Ora è il tempo delle motivazioni per provare a cambiare i punti di vista e ragionare in modo diverso su ciò che sta accadendo. Dopo interminabili
proteste, richieste d’aiuto, confronti e incontri ora il mondo della ristorazione passa al cercare risposte da sé, senza più chiedere al
Governo perché e per come turismo e ristorazione siano i settori più bistrattati (oltre che i più colpiti) dall’inizio della pandemia. Primi a chiudere e ultimi a riaprire tutte le volte che di mezzo c’è la firma di un nuovo decreto. Un caso? Ovviamente no. Una scelta ponderata? No. O meglio, sì ma con scopi poco virtuosi che nasconderebbero intrallazzi politico-economici da brividi perché di mezzo c’è la vita o la morte di un intero
settore che compone buona parte della spina dorsale dell’economia italiana e rappresenta quell’aggettivo “Bel” davanti a Paese.
Ristoratori sempre più penalizzati dal Governo
Ristoranti italiani uccisi per favorire catene e industrieCerto, poi c’è anche
incompetenza, approssimazione, poca lungimiranza, ma quello che più dà fastidio ormai è la regola per cui bar e ristoranti condotti da
famiglie italiane, storici, piccole imprese, artigiani entrino nel mirino dei colpi inflitti dai decreti. La domanda spontanea per i più “scettici” che non credono fino in fondo a questo programma di distruzione delle micro-imprese della ristorazione è: farli fallire a quale pro? La risposta è piuttosto semplice: a favore delle
grandi catene di ristorazione, delle
piattaforme di delivery multinazionali e della Grande distribuzione organizzata. Perché? Perché dietro a questo tipo di business ci sono interessi e dinamiche politiche che vanno al di là della qualità invidiata in tutto il mondo delle
trattorie italiane.
Cursano: Ci fanno morire di stentiIl vicepresidente vicario di Fipe,
Aldo Cursano risponde vessato più che mai alla richiesta di un commento sull’ultimo decreto post-Natale. «Il nostro sistema - spiega - è basato su imprese famigliari che rappresentano l’orgoglio dell’Italia e non si controllano politicamente; per questo le
decisioni istituzionali tendono a colpire i nostri imprenditori. Ci stanno dando qualche goccia per non farci morire subito, ma l’obiettivo finale è farci morire di stenti perché la nostra economia si basa sul fuori casa ma la vita sociale è ridotta ai minimi termini. A favore di chi? Delle produzioni
industriali che, per altro, devono sostenere un decimo dei costi che deve sostenere un ristorante italiano il quale è bersagliato da affitto, tasse, fisco, bollette, stipendi, commercialisti, fornitori e altro ancora».
La dieta degli italiani perde qualità e tradizionePer i
consumatori italiani questo significa una perdita della qualità notevole: «L’acquisto online - osserva Cursano - toglie l’anima ai prodotti, toglie la bellezza dell’
Italia e il peggio è che ci stanno abituando a mangiare prodotti preconfezionati al supermercato, ci stanno abituando a mangiare in modo mediocre, ci stanno abituando a capire che così è e sarà per il futuro e questo ferisce. Noi ci sentiamo traditi, non abbiamo più fiducia nel rapporto con le
istituzioni perché chi dovrebbe proteggere il sistema produttivo made in Italy lo regala ai sistemi globali lasciandoci il
conto da pagare molto salato».
Aldo Cursano
Istituzioni inadeguate nel prendere decisioniTolti questi sassolini dalle scarpe, non si può far finta di non vedere anche una
reale inadeguatezza del Governo nel prendere decisioni e posizioni. L’aria che si respira è di un pressapochismo che mina la serenità dei
cittadini e la possibilità di organizzare gli affari futuri dei lavoratori. Decisioni che cambiano di giorno in giorno,
restrizioni spesso incomprensibili, numeri, teorie, scontri, battibecchi politici stanno mandando in tilt il
Paese.
«L’improvvisazione - dice Cursano - uccide più del
virus e la politica si assumerà tutte le responsabilità sociali ed economiche che scaturiranno da questa mala gestione della crisi. Perché oltre alle scelte sulle misure restrittive ci sono i ristori che sembrano
mance e mancette troppo piccole per coprire i debiti degli imprenditori della ristorazione; questi segnali sono un’ulteriore coltellata che fa capire quanto il nostro settore e in generale il
terziario siano destinati ad essere soppressi. Come faremo a ripartire senza imprese? Dalla Gdo? Dalle catene? Dai minimarket? Dai
kebab?».
Ciò che fa aumentare la rabbia è inoltre il fatto che i ristoratori da sempre hanno rigidamente rispettato i
protocolli di sicurezza, investendo soldi e fatica. Eppure i locali stessi continuano ad essere visti come diffusori di contagi. «Sfido chiunque - ha detto il vicepresidente Fipe - a mettere in discussione il senso di
responsabilità di tutte le botteghe nel far rispettare le norme. Lo stesso non si può dire della pubblica amministrazione che avrebbe dovuto gestire gli
assembramenti fuori dai locali e per le strade e invece ha delegato tutto ai privati. Noi siamo ancora in terapia intensiva, lo dicono i numeri, lo vediamo ogni giorno, e invece che darci ossigeno ci staccano la
spina».