Seppelliremo il virus fra le risate E giochiamo al Lotto 1-19-65
CAFFÈ al bar, PIZZA la sera e gioco del LOTTO, anche a Napoli l'emergenza ha dissolto le abitudini condivise. Forse si apre uno spiraglio di ottimismo e ci si può permettere di indugiare su ciò che manca nella vita di tutti i giorni. L'ironia partenopea e la tradizione nella saggezza di don Procopio a cui affidarci sperando in un po' di fortuna
I simboli di Napoli: pizza, caffè e gioco del lotto
Erano le ultime ore di un febbraio ormai lontano, eppure stiamo parlando di appena 55 giorni fa, quando dovendo farci portavoce della situazione che si viveva a Napoli, chiedemmo lumi ad un grande figlio di questa città e demmo voce ad Eduardo, che ci disse: “Adda passà 'a nuttata”.
Essere oggi ottimisti solo a fronte di un dato di per sé oggettivamente incoraggiante “A Napoli contagi 0, è la prima volta”, sarebbe atteggiamento scellerato, miope, controproducente ed irriguardoso nei confronti dell’amatissima terra di Lombardia ahinoi ancora martoriata.
Qui ci limitiamo a far notare i tre gravi momenti di disagio che pressoché quotidianamente i napoletani vivono nella loro città.
Il disagio del mattino: il caffè al bar.
Quando pensiamo a Napoli nelle prime ore del mattino, dobbiamo farci idea di cosa sia la città metropolitana di Napoli, con una popolazione di tre milioni di persone. Se solo un terzo di costoro (dato oltremodo prudenziale) facesse colazione al bar e se la colazione consistesse soltanto nel caffè espresso (fatto raro) il cui prezzo è intorno ad 1 euro, staremmo parlando di una circolazione monetaria di 1milione di euro in un paio di ore della prima mattinata. Palese il nocumento all’economia a fronte di questa assenza di circolazione di moneta. Nocumento all’economia, al buon umore, alla convivialità.
E poi ben si sa che a Napoli il caffè non è una commodity e non lo si prende mica al primo bar che capita. Assolutamente no! Si va nel bar “solito” e si prende il “solito” godendo del piacere dell’omissione di comanda. Il barista sa cosa prendo ogni mattina, se lo ricorda, mi serve a puntino, puntuale e mai misera la mancia che lascio sul banco. Il caffè del mattino è just tailored per ciascun cliente. Proviamo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, a declinare le personalizzazioni che sono frutto di incrocio matriciale, di una matrice a tre dimensioni. Quantità del caffè: corto; normale; lungo. Temperatura della tazza: calda; fredda. Macchiato: no; sì con latte freddo; sì con latte caldo. Oltre poi a: senza zucchero; con zucchero. Insomma, ci siamo intesi. Il caffè, nell’attimo in cui lo si degusta, richiede concentrazione. Una volta ebbi l’ardire di soffermarmi su titolo di giornale mentre portavo la tazzina alle labbra accingendomi al primo sorso, quello sacrale. Fui prontamente redarguito dal barista: “ma che fate, dottò, vi distraete?”.
Il disagio della sera: la pizza.
Ma come si può prendere sonno la sera, come si può andare a letto la sera in pace con se stessi e con il mondo se non si è esaudito il desiderio della pizza napoletana cotta nel forno a legna? Ai napoletani non che questo desiderio venga sovente, solo tre volte a settimana! Ed in genere, la modalità di esaudimento del desiderio ruota così: una volta è “take away”, con assunzione di responsabilità non da poco per il prescelto, che dovrà essere in grado di trasmettere le comande giuste al pizzaiolo; una volta è “delivery” che prima che questa parola fosse inventata, si diceva (si dice e si dirà): “che si fa, chiamiamo le pizze stasera?”. Ecco, “chiamare” le pizze. Invocare e sollecitare la presenza tra le mura domestiche delle amiche pizze; e una volta si va in pizzeria. Rigorosamente senza prenotare, tanto un posto si trova, anche a dover fare un po’ di fila, camerieri e pizzaioli . . . siamo amici!
Chiudo qui.
Antica ricevitoria a Napoli
No, non è vero. Non posso chiudere qui. Si era detto che i momenti gravi di disagio sono tre e ne abbiamo elencati due. Qual è il terzo? Ci siamo.
Sebbene inventato a Genova, è a Napoli che il gioco del lotto ha assunto la sacralità del rito, sino a cessare di essere “gioco” per divenire comportamento insito. Con noi napoletani, Freud con la sua interpretazione dei sogni, al più, sempre bene accetto e trattato con ogni riguardo, può prendersi il caffè e mangiarsi la pizza, e sarà sempre graditissimo ospite, ma per quanto riguarda l’interpretazione dei sogni, noi la pratichiamo da quando Napoli era greca e si chiamava Partenope!
Dunque, oltre a bar e pizzerie, sono chiuse anche le ricevitorie del lotto, anche quella a Piazza San Domenico Maggiore, zona Decumani/Spaccanapoli, poco distante da San Gregorio Armeno, la strada dei presepi. E sopravvivere con il bancolotto chiuso non è cosa agevole, credeteci.
Ed è dal giorno della chiusura delle ricevitorie, all’incirca un mese, che puntualmente i martedì, giovedì e sabato, ci si raduna, mantenendo le debite distanze, dinanzi alla melanconica porta chiusa per dibattere dei numeri da giocare. E cosa tiene banco al bancolotto?!? Questa cosuccia qua, chiamata coronavirus. Nel 1943 l’eroismo delle Quattro Giornate di Napoli, nel 1973 il colera, nel 1980 il terremoto, il rischio Vesuvio sempre incombente e davvero, scusate se ci ripetiamo, mo’ arriva questo virus e cacchio cacchio sarebbe capace di farci tremare di paura?!?!
Piuttosto, cerchiamo di venire a capo dei tre numeri da giocarci non appena si potrà tornare ad esercitare il nostro diritto di cittadini amanti del lotto.
I numeri da giocare
Ci si avvale della saggezza di don Procopio che gratuitamente, generosamente e benevolmente, vuole darci i tre numeri da giocare. Ascoltiamolo in silenzio. Non ama interruzioni. “Tenete necessariamente presente il numero 19. Per due motivi: primo perché questo virus gli hanno messo pure il numero, come si fa con i re e con i galeotti, e gli hanno dato il numero 19. Secondo perché come dovreste sapere il 19 è anche la risata e noi, a flagello finito, sapete come lo seppelliamo ‘sto virus? Sotto la più fragorosa delle risate, lo seppelliremo a ‘sto fetente. E poi giocatevi il 65. E anche qui c’è un doppio significato. 65 è la maschera del dottore quando visita e quando opera ed è anche la mascherina che ci dobbiamo mettere noi per stare quieti. Ma 65 è anche il pianto. E significa che già troppo abbiamo pianto e non vogliamo piangere più. 19 e 65 fino a qui. E vediamo adesso il terzo numero. 1: il numero 1. E perché il numero 1? Perché 1 è l’Italia e tutti insieme noi italiani dobbiamo uscircene da questo virus. Tutti insieme ed uniti. Allora, ricapitolando: 1 – 19 – 65. Terno secco, tutte le ruote, Da giocare tre volte, per tre volte. Sì, lo so significa 9 volte, ma si deve dire così: da giocare tre volte per tre volte”.
Così parlò don Procopio.
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Alberto Lupini