Ristorazione narcisista e cucina estrema: parte la rivolta dei "buongustai"

Con un Manifesto, VI Cornice, confraternita di golosi nata per divulgare i valori del vino naturale, scende in campo per contrastare il divismo di alcuni cuochi e la schiavitù dei menu degustazione. L'obiettivo? Ritrovare la convivialità e il benessere che si trasmette attraverso il cibo.

02 marzo 2023 | 05:00
di Gabriele Ancona

C’è chi dice no. E viaggia come un salmone, contro corrente nei confronti di quella ristorazione che ha un po’ perso il senso della misura. Una ristorazione aulica e autoreferenziale, dove gli chef si sono dimenticati di chiamarsi cuochi.

L’abuso dei social da parte dei clienti, le presenze in tv, l’ossessione delle guide e una sterminata pletora di cortigiani osannanti, che spesso non sa nemmeno come si tiene una forchetta, hanno creato una bolla che sta allontanando la ristorazione da quella che è la sua natura: la convivialità e il benessere che si trasmette attraverso il cibo.

Detto a muso duro, la ricetta impiattata non è un sacramento e il cuoco non è un vescovo a cui si bacia l’anello. Rispetto a questa dimensione idolatra della ristorazione si è messa di traverso la "VI Cornice-Confraternita di golosi", fondata e guidata da Paolo Mandelli, che è un architetto, ma anche un appassionato gastronomo. Una persona che ama la convivialità, soprattutto quando combinata con la tavola. Da oltre un decennio è appassionato di vini naturali, quando nessuno, o quasi, sapeva dell’esistenza di questo mondo. Nel suo percorso di conoscenza e approfondimento ha incontrato Fabio Riccio, critico gastronomico ed esperto di vini naturali, che ha dato vita a “gastrodelirio.it”, sito che racconta di cibo e vino, punto di riferimento dell’enologia naturale in Italia.

 

L'onda lunga dei buongustai si fa sentire

Assecondando le pulsioni per questa passione in bottiglia, Mandelli ha iniziato a divulgare il vino naturale ad amici e appassionati conosciuti di volta in volta. All’inizio un gruppo ristretto (dieci anni fa di vino naturale non ne parlava nessuno), una pattuglia di otto persone che invitava un produttore e organizzava un menu dedicato in un ristorante. Queste riunioni nel tempo hanno accolto sempre più buongustai. A tal punto che si è deciso di dar vita alla “VI Cornice” di cui Paolo Mandelli è Grande Maestro. «Oggi siamo un’ottantina – racconta – e ci ritroviamo una volta al mese a Monza ai tavoli del Ristorante del Centro di Eugenio Galbiati, il nostro campo base. In alternativa, la Confraternita si ritrova, sempre con un vigneron, in un locale di Milano».

La dittatura del menu degustazione

Questo percorso enogastronomico ha portato Mandelli e i suoi confratelli a conoscere a fondo i cuochi e le loro proposte, il variegato universo della cucina, nel bene e nel male. Alcune tendenze, a dire il vero sempre più in atto, vengono vissute con disagio, se non con fastidio. «In molti casi – sottoliena Paolo Mandellil’alta cucina celebra una Messa invece di un momento conviviale. Una funzione di livello, intendiamoci, dove però è impossibile uscire dalla dittatura del menu degustazione. Il cuoco si fa sacerdote e gli ospiti sono i fedeli, ubbidienti e seduti in silenzio a tavola. Tra il divismo di alcuni top chef e i rigidissimi giovani colleghi in carriera si subisce una rappresentazione esagerata. Noi siamo gaudenti e vogliamo scegliere e godere dell’enogastronomia in libertà, magari, anche, sbagliando».

Mangiare bene, ma senz'anima non basta

Il concetto di fondo è che in molti ristoranti blasonati e stellati, pur mangiando bene e in alcuni casi anche benissimo, alla fine non ci si diverte più. Come si puntualizza nell’introduzione del Manifesto, “spendere cifre importanti, magari con l’obbligo di viaggio e pernottamento per mangiare certamente bene, ma senza anima e spesso in una atmosfera che ricorda il ricorrente format virato tutto sul chiaro, che sta tra il museale e l’ospedaliero, magari solo per fotografare un piatto da poi condividere non ci appartiene. Punto. Reclamiamo il diritto a godere a tavola del buon cibo di assoluta qualità, ma senza orpelli, perché tutto merita di essere raccontato, e perché, viste le tribolazioni del mondo contemporaneo, c’è più bisogno che mai di essere gaudenti per rendere la vita un po’ più vissuta e un po’ meno mestamente trascorsa”.

Questo stato di insofferenza non è stato represso, ma la sua elaborazione ha preso corpo e forma, quelli del Manifesto della VI Cornice. Il documento si articola in sei punti. Eccoli.

I sei punti del Manifesto

  • Direttamente, dalle tavole senza tovagliato del basso impero delle cucine fino alle tavole più blasonate, passando per il ventre molle del provincialismo italiano, il gaudente cerca sempre di godersela tutta.
  • Il gaudente è e deve essere tale anche a dispetto dello status sociale ed economico, perché, come nella Costituzione degli Stati Uniti è contemplato il diritto alla felicità per tutti i cittadini, anche il diritto a essere gaudente deve essere appannaggio di ogni classe sociale.
  • Il gaudente reclama il diritto alla scarpetta e al leccarsi le dita.
  • Il gaudente ribadisce a ogni occasione il diritto/dovere all’orgasmo gastronomico, postulato dal grande Ugo Tognazzi, vero e unico “maître à penser di ogni gaudente che si rispetti”.
  • Il gaudente ama il cibo ed è capace di passare ore a tavola per un piacere così apparentemente effimero come può esserlo un buon pasto.
  • Il gaudente ha il diritto di evitare i menu di percorso.

Il debutto a Monza con la nuova cucina romana

Presentazione ufficiale l’8 marzo al Ristorante del Centro con la cucina di Mirko e Tiziano Paolucci, con il loro Barred interpreti nella capitale della nuova cucina romana. I vini naturali in degustazione sono della Cantina Mortola di Sestri Levante (Ge). L’aperitivo, tanto per non uscire dal seminato, è proposto da Dot One. Fondata da Paolo Mandelli, recidivo sul tema, è simile a una casa editrice, ma di vini. «Il nostro è un progetto di divulgazione del vino naturale. Selezioniamo piccoli produttori etici che rispettano la terra: niente chimica di sintesi in vigna. E che rispettano le persone: niente chimica in cantina. I vini selezionati e rietichettati con le nostre etichette lasciano la paternità ai vigneron, ma sono riuniti sotto un tetto comune».

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Alberto Lupini


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