vede un inevitabile peggioramento delle sue previsioni di crescita che si attestano a +3,2% per il 2022 e +1,3% per il 2023, mentre la doppia dipendenza dell’Europa dall’area del conflitto russo-ucraino ha fatto impennare l’inflazione facendoci fare un balzo indietro di circa 40 anni. 2.300 euro è la perdita media del potere d’acquisto delle famiglie italiane stimata per l’anno in corso, tanto peggio se si vive da soli.
L'emergenza generata dalla crisi climatica
Sopravvissuti al Covid, ma attoniti e circospetti gli italiani non minimizzano affatto le tensioni economiche e sociali, ma pongono al primo posto delle loro preoccupazioni l’emergenza generata dalla crisi climatica. Il 38% ritiene che il prossimo accadimento epocale sarà proprio da questa derivante, il 56% ritiene che questa emergenza debba avere la massima priorità a livello nazionale e internazionale ed è ancora la preoccupazione ambientale ad avere il maggiore impatto sul loro stato d’animo; lo afferma il 39%, ben 11 punti percentuali in più rispetto ai timori generati dalla guerra in Ucraina. I temi ambientali arrivano prima anche della pur temuta inflazione (almeno per il momento). E se è vero che più di altri Paesi, il legame (commerciale e ideologico) con la Russia è un dato di fatto (gli italiani sono i più filo putiniani d’Europa), è altrettanto vero che al netto delle ideologie il dilemma della bolletta è ben lontano dall’essere risolto e anzi pesa come un macigno sulle famiglie già a corto d’ossigeno. Il 57% dichiara già oggi la difficoltà di pagare l’affitto, il 26% pensa di sospendere o rinviare il pagamento e se restringiamo il campo a luce e gas un italiano su 3 entro Natale potrebbe non coprire più le spese per le utenze.
Una classe media sempre più in difficoltà
L’Italia colpita dalla tempesta perfetta si scopre infatti un Paese più vulnerabile con la classe media sempre più in difficoltà, una parte che rimane indietro (24 milioni che nel 2022 hanno sperimentato almeno un disagio) e una netta crescita dell’area della povertà vera e propria (+ 6 milioni nell’ultimo anno). Per converso cresce il mercato del lusso. La forbice si divarica e in un futuro sospeso che il 48% dipinge come instabile e precario ritorna il clima da austerity sia per le grandi spese (non si comprano le auto, né gli elettrodomestici, si rimanda a data a destinarsi l’acquisto della nuova casa) sia per le piccole rinunce al superfluo di tutti i giorni. I più avveduti (68%) non si sono fatti trovare impreparati nemmeno nella sbornia estiva e hanno già avviato la loro personale spending review, il 17% dichiara invece l’intenzione di farlo con l’arrivo dell’autunno. D’altronde anche lavorare non basta più e il lavoro è sempre più povero; nel rapporto tra costo della vita e stipendi medi, l’Italia è il fanalino di coda tra le principali economie europee.
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La tempesta perfetta non risparmia la filiera del cibo
Settore in cui l’inflazione picchia ancora più duramente seppur meno che in altri Paesi europei (da noi un +10% a fronte del +13,7% della Germania). Negli stessi Paesi già si registrano i primi cali nei volumi di vendita che la calda e lunga estate italiana ha per il momento frenato, complici le temperature e il turismo. Eppure in modo anche sorprendente la spending review già in essere degli italiani si concentra su altri comparti, ma non tocca per il momento il cibo; sono 24 milioni e mezzo gli italiani che nonostante l’aumento dei prezzi non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità ma non la qualità del loro cibo. Ritorna anche il cooking time sperimentato in lockdown; si passa più tempo nella preparazione dei pasti, ci si impegna a sperimentare nuovi piatti. Il carrello non è più la miniera da cui attingere per finanziare altri consumi, ma un fortino da proteggere rinviando invece quel downgrading degli acquisti a cui si era ricorso in altri momenti di crisi. Al tempo stesso il cibo a cui non si intende rinunciare pare essere soprattutto quello più sobrio e basico, senza orpelli e sovrastrutture; l’italianità e la sostenibilità sono gli elementi imprescindibili che erodono mercato a altre caratteristiche in passato maggiormente considerate. In calo il cibo gourmet, il ready to eat, il biologico e l’etnico. Mentre si profila per la grande distribuzione italiana un futuro denso di incognite, schiacciata da un lato dall’incremento dei prezzi e dal caro energia e dall’altro dalla necessità di attutire l’impatto dei prezzi sui portafogli delle famiglie.
Incognite per la grande distribuzione
Il 2022 (e forse ancor di più il 2023) potrebbe essere l’anno più difficile della storia della grande distribuzione organizzata in Italia. Da un lato, infatti, le imprese retail devono fare i conti con l’eccezionale rincaro dei listini industriali e l’esplosione del caro energia. Dall’altro dalle difficoltà della domanda finale e dalla necessità di attutire l’effetto sulla capacità di acquisto del consumatore. Ad oggi, infatti, i prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria alle catene della Gdo sono cresciuti del 15% rispetto allo scorso anno (var % tendenziale luglio-agosto 2022-2021), mentre l’inflazione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9% (il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna un -5,7% a tutto svantaggio della grande distribuzione). E a schizzare in alto sono soprattutto i prezzi all’acquisto dei prodotti basici, così l’olio di semi segna un +40,9%, quello di oliva un +33,1% e ancora la pasta (+30,9%, la farina +25,4%). Contemporaneamente, dopo lo tsunami energia che si è abbattuto anche sulla grande distribuzione, i costi energetici che nel 2019 valevano l’1,7% del fatturato sulla base dei futures sull’energia si moltiplicheranno almeno per tre volte raggiungendo nel 2022 una incidenza del 4,7% e del 5,2% nel 2023. Questo drammatico incremento dei costi è tanto più preoccupante se si considera che il retail alimentare è un settore strutturalmente a bassa redditività, dove piccole variazioni dei margini possono seriamente compromettere la tenuta dei conti economici. Basti qui ricordare che (dati Mediobanca) il valore aggiunto trattenuto in media dalle imprese della Gdo nel 2021 è stato pari a 14,7%, l’Ebitda del 5,3% e l’Ebit del 2,6%. Allo stesso modo ogni 100 euro spesi dal consumatore l’utile netto per i retailer è stato appena superiore ad 1,5 euro. Per il resto, seppur il 2022 registra per la Gdo un lieve ritorno alle espansioni delle superfici, per lo più a discapito dei punti vendita di prossimità, è il discount a registrare ancora una volta la maggiore crescita mentre prosegue il declino del formato dell’ipermercato. E l’e-grocery che sembra aver perso quella spinta propulsiva, peraltro drogata dal lockdown, si mantiene su quote molto basse soprattutto se paragonate al resto d’Europa; nel 2021 si attesta su un 2,9% con previsioni 2030 che non superano il 6% a fronte di ben altro dinamismo in casa degli inglesi (dal 12% al 19%) o dei francesi (dall’8,6% al 16%).
Al centro deve esserci l’emergenza primaria delle famiglie italiane
«Lo scenario delineato nel Rapporto 2022 ci restituisce l’immagine di un’Italia chiamata a affrontare sfide molto impegnative e che prendono il via da fattori economici e sociali assolutamente inusuali – sottolinea Marco Pedroni presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) – Dopo trent’anni è tornato il carovita con un’inflazione alta che non si vedeva dagli anni Ottanta; per molti consumatori e molte imprese è una situazione del tutto sconosciuta. Parimenti i salari rimangono congelati e colpisce nel Rapporto la divaricazione che si accentua fra una parte crescente del Paese che rimane fragile e le classi più agiate. Le cooperative di consumatori hanno per loro natura il dovere di essere un presidio di garanzia di qualità a prezzi convenienti per tutti gli italiani, qualunque sia la loro condizione sociale. Evidente è che la missione è sempre più complessa, visti gli effetti provocati prima dalla pandemia, poi dalla guerra con le sue ripercussioni sul costo dell’energia e delle materie prime. Ci avviciniamo a un appuntamento elettorale importante e fino a poco tempo fa non programmato. Qualunque sia il Governo che guiderà il nostro Paese credo che dovrà mettere al centro l’emergenza primaria delle famiglie italiane, promuovendo una politica di ridistribuzione dei redditi a beneficio della maggioranza, affrontando il nodo energetico con misure che permettano alle imprese di rimanere sul mercato e ai cittadini di non pagare costi insostenibili. C’è bisogno, come il Rapporto Coop mostra, di dirottare risorse incisive a favore dei consumi agendo per esempio sulla defiscalizzazione dei prodotti di base e con una rinnovata politica ambientale in linea con l’emergenza del momento. Le imprese della distribuzione commerciale registrano costi dei prodotti e dell’energia in fortissima crescita e finora hanno contenuto gli aumenti dei prezzi al consumo delle famiglie; i bilanci e con essi la stabilità delle imprese possono andare in crisi; non chiediamo aiuti di stato, ma di mettere un tetto ai rialzi dell’energia e di sostenere la domanda interna dei consumi. Come Coop abbiamo scelto di fare fino in fondo la nostra parte per difendere il potere di acquisto dei soci e consumatori senza abbassare la qualità e la sostenibilità dei prodotti; da qui la scelta di un forte e innovativo sviluppo della nostra marca, del Prodotto Coop, come faro della nostra offerta; i primi riscontri di questa scelta sono davvero incoraggianti».
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Alberto Lupini
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