Senza salvagenti dallo Stato Venezia è condannata ad annegare

Il centro storico ormai da novembre 2019 non ha più visitatori stranieri, prima per l'acqua alta e poi per la pandemia. Bar, ristoranti e alberghi nonostante la zona gialla restano chiusi . Il destino della Laguna sembra essere segnato complice anche un'apertura scriteriata di locali di bassa qualità negli ultimi anni

03 febbraio 2021 | 08:30
di Federico Biffignandi
Nonostante la zona gialla estesa a gran parte dell’Italia, bar e ristoranti - che possono restare aperti dalle 6 alle 18 anche col servizio in sala o al banco - borbottano ancora e non si lasciano prendere dagli entusiasmi. Troppa la diffidenza nei confronti di decisioni del Governo prese senza tenere conto delle esigenze di un locale.

Perché anche la zona gialla disposta a partire da lunedì 1 febbraio dal ministro alle Salute, Roberto Speranza ha fatto discutere nonostante per alcune regioni - Lombardia e Lazio in primis - sia arrivata un po’ a sorpresa. “Perché non concederci di aprire già nel fine settimana?”, hanno subito attaccato i gestori. Perché non era possibile farlo, almeno per quanto riguarda sabato. Ma sulla domenica, certo, non c’è dubbio che una buona parte di ragione i locali pubblici ce l’abbiano.


Venezia, turismo e ristorazione rischiano il fallimento

Detto questo, perché non sfruttare comunque l’occasione per riaprire subito, con entusiasmo, voglia di fare e col sorriso nell’ospitare i clienti più coraggiosi che arrivano al ristorante per godersi ancora un pasto fuori casa? “Perché tanto magari tra una settimana ci costringono a chiudere ancora” hanno detto in molti. Vero, l’esperienza parla da sé.

La delusione dei locali veneziani
Tra i più delusi ci sono i locali di Venezia dove a Piazza San Marco gli storici Florian, Quadri, Aurora, Chioggia, Todaro e Lavena hanno deciso di non riaprire nonostante la zona gialla. Locali che, almeno per quanto riguarda il Florian, costano 10mila euro ad arco con incassi dai soli veneziani da 500-600 euro al giorno. «Purtroppo non ci sono le condizioni per ripartire - spiega a La Nuova Venezia, Claudio Vernier presidente dell’Associazione Piazza San Marco e titolare della gelatiera Al Todaro - personalmente ne ho approfittato per fare i lavori di restauro, ma i costi della riapertura in questo momento sono insostenibili. Tenere aperto mi costa 2.500 euro al giorno, tra stipendi e spese vive, ma per coprire i costi totali dell’azienda dovrei incassare 5mila euro al giorno. Certo, con l’apertura di Palazzo Ducale e del Museo Correr la piazza tornerà più accogliente, ma per ripartire abbiamo bisogno almeno della bella stagione».

Insomma, avanti così si rischia di perdere ogni giorno sempre più terreno. Vero che i conti della serve vanno fatti oggi più che mai, ma davvero uno sforzo non lo si può fare? Prima la motivazione era il colore della zona, poi i weekend e ora la bella stagione. Avanti di questo passo si rischia di non aprire più.

L'amarezza di Arrigo Cipriani
Arrigo Cipriani commenta polemico la riapertura il lunedì invece nel weekend, aspetto che comunque non gli ha fatto cambiare idea sull’apertura: il suo Harry’s Bar ha riaperto i battenti. «Noi - precisa - abbiamo aperto perché la nostra missione è tenere aperto. Se siamo stati chiusi è perché abbiamo obbedito al governo. Avrei potuto riaprire sabato: la Regione Veneto è stata dichiarata gialla venerdì pomeriggio, il governo lo stesso giorno ha fatto un Dpcm per riaprire lunedì. Non riesco a capire cosa sia successo nel week-end, perché se eravamo gialli venerdì non lo eravamo anche sabato e domenica. Le nostre associazioni non hanno reagito e di conseguenza ho aperto oggi, abbiamo fatto 40 coperti. Penso che se avessimo aperto sabato e domenica avremmo fatto almeno 100, 120 coperti. Sembra una presa in giro».

Urge ribadire che il via libera sarebbe dovuto scattare domenica e non lunedì, quindi si tratterebbe di un solo giorno di “bonus”. A proposito di aperture e chiusure, in Laguna sei ristoranti su dieci non riapriranno. Tra questi c’è chi attende per vedere l’evoluzione della pandemia. Come il ristorante Da Ivo sempre a Venezia: «Devo vedere se la situazione resta stabile - ha detto - e se c’è un po’ di movimento, l’importante è che ci facciano riaprire la sera perché a pranzo si lavora pochissimo. Ho anticipato la cassa integrazione ai miei dipendenti e poi c’è l’affitto, che è stato ridotto solo del 20%».

La rabbia di Ernesto Pancin (Aepe)
La situazione di Venezia merita una riflessione più ampia perché la crisi è forse più nera che in altre città d’arte e perché all’orizzonte di spiragli non se ne vedono. Il buio è dettato dal fatto che tre quarti del fatturato legato al turismo (con tutto il suo indotto, ristorazione in primis) è legato a doppio filo al turismo estero. Ma in Italia al momento è addirittura impossibile spostarsi tra Regioni, figuriamoci se si può pensare adesso a turisti che arrivano dall’altra parte del mondo.


Ernesto Pancin

E quindi? Che si fa? Si rischia di annegare del tutto. «Visto che la decisione era stata presa venerdì - spiega Ernesto Pancin, direttore dell’Aepe - sinceramente ci aspettavamo di poter aprire già nel fine settimana. Ci vuole rispetto se si vogliono tutelare le imprese e i posti di lavoro. Certo, con l’obbligo di chiudere alle 18 resta un’apertura parziale, una goccia di lavoro per gente che sta cercando con tutte le forze di sopravvivere. Se dallo Stato non arrivano aiuti le imprese chiudono e non riaprono più e per aiuti intendo quelli economici e quelli relativi alle decisioni su aperture e chiusure. Ora come ora è come rimanere chiusi, senza cena come fa un ristorante a lavorare?».

La crisi generata dal Covid ha portato alla luce un problema annoso della Laguna, l’eccessiva offerta nel centro storico, soprattutto all’interno delle Calli e nei dintorni di piazza San Marco. Troppi i locali di bassissima qualità aperti, molti ridotti in condizioni poco igieniche già per gli standard pre-Covid. Con il rispetto per il lavoro di tutti va detto che una selezione severa come quella in atto forse ci voleva per pensare di ripartire con maggior equilibrio. Anche perché se i prezzi apparentemente esagerati per un caffè al Florian, nel cuore di piazza San Marco può essere compreso, non può essere accettato uno scontrino fuori mercato per una scadente cena in una calle nascosta della Laguna.

Forse il vero problema di Venezia (ma anche di altre città come Firenze o Roma) sta propria in questo sovraffollamento (oltre mille locali tra bar e ristoranti solo nel centro storico) che genera scarsa qualità e una divisione della torta tra i ristoratori che non garantisce la sopravvivenza neanche in condizioni normali. In più sta anche in questo abuso di aperture il fenomeno di un turismo di massa che negli ultimi anni aveva generato non pochi problemi di ordine pubblico e di rispetto del patrimonio storico-culturale della Serenissima.

Forse si potrebbe pensare di cambiare stile e modificare il proprio business. No, Pancin proprio non ci sta: «Come possiamo pensare di rivoluzionare in pochissimo tempo il nostro mercato? Ci aiutino le istituzioni piuttosto, noi senza gli arrivi degli stranieri moriamo anche con un turismo interno che fa la sua parte consistente».

Ma attendere il turismo estero significa vivere in attesa e questa volta l’attesa conferma quel famoso detto nella drammatica versione veneta per cui “Chi vive sperando…” .


Daniele Minotto

Per il turismo si attende un altro anno nero
Vede nero anche Daniele Minotto, vicedirettore dell’Associazione albergatori veneziani: «Ci siamo già fatti un’idea di quello che sarà il 2021 - spiega - e non sarà diverso dal 2020 con l’85% di fatturati in meno rispetto alla media. Una situazione che non si può sostenere se non attraverso aiuti statali e sostegni strutturali, che ad ora mancano. Noi abbiamo bisogno di un piano serio di superamento della pandemia e di ripartenza economica: il continuo valzer delle aperture e delle chiusure ci danneggia, non possiamo andare avanti ad esperimenti. Il 2021 non avrà una ripresa veloce, speriamo di recuperare qualcosa attraverso la campagna vaccinale internazionale perché il 90% dei nostri ospiti arriva dall’estero. Purtroppo noi possiamo contare solo su di loro che tanto fanno bene anche a tutto ciò che riguarda l’Italia perché, una volta tornati dal viaggio, continuano a cercare ed acquistare l’artigianato e l’enogastronomia made in Italy. Il turismo interno? È in crescita, basti pensare che il 70% del totale dei turisti quest’estate veniva proprio dall’Italia, ma non basta. Abbiamo bisogno di gente che si ferma da noi per alcune notti, non per una gita in giornata che può beneficiare solo ai pubblici esercizi».

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Alberto Lupini


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