La ristorazione nel mondo vale 1.921 miliardi di euro. E il fast food tira più dei locali tradizionali

Secondo il Foodservice Market Monitor di Deloitte, la ristorazione ha perso il -26,2% di giro d'affari causa pandemia. I locali dedicati al pranzo veloce o in consegna tengono più dei ristoranti tradizionali

28 ottobre 2021 | 15:30

Nel 2020 il settore della ristorazione a livello mondiale ha raggiunto, complessivamente, un valore pari a 1.921 miliardi di euro. A fornire il dato è l’ultimo Foodservice Market Monitor diffuso da Deloitte secondo cui, nonostante la pandemia e la chiusura temporanea (quando non totale) di molti locali, il settore non è stato spazzato via e ora può guardare con fiducia alla ripresa.

 

Nel 2020 perso il 26,2% del valore nella ristorazione

A livello mondo, il 2020 della ristorazione rappresenta un arretramento rispetto al 2019 quando il comparto aveva messo insieme 2.603 miliardi di euro di fatturato. Ma la diminuzione del -26,2% del giro d’affari ha visto andamenti di segno opposto a seconda dei mercati. La conferma dell’area Apac (i paesi dell’Asia orientale e pacifica) che occupa il 48% del totale del fatturato di comparto è la nota stabile. A seguire il Nord America che aumenta il proprio peso passando dal 22% del 2019 al 24% del 2020. Infine, l’Europa che invece fa un passo indietro passando dal 20 al 18% della quota globale.

 

I fast food più resilienti e flessibili rispetto alla crisi

A livello di formato ristorativo, quello più diffuso resta il Full service restaurant (ossia quello con servizio al tavolo e proposta di qualità) che contraddistingue il 46% dei locali in tutto il globo. E non sorprende che proprio a questa categoria sia associata anche la perdita di performance più consistente: -30,2% fra 2019 e 2020. Più contenuta, invece, la perdita dei Quick service restaurant (cioè i locali fast food e pensati in ottica di asporto e delivery): -12%. Un dato che rende questa formula ristorativa la più resiliente alla crisi e flessibile in termini di adattamento e ripresa nella nuova normalità; speso contrassegnata da limitazioni in termini di capienza e servizio (senza dimenticare il peso dei diversi lockdown a livello internazionale).

 

 

«Sebbene il predominio del Full service restaurant trovi riscontro anche in Europa, dove rappresenta il 39% delle attività della ristorazione, rispetto al periodo pre-Covid è aumentata sensibilmente la diffusione dei Quick service restaurant che, dallo scoppio della crisi sanitaria, sono saliti dal 25% al 30%», commenta Tommaso Nastasi, value creation services leader di Deloitte. «L’esplosione di questo formato è ancora più marcata in Nord America, dove ha raggiunto il 58% delle quote di mercato, guadagnando quasi dieci punti percentuali rispetto al 2019 ed erodendo margini alla ristorazione più tradizionale e di qualità, ridotta a un esercizio commerciale su tre», aggiunge Nastasi.

 

 

Ritorno al livello pre-crisi entro il 2023

E dopo la fine della pandemia, cosa succedera? Secondo i dati Deloitte, alcuni cambiamenti sono arrivati per restare. E andranno a impattare sull'evoluzione dei formati ristorativi. Un esempio? Cucinare a casa. Un’attività che un consumatore su due si attende di svolgere in maggiore misura rispetto al periodo pre-Covid anche dopo la crisi, in Italia come all’estero. Questo porta a prevedere un ritorno più lento al ristorante. Guardando al fuori casa, infatti, per i prossimi anni ci si attende un rimbalzo del 7,9%. Considerando quindi il calo a doppia cifra registrato lo scorso anno (-26,2%), il tasso annuo di crescita composto del periodo 2019-2025 potrebbe assestarsi all’1,3%.

 

«Dopo un 2020 caratterizzato dalla prudenza verso l’out-of-home, il sentiment dei consumatori è gradualmente migliorato portando con sé una maggiore predisposizione alla spesa in ristoranti e  take out. La ripresa della domanda sosterrà il settore nel ritorno ai livelli pre-crisi, che potrebbe  avvenire nel 2023», spiega Nastasi. Ma come favorire tutto ciò? «Per realizzare tale crescita, gli operatori della ristorazione dovranno continuare a innovare sia in termini di offerta, per cui diventa sempre più importante considerare gli aspetti di sostenibilità e personalizzazione, sia di modello di business, per  cui assume rilevanza rapporto diretto con i consumatori e nuove partnership lungo la filiera abilitate anche dal digitale», conclude Nastasi.

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Alberto Lupini


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