Sostenibilità e green economy. Italia sempre più capofila in Europa
Nel nostro Paese crescono le aziende che hanno fatto della sostenibilità un baluardo e un obiettivo strategico. Dal cibo alle attrezzature, dal beverage ai sistemi di chiusura . La sostenibilità ha efficacia quando è praticata dai molti e non dai pochi: la catena è debole quanto lo è il suo anello più debole
05 febbraio 2021 | 08:33
di Vincenzo D’Antonio
La green economy e l’economia circolare sono C&C (cuore & cervello) della nostra sfida per un futuro migliore. Crescono le imprese che scelgono modelli sostenibili e - sarà mica un caso - sono proprio queste aziende che aumentano la loro competitività con effetti positivi su export, fatturato e occupazione. Non sottovalutiamo un fatto: l’Italia è tra le principali economie green d’Europa. Il nostro Bel Paese su tanti (troppi) fronti gioca una partita di mantenimento, dove l’obiettivo è non arretrare. Sulla green economy, invece, possiamo aspirare a qualcosa di più, anzi a molto di più.
Italia in prima linea nella green economy
Quando venne introdotta la raccolta differenziata per il riciclo di plastica, alluminio, carta e vetro, molte aziende protestarono per i costi iniziali. Mancò la cosiddetta “vision”. Oggi l’Italia è il Paese leader nel riciclo, con circa il 77%, a fronte della media Ue che sfiora il 40%. Anche nella produzione dei rifiuti siamo tra i Paesi virtuosi: circa 43 tonnellate per milione di euro prodotto, contro una media Ue di 89 milioni. Siamo i primi al mondo per la coltivazione di aree a biologico, con circa il 16% della superfice totale. Sono numeri che raccontano di una possibile leadership a cui l’Italia potrebbe tendere. E magari si scopre che questa emergenza pandemica va vissuta come un’occasione di cambiamento che non possiamo mancare. Negli ultimi cinque anni 432mila imprese hanno investito in sostenibilità, creando oltre 3 milioni di green jobs. Le aziende quotate, in passato vivevano il rendiconto non finanziario come un calice amaro, una costosa perdita di tempo. Adesso è il loro biglietto da visita per convincere gli investitori a comprare le loro azioni.
Qui di seguito una raccolta di testimonianze, racconti, storie e informazioni per dare un’interpretazione del concetto di sostenibilità tramite i suoi protagonisti più autorevoli.
Strumenti di cottura che guardano al futuro
Cominciamo il nostro racconto partendo da TVS, azienda marchigiana con sede a Fermignano (Pu), attiva da oltre 50 anni, che progetta e produce strumenti di cottura, ben consapevole di quanto la buona cucina sia fondamentale per una buona qualità della vita e di come le esigenze delle persone si evolvano, così come i loro gusti. E sul tema della sostenibilità, valore aziendale ben condiviso, ascoltiamo la responsabile marketing Eleonora Cesaroni: «La sostenibilità fa da sempre parte del nostro Dna, ma è negli ultimi anni che abbiamo deciso di intraprendere un vero e proprio percorso virtuoso investendo maggiormente su questo valore. Ne è una prova la stesura del nostro Humanifesto, una dichiarazione di intenti che si traduce in azioni concrete come una grande attenzione alla selezione delle materie prime (tutte riciclabili) e ai processi produttivi che privilegiano, soprattutto per alluminio, packaging e manigliame, la scelta di fornitori a km zero onde abbattere le emissioni di CO2. Tra i prodotti che meglio interpretano questo approccio, vi è Natura induction, una linea innovativa realizzata con materiali riciclati e riciclabili, a basso impatto ambientale. Stiamo inoltre collaborando con Treedom sostenendo la piantumazione di 500 alberi in Kenya, la nostra Forest of inspiration, che assorbiranno 200 tonnellate di CO2 nei primi 10 anni di vita».
Tappi e packaging sostenibili
Restiamo nell’ambito merceologico di strumenti atti alla cucina ma andando in accezione estesa, arrivando perciò alla produzione di chiusure in alluminio e “non-refillable”, in vulgata diremmo “tappi”. Siamo in Piemonte, a Spinetta Marengo (Al). L’azienda è Guala Closures, leader del mercato. Anche qui l’impegno per lo sviluppo sostenibile è palese ed orgogliosamente ce ne parla Maurizio Mittino, che del Gruppo Guala Closures è direttore sostenibilità e miglioramento continuo. Gli domandiamo, a fronte di una gamma completa di chiusure sostenibili per vino, liquori e bevande, che cosa avviene se poi non sono altrettanto sostenibili altre componenti del prodotto finito, packaging incluso. «La sostenibilità - spiega - è un concetto complesso che necessita di processi e metodi ben identificabili per affrontare le sfide di tutela dell’ambiente dove ognuno all’interno della filiera produttiva deve fare la sua parte, collaborando insieme nel trovare le migliori soluzioni. È in questo contesto che è nata la nuova gamma di chiusure sostenibili Blossom per vino, liquori, acqua e bevande, come testimonianza di un impegno di Guala Closures per l’ambiente che si concretizza con quattro modelli di progettazione differenti e ben definiti, ognuno con le proprie specificità in base al mercato e al prodotto».
«Lo studio e il lancio di chiusure sostenibili - prosegue Mittino - sono partiti proprio per poter offrire ai nostri clienti una varietà di opportunità e anticipare le loro richieste. La sostenibilità è un argomento che sta molto a cuore al Gruppo Guala Closures e da molti anni è diventato uno dei motori principali di impulso all’innovazione dei nostri prodotti e processi. Molti nostri clienti stanno lanciando, proprio in queste settimane, programmi di riduzione dell’impatto ambientale dei loro prodotti per il 2030 che dovranno coinvolgere tutte le componenti del packaging. A questo proposito abbiamo deciso di accelerare ancora di più il nostro impegno sostenibile perseguendo in primo luogo l’obiettivo (che ci eravamo prefissati nel 2019) di utilizzare il 35% di materiali riciclati entro il 2025, implementando soluzioni sempre più rispettose dell’ambiente e sviluppandone di nuove. Essere partiti in anticipo a testare nuovi materiali e studiare nuove soluzioni ci permetterà di essere proattivi nei futuri sviluppi che sicuramente dovranno essere realizzati congiuntamente con gli altri fornitori di packaging, soprattutto bottiglie, etichette e scatole. Anche se la chiusura ha un impatto ridotto rispetto agli altri componenti, pensiamo che ognuno debba fare la sua parte per il bene dell’ambiente e di conseguenza delle persone».
Il circuito “virtuoso” dell’acqua minerale
Insomma, prende corpo il concetto forte che la sostenibilità non è uno spartito su pentagramma che può essere eseguito da un solista, per quanto splendido, ma è composizione che si esegue coralmente, altrimenti funziona pochissimo. Dei tappi, quelli in sughero, parleremo a breve. Adesso attraversiamo da Ovest ad Est l’Arco Alpino per arrivare ai piedi di sua maestà la Marmolada, Patrimonio Unesco. Siamo nel cuore delle Dolomiti, a Canazei, in Val di Fassa. L’azienda è Cedea, che produce acqua minerale.
«L’acqua minerale non è acqua potabile - puntualizza Monica Menozzi, chief operating officer di Cedea - parliamo di cose diverse e in maniera diversa bisogna riferirsi alla sostenibilità. Quando si parla di acqua minerale si parla di un prodotto e non di una mera necessità. Pertanto, la sostenibilità è dell’azienda che imbottiglia e commercializza un prodotto. Quando andiamo al ristorante non pensiamo al cibo per sfamarci, ma ad un’esperienza, lo stesso vale per l’acqua minerale. L’unico prodotto di Cedea è l’acqua minerale, nello specifico non forziamo in nessun modo la sua estrazione. È una fenditura nella roccia e fuoriesce in maniera naturale senza nessuna meccanizzazione, a 100 metri di distanza abbiamo il nostro piccolo “stabilimento” che è inserito nel contesto urbano del nostro piccolo paese di montagna a 1.500 metri. Abbiamo recuperato un rudere e non abbiamo consumato terreno. La nostra sostenibilità è il non impoverire e sfruttare il territorio, ma usare quello che la natura ci dà senza forzature. L’acqua che non utilizziamo rientra in falda. Abbiamo un impianto geotermico per il riscaldamento che - va da sé - a 1.500 metri in alta montagna è più che necessario. Produciamo solo vetro di prima qualità e siamo completamente plastic free. Per l’Italia abbiamo la bottiglia vuoto a rendere mentre per il resto del mondo parliamo di vuoto a perdere. Nel limite del possibile abbiamo scelto una filiera corta di fornitori, prevalentemente nel Triveneto: il produttore di vetri è Vetri Speciali di Trento, il cartone è fatto a Verona e la serigrafia delle nostre bottiglie viene fatta in provincia di Venezia. Non abbiamo una label in carta applicata, ma una serigrafia su vetro che ne facilita anche il riciclo».
«Il nostro mercato è soprattutto internazionale. Il resto del mondo è abituato da sempre a riconoscere l’acqua come un prodotto e darle valore, in Italia serviamo la ristorazione di alta qualità. Per effettuare la distribuzione, vivendo in alta montagna l’unica via è la gomma per raggiungere i porti per le spedizioni internazionali. Per il trasporto nazionale abbiamo una buona rete di distributori locali. Il trasporto su gomma è l’unico “punto debole”. Ma cerchiamo di essere efficienti e di supplire così a questa debolezza. L’efficienza è fondamentale all’interno del circuito virtuoso che ogni azienda, dalla più piccola alla più grande, deve cercare di avere come punto di riferimento. Essere efficienti nell’uso del prodotto, del suo contenitore, del suo trasporto, della manodopera, della filosofia che si vuole trasmettere è fondamentale. Pensare di non lasciare traccia però non è verosimile. Bisogna lasciare traccia, ma fare in modo che sia una “bella impronta” e che sia un valore aggiunto, non qualcosa da nascondere. Viviamo in un paradiso, abbiamo dato valore al nostro progetto e l’abbiamo inserito nel nostro contesto, raccontiamo la storia delle Dolomiti e della loro geologia attraverso l’acqua, e la loro cultura attraverso il nostro packaging».
Sughero: sostenibile per natura
E se è vero, ed abbiamo scoperto che è vero, che il comparto food facilita, posta buona volontà d’intento e abilità di attuazione, pratiche di sostenibilità, scopriamo adesso che parimenti ciò accade nel wine allorquando si parla di tappi di sughero. Molto interessante, sorprendente per numeri e lodevole per vision, il virtuoso agire di Amorim Cork, multinazionale con headquarter in Portogallo, che ha a Conegliano (Tv) la sede del branch italiano di cui è direttore generale Carlos Veloso dos Santos. Amorim è leader mondiale nel comparto del sughero. In attività sin dal remoto 1870, ha mercato in oltre 100 Paesi nel mondo.
Il sughero di per sé è sostenibile in quanto al 100% naturale, rinnovabile, riciclabile e riutilizzabile. Coerentemente a ciò, la mission di Amorim consiste nel dare valore al sughero in modalità innovativa e in perfetta armonia con la natura. Preservare e incrementare la presenza delle foreste di querce da sughero comporta svolgere un ruolo cruciale nell’equilibrio ecologico del mondo. Pertanto, come sottolinea Carlos Veloso dos Santos, essendo il sughero biodegradabile, è anche facile da riusare e da riciclare. E non è forse questo l’elemento fondante l’economia circolare? E non sono queste le condizioni atte ad adempiere ai 12 obiettivi di sviluppo sostenibile secondo le direttive delle Nazioni Unite?
Ed eccoci ad altro dato molto interessante e sintomatico di quanto la sostenibilità stia divenendo “comune sentire”. È dal 2017 che i tappi di plastica perdono quote di mercato. Al contempo rallenta la crescita del tappo a vite. Ed è dal 2010 che il tappo di sughero guadagna quote di mercato. Una sostenibilità che vorremmo definire “congenita” in questo caso, stante la presenza in natura del sughero. Sta alla responsabilità dei big players - ed Amorim è certamente tra costoro - rendere tutto ciò elemento propulsivo della sostenibilità.
Anche il gelato è sempre più... verde
Passiamo ora al food, e che food! Si parla di gelato: questo insieme così goloso tra consumo edonistico non disgiunto da gradevolissima e valida occasione di sano nutrimento. Siamo a Pontevico (Bs), l’azienda è la Nemox International, che produce macchine ed attrezzature per gelaterie. «Puntiamo ad un cambio di tecnologia in modo da cancellare dalle nostre macchine di gelato i gas serra e sostituirli con un tipo di gas assolutamente non inquinante», ci spiega Walter Procuranti, direttore generale dell’azienda nonché responsabile del progetto Icegreen, volto proprio allo sviluppo sostenibile. Nel processo di produzione del gelato è proprio il raffreddamento in sè lo step più critico ai fini della sostenibilità: «L’impianto termodinamico in tutte le macchine funziona con gas che hanno un GWP (global warming potential, potenziale di riscaldamento globale) parecchio elevato, intorno a 4.000. Significa un potenziale di riscaldamento globale 4.000 volte più elevato rispetto a quello dell’anidride carbonica (CO2)».
Ci sono autorità sovranazionali che scandiscono i tempi: una scadenza importante è tra circa 11 mesi, il primo gennaio 2022: «Per il momento esiste un regolamento europeo che scandisce questi tempi e gestisce per categorie di prodotti. Entro il 2022 tutte le macchine da gelato, secondo la nostra interpretazione, dovrebbero impiegare gas con GWP inferiore a 150. Molti stanno manovrando per interpretare diversamente questo dato e bloccarlo intorno a 2.500! noi stiamo impiegando un gas con GWP=3. Sicuramente la scelta da noi fatta ci ha portato a rivedere l’intero progetto, non ci siamo limitati a sostituire il gas con una riduzione del potenziale inquinamento pari al 99,89% ma abbiamo anche ridotto i consumi di energia elettrica del 30% e per il raffreddamento dei condensatori utilizziamo solo aria e non acqua».
«La nostra azienda - prosegue Procuranti - esporta in circa 70 Paesi e la sensibilità è parecchio diversa... Il Nord Europa è sicuramente molto sensibile all’argomento; molto meno altri Paesi come Germania e Francia, che guardano più al prezzo. L’utente finale è sicuramente molto più sensibile all’argomento, mentre le catene distributive guardano più al mero guadagno: vendono prodotti nel settore domestico e neppure sono in grado di fornire un gelato che rispetti la normativa... ma questo è un discorso lungo. Noi raccogliamo grande entusiasmo e complimenti da chi acquista direttamente sul nostro sito web, mentre i rivenditori ancora badano più al prezzo...».
Ci stiamo rendendo conto che parlare di sostenibilità è cosa bella e fa onore, tuttavia vi è un “effetto catena”, ovvero essa diviene debole quanto è debole l’anello più debole e non come media di ogni singolo anello. «Noi purtroppo, o per fortuna - conclude il direttore generale di Nemox - siamo una piccola nicchia e come tale sopravviviamo e veniamo premiati per il ns lavoro. Purtroppo, la massa è governata dai gruppi internazionali che credo la sostenibilità la facciano a parole, come una sorta di “greenwashing”, contraddicendosi nei fatti».
Abbiamo tracciato una mappa rappresentativa, pur senza pretese di esaustività, di alcuni dei più attivi centri di elaborazione ed attuazione del concetto di sostenibilità. Gli spunti di riflessione sono tantissimi. Forse, almeno in prima approssimazione, due su tutti li possiamo sintetizzare così:
- La sostenibilità ha efficacia quando è praticata dai molti e non dai pochi. Si canta in coro; lo splendido solista sarà anche piacevole ascoltarlo nel suo canto libero, ma purtroppo non genera efficacia ai fini della sostenibilità.
- Nell’insieme delle pratiche atte allo sviluppo sostenibile funziona l’esempio della catena, che è debole per quanto è debole il suo anello più debole.
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Alberto Lupini