Ristoratore risponde alla lettera sul caro bollette: “Caro cliente, non capisci il lavoro che c'è dietro”
Matteo Scibilia, responsabile scientifico di Italia a Tavola, ha deciso di replicare alla lettera aperta rivolta da un cliente a tutti i ristoratori, pubblicata ieri sul nostro sito
Il nostro collaboratore Vincenzo D'Antonio ieri, in veste di cliente, ha indirizzato una lettera aperta a tutti i ristoratori. Una missiva in cui prende posizione contro l'iniziativa "Bollette in vetrina" promossa da Fipe, giudicandola "inelegante", e in cui in undici punti spiega le ragioni del suo disagio e prova a mettere in luce tutte le criticità del settore della ristorazione, in un momento reso particolarmente complesso dall'aumento sconsiderato dei costi dell'energia.
Il responsabile scientifico di Italia a Tavola e ristoratore Matteo Scibilia ha voluto rispondere alla lettera. Ecco di seguito la sua replica.
Il ristoratore risponde al cliente sul caro bollette
Caro cliente,
sono un ristoratore da oltre 30 anni, sono nato a Bari, praticamente in una salumeria, quella di mio padre, vivo e lavoro in Brianza e a Milano da moltissimi anni, ho letto con curiosità e stupore la tua lettera sulle iniziative del caro energia.
Apparentemente esprimi in maniera garbata la tua amarezza e il tuo stupore sulle iniziative non solo di un singolo ristoratore, ma ormai di tanti, che espongono bollette di luce, fatture di affitto e gas, non solo all’ingresso dei locali, ma, alcuni addirittura direttamente sullo scontrino. In maniera decisa esprimi però una serie di accuse al mio lavoro al mio settore.
Certo con le tue osservazioni e considerazioni non fai altro che confermare il malessere, il nostro malessere di operatori, in una situazione, in un momento veramente difficile. Oggi ho dichiarato che questo momento è più complicato e difficile del Covid, in fondo durante i lockdown c’erano più coperture, i nostri collaboratori erano in cassa integrazione, non c’erano acquisti e consumi di gas o energia elettrica e onestamente avevamo le casse vuote. Mi preoccupa quando sottolinei che non c’è la certezza che tutto sia finito.
Mi lascia l’amaro in bocca quando con sarcasmo affermi che la bella estate, ormai al termine, sia stata un’ora d’aria, una fugace ora d’aria. Perché chi, soprattutto nelle località turistiche, ha lavorato deve sentirsi in colpa? Dopo due anni di Covid sarà stata un’ora d’aria, ma per fortuna, dimentichi che è stata un’ora d’aria anche per la nostra bilancia dei pagamenti, per tutta la filiera del nostro turismo con oltre 1.500.000 di collaboratori.
In fondo la tua riflessione sui ricarichi del vino ed anche del cibo, su cui, magari in alcuni casi potresti aver ragione, conferma un’annosa questione: chi entra in un bar o in un ristorante osserva solo la parte ludica del nostro lavoro, ma non percepisce cosa c’è dietro, la conoscenza dei costi, non solo quelli fissi ma quelli della gestione ed anche quelli del food-cost. Certo, hai ragione quando ricordi la frase del grande Gualtiero, sulla esperienza e sulle emozioni che noi ristoratori e cuochi dovremmo ricordare come primo dovere nei confronti del cliente. E forse non è giusto che io debba far pesare questo al mio cliente, ma un conto è bere un vino in un calice di cristallo un conto è un bicchiere di vetro, un conto che questo vino te lo faccia degustare un sommelier o un cameriere che forse non conosce neanche le uve con cui e prodotto il vino, un conto è bere il suddetto vino su un tavolo apparecchiato con tovaglia e coprimacchia, un conto come si usa oggi con il runner, cioè quella striscia di stoffa posta sul tavolo.
Ma anche sul cibo, caro cliente, c’è molta confusione. Spesso si pensa che la somma degli ingredienti, faccia il costo del piatto, ma gli spaghetti industriali costano 1,50 € al kilo, quelli con grani speciali, Gragnano o Marchigiani arrivano anche a 5 € al kilo. Insomma, caro cliente, potrei dilungarmi per pagine su questi argomenti e non voglio insegnarti nulla.
Certo siamo sulla stessa barca.
Caro cliente non mi piace per nulla quando palesemente sembra che tu mi voglia ricattare: se non mi tratti bene, io resto a casa, mi guardo la tv e magari con un delivery mi faccio portare la pizza o un hamburger a casa. Poi però tutto il castello di insinuazioni sui nostri comportamenti spesso non corretti, non ti passa per la mente di farli sul mondo dei delivery, con addetti, questi si non assunti, e in alcuni casi in condizioni igieniche non proprio dignitose. Un degrado anche culturale del cibo.
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Non mi piace alla fine, che le tue insinuazioni, siano quelle di un pensiero comune: non siamo capaci di fare ed essere imprenditori, sfruttiamo i collaboratori, non siamo capaci di innovarci. Accuse alcune volte vere, ma il nostro settore paga anche il costo del lavoro più alto d’Europa. Per questo non riusciamo a dare ai nostri collaboratori uno stipendio migliore. Indietro non si torna, sottolinei. Vero, sicuramente vero, ma sono, siamo, preoccupati di una caduta qualitativa del nostro lavoro. Nelle nostre vie, nei nostri quartieri anche in provincia, la presenza di una ristorazione etnica, per lo più di basso livello, toglie spazio e mercato al nostro made in Italy, ai nostri artigiani che purtroppo grazie anche al caro energia rischiano di scomparire forse per sempre.
Il tuo giudizio esplicito ci accusa di avere prezzi alti, ma la qualità ha un costo e spesso la qualità ha anche una storia, la nostra storia.
Spero di averti dato qualche spiegazione e spero anche che potrai capire meglio il nostro attuale disagio.
P.S.
Sorrido solo quando accenni alle varie soluzioni, ho appena acquistato il carrello dei formaggi, sono convinto che sarà un grande ritorno in cui credo.
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Alberto Lupini