Se lo smart working si prolunga per ristorazione e turismo sarà un buco da 25 miliardi

È quanto emerge da uno studio di Confesercenti nel quale si ipotizza che se diventasse strutturale 21mila imprese chiuderebbero e rimarrebbero a casa oltre 93mila occupati. Per questo nelle grandi città come Milano baristi e ristoratori stanno già studiando delle possibili contromisure

25 maggio 2022 | 16:34
di Martino Lorenzini

Se lo smart working diventasse strutturale per il mondo della ristorazione, del turismo e dei trasporti ci sarebbe un buco da 25 miliardi di euro. Ma non solo, 21mila aziende potrebbero chiudere e oltre 93mila lavoratori potrebbero rimanere a casa. È quanto rivela l'ultimo studio di Confesercenti. Un'analisi nella quale si prende in considerazione la possibilità che a 6,5 milioni di lavoratori venga data la possibilità di continuare a lavorare da casa. 

L’associazione ipotizza che per le aziende ci sarebbero benefici per 12,5 miliardi, ma anche un'inevitabile rivoluzione che coinvolgerebbe le città e in particolari i grandi centri come Milano. Tocca quindi a bar e ristoranti trovare delle efficaci contromisure per non chiudere definitivamente bottega

Lo smart working rischia di generare un buco di 25 miliardi 

Si chiama "Cambia il lavoro, cambiano le città", lo studio realizzato da Confesercenti dedicato allo smart working. Ripercorrendo la “storia” di questa pratica in Italia l’analisi rivela che prima del Covid in Italia c’erano soltanto 184mila lavoratori che lavoravano a casa da remoto, cifra che saliva a 1,3 milioni se si considerava chi già utilizzava la propria abitazione come luogo di lavoro secondario o occasionale.

Con l’arrivo della pandemia la cifra è mutata radicalmente, tanto che i lavoratori sono saliti a 9 milioni, poi scesi a 4,5 al termine dell’emergenza.

 

L’ipotesi di Confesercenti per un regime strutturato di smart working

Confesercenti ipotizza che se venisse strutturalizzata questa procedura su base volontaria potrebbe arrivare a coinvolgere circa 6,5 milioni di persone, impiegate soprattutto nella pubblica amministrazione e nel terziario.

Costi e benefici

Questo porterebbe anzitutto le famiglie a spendere circa 10 miliardi di euro l’anno in meno rispetto ai livelli pre-pandemici. Le imprese, invece, avrebbero un risparmio sensibile, eliminando i costi sostenuti per l’acquisto o l’affitto degli immobili, ma anche per l’energia elettrica, per il riscaldamento e per il trasporto, pari a circa 12,5 miliardi. Questo potrebbe comportare la chiusura di 21mila attività e la perdita di oltre 95mila occupati.

A rimetterci, invece, sarebbero hotel, bar, ristoranti che andrebbero a perdere circa 25 miliardi. D’altro canto, il settore del commercio alimentare avrebbe un beneficio calcolato in 4,3 miliardi di fatturato.

 

 

Ecco chi per legge può continuare a lavorare in smart working

Tra l’altro, con il via libera definitivo al Dl Riaperture, la possibilità dello smart working per i genitori di figli minori di 14 anni e per i fragili viene confermata e prorogata (nel primo caso fino al 31 luglio 2022, nel caso dei soggetti fragili fino al 30 giugno).

Diritto al lavoro agile anche in assenza degli accordi individuali, per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito o in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa (o nel caso l'altro genitore sia senza lavoro), e a condizione che la modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Il diritto al lavoro agile è riconosciuto, inoltre, per i lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio da virus SARS-CoV-2, in ragione dell'età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente, nell'ambito della sorveglianza sanitaria a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa. In tal caso, la legge proroga al 31 agosto 2022 per i datori di lavoro del settore privato il Regime semplificato di attivazione del lavoro agile, senza necessità di accordo individuale con il lavoratore e con comunicazione semplificata al Ministero del Lavoro.

La situazione di Milano

Un'altra ricerca commissionata dall’Aidp (Associazione dei Direttori del Personale), che ha interessato 850 imprese, ha accertato che l’88% delle imprese sta programmando di far diventare il lavoro in remoto una componente stabile delle relazioni aziendali. È poi da precisare, per cercare di inquadrare l’evoluzione dello scenario, “quanto” remoto lo si immagina: per il 38% delle aziende si tratta di due giorni a settimana, mentre il 14% pensa a un solo giorno. Negli altri casi, con percentuali minori, si va da 3 a 5 giorni, fino ad una presenza di un solo giorno al mese.

Una trasformazione radicale delle relazioni industriali, delle forme di socialità e della cultura del lavoro, certamente: e non solo all’interno, ma anche all’esterno della fabbrica e dell’ufficio. Come impatta lo smart working sulle attività commerciali e ristorative cresciute a rimorchio dell’urbanizzazione delle realtà aziendali? Esiste infatti tutto un mondo di negozi, bar e ristoranti che finora ha seguito le trasformazioni del tessuto produttivo, adattandosi a esso: e ora che succede? Ce la faranno bar e ristoranti a resistere a questa nuova rivoluzione? E che succede a Milano, coi suoi locali che fino a prima della pandemia servivano il pranzo a migliaia di lavoratori?

Secondo lo studio di Confesercenti nel capoluogo lombardo oltre otto realtà aziendali su 10, nel primo trimestre 2022, hanno almeno una persona in smart: il 22% del totale dei dipendenti. La quota è più alta tra le imprese dei servizi (91%) e scende al 79% nell’industria; il lavoro in remoto è ancora fortissimo nel capoluogo (90%) e si riduce nell’hinterland (78%).

A Milano è già in atto una vera e propria rivoluzione all’interno dei locali

Gli esercenti si stanno già attrezzando per evitare di soccombere, adottando strategie diverse.

«Abbiamo introdotto una formula bistrot, con menù più accessibili e meno costosi, cercando di non incidere sugli standard qualitativi – aveva dichiarato Emanuele Sala, fondatore di Desco, in una recente intervista a Italia a Tavola -  Di sicuro qualche contromossa ce la dobbiamo inventare: il ristorante è un’azienda, bisogna rispettare certi parametri di fatturato, se no si chiude».

E c’è anche poi chi ha potenziato il take away, il delivery e la rete wi-fi, in modo da offrire spazi di lavoro attrezzati a persone che rimangono a casa in smart working, ma hanno bisogno di riunirsi e lavorare a contatto.

«La dimensione del consumo e del lavoro è cambiata, certamente, ma noi ci aspettiamo ancora altre evoluzioni: spesso lo smart working odierno le persone se lo giocano fuori dall’ufficio, muovendosi sul territorio - aveva spiegato Cristina Giordano chief operation officer Cuore di Parma in un’intervista rilasciata a Italia a Tavola - È a questo livello che la ristorazione deve imparare come proporsi, magari valorizzando la fascia oraria pomeridiana».

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Alberto Lupini


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