Santini sulle débâcle nell'alta ristorazione: «Modelli organizzativi sbagliati»

È ormai indubbio che il mondo dell’altissima ristorazione sta cambiando, trasformato da una società che negli ultimi anni è stata investita da una lunga serie di novità - purtroppo - non sempre belle. E Santini rivela: «Tutto sta nella capacità di un imprenditore di saper gestire il proprio business in maniera oculata e accorta»

28 marzo 2023 | 05:00
di Luca Bassi

Ristoranti d’alto rango che chiudono (o che si snaturano), personale sempre più difficile da trovare, clientela sempre più attenta e sempre più esigente. È ormai indubbio che il mondo dell’altissima ristorazione sta cambiando, trasformato da una società che negli ultimi anni è stata investita da una serie lunga così di novità non sempre belle: pandemia, restrizioni, guerre, caro-energia. Insomma, sembra essere un periodo di grande difficoltà per chi ha creduto e investito in un certo tipo di ristorazione. Ma quanto c’è di vero in questo presunto momento nero? Quanto è giustificato tutto questo pessimismo? Siamo davvero sicuri che a non funzionare più sia un modello di cucina di altissima qualità e non lo siano, invece, solo alcuni esempi di ristorazione portati all’estremo? Se l’è chiesto Antonio Santini, titolare con la famiglia del ristorante tristellato “Dal Pescatore”, vicepresidente della Federazione italiana dei Pubblici esercizi.

Serve propensione a risolvere i problemi

Il presupposto è chiaro: diverse situazioni insostenibili esistono e sono sotto agli occhi di tutti. Del resto, un ristorante, soprattutto d’alto rango, non chiude per caso. «Ma l’insostenibilità c’è dove c’è poca propensione a risolvere i problemi - ha scritto il ristoratore sulle colonne de Il Sole 24 Ore. In pratica, a essere insostenibili sono le proposte e le soluzioni. Molti ristoranti l’hanno capito: sono sempre di più, infatti, quelli che hanno esteso il tempo di chiusura a due o tre giorni settimanali, oppure quelli che hanno ridotto le ore di lavoro giornaliere. Niko Romito, chef del Reale Castel di Sangro, ha raccontato recentemente di aver anticipato per i propri clienti l’orario della cena alle 19.30 per poter mandare a casa il suo staff alle 23 circa».

Si parla solo degli aspetti negativi

Secondo Santini, però, una delle principali ragioni di questo momento di grande pessimismo è la comunicazione che circonda l’alta ristorazione. Una sorta di generalizzazione che, come per qualsiasi altro settore o qualsiasi altra situazione, non fa altro che fare di tutta l’erba un fascio: «Dobbiamo ricordare che il solo settore della ristorazione in Italia conta circa 300mila imprese ed un milione di lavoratori, per un fatturato di 85 miliardi di euro e un valore aggiunto che si aggira intorno ai 40 miliardi. Se la vita in cucina e in sala richiede ritmi serrati e un lavoro intenso, preciso e scrupoloso, è pur vero che le vicende di cui abbiamo sentito molto parlare negli ultimi mesi rischiano di restituire un’immagine distorta dell’alta ristorazione, quella di qualità, e del messaggio culturale che questa dovrebbe veicolare. Mettono infatti un intero settore sotto la lente di ingrandimento, focalizzandosi però solo sugli aspetti negativi - scrive ancora santini -, tra cui il sacrificio e modelli di cucina portati all’estremo. Si tratta del pensiero mainstream del momento. Non a caso, in un recente articolo pubblicato sul “New York Times”, il critico gastronomico Pete Wells ha definito questa tipologia di ristoranti “overkill”, incentrati cioè su una cultura dell’eccesso che si ritrova nel rapporto ormai sbilanciato tra il numero del personale e quello dei coperti, e nella sempre maggior quantità di tempo destinata alla ricerca e alle preparazioni».

Un ristoratore dev’essere un imprenditore oculato e accorto

«Se ci vogliono troppe persone per preparare un piatto, è facile comprendere come questo modello di ristorazione non sia effettivamente sostenibile. Il problema dunque è a monte - sottolinea Antonio Santini. È nei modelli organizzativi, nella capacità di un imprenditore di saper gestire il proprio business in maniera oculata e accorta. In un ristorante una visione imprenditoriale lungimirante è fondamentale tanto quanto l’offerta gastronomica e la piena consapevolezza delle risorse a disposizione. Tra queste, il tempo, che è tra quelle più importanti: cercare di ridurre le ore di impiego del personale e delle preparazioni è la strada da percorrere non solo per una migliore efficienza gestionale, ma anche (e soprattutto) per promuovere il benessere fisico e mentale dei dipendenti, favorendo un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa».

 

Servono risposte concrete per i più giovani

Eccellenza, creatività, benessere e bellezza. Devono essere questi i messaggi culturali portati dall’alta ristorazione. Anche e soprattutto in un momento poco felice come quello attuale. «La chiave è proprio questa: i ristoranti devono essere portatori di un messaggio culturale che promuova i valori dell’eccellenza, della creatività, del benessere e della bellezza - spiega Santini. Elementi intrinseci all’alta gastronomia che forse qualcuno ha dimenticato e che, invece, andrebbero trasmessi alle nuove generazioni. Abbiamo il difficile compito di offrire risposte concrete a chi si avvicina a questa professione. Una responsabilità che comprende la sensibilizzazione sia dei giovani sia dei clienti. Ai primi, dobbiamo infondere l’amore per questo mestiere, che per sua natura porta spesso a sconfinare dalle logiche di lavori più “ordinari”, dai turni fissi e dai compiti prestabiliti, nel nome di ciò che intimamente muove chi ha scelto di fare questo nella vita: la passione. Ai secondi, invece, dobbiamo offrire il nostro supporto in un percorso di consapevolezza su un maggior rispetto dei tempi a tavola e degli orari più consoni per la consumazione dei pasti. Così come va promossa una sensibilizzazione alla riduzione dello spreco, oggi più che mai indispensabile. Ecco come la ristorazione può essere davvero sostenibile, continuando a favorire l’incontro umano per eccellenza».

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Alberto Lupini


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