Piatti d'asporto oltre al pieno. Cucina di quartiere dai benzinai

Cucine di Quartiere e Virtual Restaurants Marketplace per nuove offerte di cibo a domicilio e per l'asporto. Il ruolo delle dark kitchen. Fabio Rota: «Idee complementari per un business local» . Nello sviluppo, che parte dai distributori di carburante, c'è Massimo Noja De Marco di Kitchen United

30 marzo 2021 | 08:30
di Nicola Grolla
Dopo oltre un anno di pandemia, l'idea di averle viste tutte a livello ristorativo pur di mantenere qualche grado di operatività ormai era data per assodata. Ristoranti che diventano mense aziendali, locali che si buttano sulla consegna a domicilio di drink in barattolo, gelaterie che spediscono il gelato su due ruote, parcheggi che si trasformano in dehors e chi più ne ha più ne metta. Eppure, questi sono solo i fenomeni superficiali. Quelli che tutti notano. Meno visibili, invece, sono i cambiamenti profondi che legano cliente e impresa, domanda e offerta. E che Cucine di Quartiere e Virtual Restaurants Marketplace hanno deciso di affrontare insieme, come una proposta combinata per i ristoratori del post-Covid.



«Cucine di Quartiere sorge dall’esigenza di offrire locazioni appetibili e ideali per il take away o il delivery e già pronte all’uso. Dal packaging alle consegne, l’idea è quella di supportare a 360° chi vuole entrare nel mondo delle dark kitchen. Virtual Restaurants Marketplace, invece, nasce con l’obiettivo di rendere più snella l’offerta degli operatori del foodservice, sia da un punto di vista gastronomico che economico», spiega sinteticamente Fabio Rota, fondatore delle due realtà. L'idea, che ha coinvolto anche Massimo Noja De Marco, fondatore di Kitchen United negli Usa, è quella di partire adesso, entrare in un mercato che sembra saturo (essenzialmente per la presenza degli Ott piglia tutto, le media company che offrono servizi e contenuti direttamente via Internet, bypassando cioè sistemi di distribuzione tradizionali), e sfruttarne il potenziale nascosto per riversalo sul mercato in scia all'agognata ripresa.

Cibo e consegna a casa sono stati i protagonisti di quest'ultimo anno. Finiranno per sostituire la classica ristorazione?
Nel nostro Paese, molto spesso il food delivery e la ristorazione vengono scambiati per la stessa cosa, ma non è così. Sebbene entrambi trattino di cibo, hanno esigenze diverse e offrono proposte diverse. Da un lato, la ristorazione tradizionale vende esperienze, dall’altro, il delivery vende tempo. Approcci al mercato che aprono possibilità differenti. Detto diversamente, non necessariamente il cliente affezionato del ristornate evita di comprare sulla piattaforma di cibo a domicilio. Quello che cambia non è tanto il prodotto, quanto il modo in cui viene “somministrato”. O meglio, consegnato. Questo non significa che la forma sia superiore al contenuto. Alle porte non vedo una rivoluzione del mercato, quanto un’ulteriore apertura verso nuove modalità di lavorazione che nascono e si affermano con nuove organizzazioni in cucina tali da far arrivar il prodotto nel modo migliore a casa del cliente. Per tale motivo il nostro obiettivo è quello di ottimizzare il food delivery, non di stravolgere la ristorazione. Attualmente, infatti, il 99% delle attività di food delivery si concentrano solo sulla prima parte della dicitura, ma è la seconda, il delivery, che dovrebbe essere messa al centro.  



Partiamo da Virtual Restaurants. A chi si rivolge?
Virtual Restaurants nasce innanzitutto come marketplace B2B. Noi ci mettiamo al centro di un ecosistema che vede da un lato gli imprenditori che non sanno cosa proporre per rinnovare la propria offerta e, dall’altro, brand che cercano di ampliare il proprio raggio d’affari grazie alle consegne a domicilio. A patto che abbiano le caratteristiche giuste per sfruttare questo canale. In sostanza, sono tre i target a cui ci rivolgiamo: chi vuole rinnovare l’offerta delivery e take away, chi possiede o gestisce una dark o ghost kitchen e si trova con più spazio da sfruttare del previsto e gli imprenditori con grande liquidità che non hanno il know-how per produrre determinate cucine e chiede la nostra consulenza.
Noi tendenzialmente consigliamo di comporre la propria offerta con brand che prevedono operazioni simili in termini di preparazione così da ottimizzare la gestione di tempi e spazi all’interno delle cucine. Attualmente, l’abbinamento che secondo me potrà avere un buon riscontro di pubblico può essere quello fra insalata e brand vegano, oppure un brand etnico che abbia al centro il concetto di healthy food. I benefici sono chiari: stessa materia prima, stessi ordini, stesso stoccaggio, ecc.

Cucine di Quartiere, invece, è l'altro pezzo della tessera.
Per noi l’offerta è già un due in uno. Vogliamo fornire una cucina totalmente ottimizzata con la gestione degli ordini che permetta di razionalizzare risorse e tempistiche. Il cuoco, per esempio, non avrà più scontrini su scontrini da controllare, ma riceverà tutto via tablet. In questo modo, dovrà solo preoccuparsi di fare ciò che sa fare meglio. Anche le scorte saranno automatizzate: a ogni piatto completato, a ogni comanda eseguita, il sistema aggiornerà automaticamente le scorte di magazzino.  



Da dove partirete con lo sviluippo?
Lo sviluppo di Cucine di Quartiere, almeno inizialmente, avverrà attraverso delle strutture modulabili. Sostanzialmente dei container pensati e studiati con Gnodi Group, leader nella progettazione di questi spazi, dedicati a chi ha già un suolo privato di proprietà – così da saltare le trafile burocratiche. Successivamente, stiamo già discutendo con un possibile partner commerciale attivo sul territorio italiano attraverso una rete di pompe di benzina urbane per realizzare le nostre cucine anche all’interno di strutture preesistenti in muratura. Così da sfruttare e allungare la sosta. A cominciare da chi ha l’auto elettrica e fra una ricarica e l’altra ha 15-20 minuti di attesa.

Qual è l'ingrediente necessario per vincere una sfida del genere?
In generale, per il successo di operazioni come Cucine di Quartiere e Virtual Restaurants Marketplace è importante stressare l’ambito local di queste iniziative. E per local intendo un raggio di 2-3 km intorno al punto vendita. Sbaglia chi pensa che il delivery sia solo un servizio immateriale, digitale, virtuale. Piuttosto, la carta vincente rimane sempre il passa parola, il farsi riconoscere in città da chi ci abita; che poi si spera siano le stesse persone che acquistano.

Ma non avete paura di essere mangiati dalle grandi piattaforme?
Per quanto riguarda gli Ott del delivery, il mercato sta reagendo: nascono servizi nuovi con richieste in gran lunga inferiori e che condividono tutte un approccio molto più etico e sostenibile sia per quanto riguarda la vita dei lavoratori sia per quanto riguarda l’approccio all’ambiente. In questa direzione vanno poi le sperimentazioni e i progetti già avviati negli Usa sull’utilizzo dei robot per la consegna del cibo a domicilio. Una loro entrata in gioco ridurrebbe di molto sia i costi che le emissioni. In generale, quando il mercato ce lo permetterà, anche noi puntiamo a sviluppare una nostra flotta di rider interni oppure appoggiandosi a un partner indipendente che sposi però i nostri valori.

Nel frattempo, seppur lentamente e con varie pause, il vaccino dovrebbe farci ritornare alla novità pre-Covid. Con la pandemia, sparirà anche la nostra passione per il cibo consegnato a casa?
Lo stato socio-economico attuale è frutto di veloci e repentini cambiamenti dovuti al Covid. Secondo me, alcuni di questi rimarranno e andranno a ottimizzarsi diventando il nuovo paradigma delle nostre vite. Penso, per esempio, allo smart working: diventerà interessante quando ci sarà un giusto rapporto fra lavoro in presenza e a casa. In questa prospettiva, la richiesta healthy potrebbe avere una nuova impennata per bilanciare la nostra dieta anche quando non possiamo cucinare per noi stessi. Contestualmente al consolidarsi di certe dinamiche poi, ci aspettiamo anche una riscoperta della dimensione del quartiere. Quello che durante i vari lockdown abbiamo fatto per necessità, ossia scendere al negozio sotto casa per fare acquisti piuttosto che spostarci di chilometri per raggiungere un determinato punto vendita, diventerà la norma. Con il vantaggio di rilanciare quei piccoli centri dove le grandi piattaforme di food delivery non sono presenti ma è cresciuta l’esigenza dei consumatori di avere tutto a portata di mano, o almeno di click.

E che ne sarà dei ristoranti?
Per quanto riguarda i ristoranti, magari stellati, se si pensa di riproporre tramite delivery ed eCommerce la stessa esperienza in sala l’approccio è destinato al fallimento. Dal packaging alla consegna, infatti, tutto andrebbe ripensato. Per riuscirci, ad alti livelli, ci vorrebbe una uno chef con grande conoscenza delle proprietà della materia prima e delle tecniche di cottura migliori per resistere al trasporto.

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Alberto Lupini


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