Ristoranti e bar piangono ancora: aiuti congelati in attesa del nuovo Governo Draghi

Dopo lo scostamento di bilancio approvato il 21 gennaio, l'iter per gli aiuti a fondo perduto si è incagliato sulla crisi di Governo. Incertezze su blocco dei licenziamenti, cassa integrazione, canoni e imposte . Molti di questi provvedimenti sembravano ad un passo dall'approvazione, ma la crisi di Governo ha rimescolato le carte

03 febbraio 2021 | 11:42
Sospeso dalla crisi politica, l’iter per arrivare all’approvazione del decreto Ristori 5 sembra allungarsi. Dopo aver ricevuto il nullaosta per lo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro approvato il 21 gennaio in modo bipartisan, la manovra in aiuto di bar, ristoranti e tutte le attività costrette a sospendere o ridurre l’attività a causa del Covid deve attendere. Con buona pace di imprese e cittadini, appesi ai tempi della politica.

Lo scostamento di bilancio per il Dl Ristori 5 è stato approvato il 21 gennaio

Nella serata di martedì 2, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, conscio del difficile momento, ha giocato la carta del governo istituzionale chiamando l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, a guidare il Paese nel momento forse più drammatico dal Dopoguerra. Una scelta che mette tutti i partiti, dai 5 stelle a Fratelli d’Italia, di fronte alla scelta di una unità nazionale che mette in secondo piano, polemiche, divisioni ideologiche o più banalmente di potere. Siamo in piena emergenza.

L’attesa dei pubblici esercizi
Il passaggio in zona gialla di buona parte della Penisola non è bastato a bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie e pubblici esercizi in generale per tirare un sospiro di sollievo. I ristori servono per far ripartire la macchina dell’Horeca e del turismo inceppata da limiti di orario e di servizio, coprifuoco e incertezze sulla programmazione. «Il 2020 segna 40 miliardi di fatturato in meno. Di fronte a un danno di questa portata abbiamo ricevuto ristori per soli 2,5 miliardi», ha spiegato Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe-Confcommercio.

Oltre ai ristori, ristoranti e bar stavano attendendo anche la decisione finale sulla possibile apertura del servizio serale. Un argomento su cui le associazioni di categoria e i sindacati si erano mossi per tempo. Il 18 gennaio la prima riunione con il ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli da cui era emerso un documento congiunto con proposte concrete su lavoro e fiscalità. A seguire, il 21 gennaio, il tavolo di lavoro con gli esperti del Comitato tecnico scientifico e l’Inail per verificare il protocollo da seguire per garantire la sicurezza di clienti e lavoratori. Infine, la beffa della crisi di governo.



Le decisioni rinviate
Il decreto Ristori 5 non serviva solo a risarcire le attività di parte delle perdite subite. Nel testo avrebbe dovuto esserci anche l’estensione del blocco dei licenziamenti (che attualmente dovrebbe concludersi il 30 marzo), il contestuale allungamento della cassa integrazione ad altre 26 settimane e tutta un’altra serie di voci di investimento, dalla sanità ai trasporti.

Il lavoro da fare è ancora tanto. Soprattutto se si pensa al fatto che, sul fronte dei contributi a fondo perduto, vanno ancora chiariti i meccanismi per identificare la platea degli aventi diritto. Prima che i lavori si bloccassero, il criterio indicato era la perdita di fatturato dell’intero 2020 (e non più quella patita nel periodo aprile 2019-2020). Tuttavia, c’era ancora da fare chiarezza sui codici Ateco abilitati alla richiesta di ristoro e sui limiti massimi dell’indennizzo. Così come non è chiaro se nel decreto Ristori 5 ci sia spazio per i professionisti iscritti agli Ordini.

Ad attendere la norma sono anche i lavoratori dello spettacolo. Fermi da marzo scorso, dopo aver subito impotenti la querelle Sanremo (pubblico sì, pubblico no), artisti e maestranze hanno deciso di compattarsi e denunciare le condizioni a cui è sottoposto l’intero comparto e di cui fanno parte 327mila lavoratori.

Questione canoni: è crisi
Fra le categorie che si aspettavano maggiore considerazione da parte del Governo c’è anche quella dei proprietari di case e locali commerciali che da mesi non ricevono più il reddito da locazione. Spesso per assenza di inquilini (come turisti o studenti) oppure per questioni di morosità sugli affitti di lunga durata. Nessun aiuto per loro che, in alcuni casi, vivono una condizione di esproprio de facto del proprio immobile che, anche quando sfitto, è soggetto al pagamento dell’Imu.

Sul tavolo ci sarebbe poi la questione Irpef, che impone una tassazione dei canoni di locazione non percepiti dai proprietari, e quella legata al credito di imposta del 60% sugli affitti. Una misura, quest’ultima, prevista per i mesi di ottobre, novembre e dicembre per le sole attività interessate dall’ultimo Dpcm dopo che interventi precedenti lo avessero aperto a tutte le attività economiche.

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Alberto Lupini


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