La tensione era da settimane già alle stelle, con le associazioni di categoria che chiedevano a gran voce l'intervento della politica per attuare una riforma radicale del sistema dei buoni pasto. Richieste che, almeno per il momento, sono però rimaste inascoltate e hanno portato a un'ulteriore escalation, con la proclamazione di uno sciopero.
Il 15 giugno bar, ristoranti, alimentari, supermercati e ipermercati aderenti a Ancd-Conad, Ancc-Coop, Fiepet Confesercenti, Federdistribuzione, Fida e Fipe-Confcommercio sospenderanno per tutta la giornata l'accetazione dei buoni pasto.
I numeri del sistema buoni pasto
Prima dello scoppio della pandemia, circa 10 milioni di lavoratori pranzavano quotidianamente fuori casa. Di questi, circa 3 milioni beneficiavano di buoni pasto e il 64,7% li utilizzava come prima forma di pagamento, ogni volta che usciva dal proprio luogo di lavoro. Complessivamente si stima che nel 2019 siano stati emessi in Italia 500 milioni di buoni pasto, di cui 175 milioni acquistati dalle pubbliche amministrazioni, che li hanno messi a disposizione di 1 milione di lavoratori. In totale, ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono nei bar, nei ristoranti, nei supermercati i e in tutti gli esercizi convenzionati 13 milioni di buoni pasto.
Sciopero dei buoni pasto: come ci si è arrivati?
Come detto, la tensione era alta da tempo. I ticket restaurant sono infatti considerati dalle associazioni di categoria delle vere e proprie tasse occulte. Per internderci, una volta scalati gli oneri di gestione e quelli finanziari, attualmente si registra un deprezzamento del 30%. Questo significa che ogni 10mila euro di buoni incassati, gli esercizi convenzionati perdono circa 3mila euro.
Da qui la richiesta di una riforma radicale, costruita su due priorità: la riduzione immediata dei ribassi sul prezzo richiesti in fase di gara alle società emettitrici dei buoni pasto e la riforma complessiva del sistema, seguendo l’impianto in vigore in altre Paesi, per assicurare il rispetto del valore nominale del ticket ed eliminare le gravose commissioni pagate dagli esercizi presso i quali i buoni pasto vengono utilizzati.
Il problema delle gare al ribasso
La stazione appaltante per il servizio di buoni pasto all'interno della pubblica amministrazione, Consip, effettua le gare solo nominalmente con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa mentre, di fatto si traduce, nell’aggiudicazione a chi offre il prezzo più basso. Nel corso delle ultime due gare, 2018 e 2020, gli esercenti si sono trovati a pagare commissioni medie del 19,8% (BP8) e del 17,80% (BP9).
Questo meccanismo finisce per scaricare il risparmio della pubblica amministrazione sui pubblici esercizi e sulla distribuzione commerciale. Per ciascun buono da 8 euro il bar, il negozio alimentare o il supermercato ne incassa poco più di 6.
Lo sciopero nelle parole di Federdistribuzione
«Abbiamo fatto numerosi appelli pubblici sulla necessità di riformare il sistema dei buoni pasto in modo radicale, ai quali non c'è stata risposta. È una situazione sulla quale occorre intervenire con decisione, ed è per questo che mercoledì 15 giugno gli esercenti pubblici e le aziende della distribuzione non accetteranno i buoni pasto - ha detto Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione - Il nostro obiettivo è tutelare un importante servizio di cui beneficiano milioni di lavoratori, che va però reso sostenibile. Chiediamo al Governo, soprattutto in vista dell'imminente gara Consip, di superare un sistema che impone commissioni non eque, le più alte d'Europa, che si avvicinano al 20% del valore nominale del buono pasto. Tutto ciò grava pesantemente sulle nostre imprese, mettendone a rischio i risultati economici e rischiando di rendere insostenibile la prosecuzione di questo servizio in futuro».
La posizione di Fipe
«Con questa giornata di sospensione del servizio – dichiara Aldo Mario Cursano, vicepresidente di Fipe-Confcommercio - vogliamo sensibilizzare i lavoratori e più in generale i consumatori sulle gravissime difficoltà che le nostre imprese vivono quotidianamente a causa delle elevate commissioni che dobbiamo pagare sui buoni pasto. Parliamo di una vera e propria tassa occulta che supera anche il 20% del valore del buono. La nostra è una protesta che ha l’obiettivo di salvaguardare la funzione del buono pasto perché se si va avanti così sempre meno aziende saranno disposte ad accettarli. Insomma, il buono pasto rischia di essere inutilizzabile. C’è bisogno di una vera riforma che renda il sistema economicamente sostenibile anche per le nostre imprese che in fin dei conti sono quelle che danno il servizio ai lavoratori. Ma è altrettanto urgente far si che la prossima gara Consip da 1,2 miliardi di euro non venga aggiudicata con gli sconti delle precedenti perché saremo noi a pagarli per di più in un momento in cui le imprese sono a rischio per gli insostenibili aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime».
L'assurdità del sistema: i costi a carico degli "ultimi"
Il sistema italiano dei buoni pasto è senza dubbio "strano" se si guarda a ciò che accade altrove. In Francia per esempio viene messo in gara il servizio e vince chi fa pagare le commissioni di gestione più basse. Lo stesso succedeva negli anni '90 in Italia, con commissioni bassissime, tra l'1 e il 2%. Oggi invece il rischio è che il costo sostenuto dal mondo della ristorazione, ultimo anello della catena, con il sistema dei buoni pasto sia addirittura superiore in termini di valore, all’ultima tornata di ristori destinati al settore, circa 40 milioni di euro.
Il problema esiste ed è evidente. Smettere di accettare i buoni pasto sarebbe un extrema ratio che non gioverebbe a nessuno. Bar e ristoranti hanno fatto la loro mossa. Ora non resta che attendere risposte dall'altro lato della barricata.
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Alberto Lupini
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