Salvaguardare i pascoli è la sfida del futuro. Il ruolo centrale del turismo green

Cheese ha chiuso i battenti con grande soddisfazione, ma con alcuni temi da risolvere. Come quello della salvaguardia dei territori che deve passare anche da uno sfruttamento sostenibile

20 settembre 2021 | 18:11

Altro evento in presenza dopo il lungo buio della pandemia e altro successo. Stavolta è toccato a Cheese che lunedì ha abbassato il sipario con grande soddisfazione: «Non era scontato. Ma grazie all’impegno dei produttori e del pubblico siamo riusciti a fare di questa edizione un momento importante di condivisione e di gioia». Lo ha detto Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia proprio in chiusura della manifestazione internazionale dedicata alle forme del latte che si conclude oggi a Bra. 

Le sensazioni positive emergono anche dalle parole degli espositori, che si sono trovati di fronte un pubblico attento e interessato, con tanta voglia di imparare. «I produttori sono i veri protagonisti dell’evento. Per loro questa edizione di Cheese ha significato un momento di ripartenza importante, sia dal punto di vista economico che relazionale. Siamo felici di sentirli oggi soddisfatti».

 

Proteggere i prati spontanei

Il fil rouge dell’evento è stato "Considera gli animali" che ha guidato quattro giorni di incontri, dibattiti, degustazioni e attività educative. Produttori, allevatori, pastori, tecnici e altre associazioni (il mondo del biologico, ad esempio) si sono confrontati sulla relazione fra esseri umani e animali, fra allevamento e territorio. Al centro dei dibattiti è finito il pascolo che ha aperto una grossa questione, che riguarda la gestione e la cura del territorio: i prati spontanei, ricchi di essenze e rigogliosi di biodiversità, stanno scomparendo, in pianura per via del consumo di suolo e dell’agricoltura industrializzata, in montagna a causa dell’abbandono e della boscaglia che rende le vallate impenetrabili, anche per chi vuole scoprirle da turista.

«In Italia, la superficie occupata dai prati naturali è pari a 32mila chilometri quadrati, ma negli ultimi 40 anni abbiamo perso un quarto del totale» ha detto Giampiero Lombardi, docente di alpicoltura, presso l’Università di Torino. Le cause? Nelle zone di pianura principalmente l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura, mentre in collina e montagna è stato il fenomeno opposto: l’abbandono, la fine dell’attività antropica, e così gli erbivori non pascolano più i prati e la natura si riprende i propri spazi».

I prati stabili garantiscono biodiversità vegetale, e di conseguenza animale, sottolinea Irene Piccini, ricercatrice presso il Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi presso l’Università di Torino: «La caratteristica principale dei prati stabili è che richiamano moltissimi insetti, fondamentali per l’impollinazione, che a loro volta attirano altri animali, come ad esempio gli uccelli e tutti gli altri predatori.

 

Ma qual è la differenza tra un formaggio da prati stabili e uno prodotto con latte di animali che si nutrono di insilati, cioè di derivati vegetali stoccati in silos? Ce lo spiega Giampaolo Gaiarin, tecnologo alimentare e collaboratore della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus: «Il formaggio è la sintesi della biodiversità. In media, una vacca alimentata con insilati di mais riesce a sostenere un parto e mezzo, contro i sette, otto, anche dieci, di un animale delle vallate alpine, perché l’alimentazione ha un influsso notevole sullo stato di salute degli animali. E poi, ancora, la questione della maggiore complessità aromatica e gustativa e l’aspetto legato alla salubrità: i formaggi alimentati al prato ha un minore contenuto di grassi saturi, mentre aumentano gli Omega 3».

Alla conferenza, ospitata presso Casa della Biodiversità, hanno preso parte Claudia Masera, produttrice di Cascina Roseleto a Villastellone, in provincia di Torino, e Diego Remelli, allevatore e membro del Consiglio di Amministrazione della Latteria San Pietro di Goito, nel mantovano.

L’azienda piemontese ha ricominciato a seminare prati nel 2013: «L’abbiamo fatto per migliorare la qualità del latte e per non dipendere dall’esterno. Noi alleviamo vacche di razza frisona che abbiamo riconvertito al pascolo e il risultato è che la nostra mascotte ha 19 anni ed è in formissima. Non è vero che le frisone non possono adattarsi a un’alimentazione poco “spinta”, le nostre vacche stanno benissimo. Usiamo il latte per i nostri formaggi ma abbiamo anche una fattoria didattica» ha raccontato Claudia.

 

 

Un turismo sempre più green

In tema turismo, proprio quello rispettoso di chi vive un territorio è stato un altro tema di dibattito sviluppato insieme, tra gli altri, al ministro del turismo Massimo Garavaglia e all’amministratore delegato di Enit Giuseppe Albeggiani, a partire dalle esperienze di Slow Food Travel. 

 

«Per la prima volta l’Italia si doterà di un piano per il turismo enogastronomico» ha annunciato il ministro del Turismo Massimo Garavaglia. Il Ministro ha ricordato che il nostro Paese «ha un problema, quello di essere primo in Europa a gennaio nelle ricerche online e di ritrovarsi in quinta o sesta posizione per presenze a fine anno, al momento di verificare i dati», ma ha sottolineato che esiste una soluzione: «Per vincere la sfida che ci attende, cioè guadagnare nuove quote di mercato, è sufficiente organizzarsi meglio, mettere a sistema le risorse. Occorre far conoscere le ricchezze di cui disponiamo». 

È il caso delle Langhe e più in generale dell’intero Nord-ovest italiano che, secondo il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, hanno saputo generare valore e promuovere un turismo legato all’enogastronomia grazie «al legame con l’identità del territorio, all’attenzione alla sostenibilità e alla produzione di risorse sane».

Secondo Carlo Petrini, presidente di Slow Food, c’è un altro aspetto da tenere in considerazione nel rispondere all'esigenza di offrire turismo: «Quello di garantire alle comunità che abitano il territorio di vivere bene, perché non può esserci turista felice se la gente che vive nel posto non lo è». Il presidente di Slow Food ha sottolineato che «i nostri borghi, i paesi più defilati rispetto alle località caratterizzate da grandi flussi turistici, stanno perdendo pezzi di socialità. Non ci sono più le botteghe alimentari, non ci sono più le osterie, scuole e nemmeno più i parroci».

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Alberto Lupini


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