Un rider può percorrere 50 km per consegnare un ordine? È successo in provincia di Verona
La denuncia su Facebook dell'ex politico Andrea Bassi che ha ordinato hamburger e patatine in un McDonald di Bussolengo. Contro lo sfruttamento dei rider serve una "correzione legislativa"
La vita dei rider è tutt’altro che semplice. Se ne discute da tempo, ma forse non veramente abbastanza. Ma non è più possibile che si torni sull’argomento solo quando c’è un fatto di cronaca. E se da tempo sindacati e associazioni, prime fra tutte la Fipe-Federazione italiana pubblici esercizi, chiedono leggi chiare, è ora che anche i consumatori prendano coscienza. È la domanda è semplice: «è umano fare 50 chilometri in bicicletta, in inverno al freddo di sera, per consegnare un ordine?». Questo si domanda ora l’ex consigliere regionale leghista del Veneto, Andrea Bassi, che dopo aver ordinato dalla sua casa a Bussolengo (Vr), degli hamburger al McDonald, che si trova sulla strada regionale 11, quella che conduce da Verona a Peschiera, si è trovato di fronte un giovane rider, che, appunto, di sera e in pieno gennaio, ha percorso una cinquantina di chilometri in bicicletta. E la risposta che Bassi si è dato è una: «Vergognoso, non farò più ordini a domicilio», almeno fino a quando non ci sarà «una correzione legislativa».
La denuncia su Facebook
L'ex assessore ha raccontato la vicenda su Facebook. «Ci ho pensato tutta la notte - confessa - Mi sono chiesto: ma questo povero Cristo ha dovuto patire per portarmi a casa degli hamburger con patatine?». Bassi ha atteso la sua ordinazione, ma tutto si aspettava meno che trovarsi davanti un ragazzo a bordo di una bici non attrezzata per quel viaggio. «Praticamente ha percorso tra andata e ritorno - spiega - 40 o 50 chilometri. Mi si è raggelato il sangue. Gli ho anche chiesto se volesse salire a scaldarsi un po' ma mi ha risposo che non aveva tempo, che doveva correre via per altre consegne».
Bisogna correggere le leggi
Un episodio che ha profondamente toccato Bassi: «Non cado dalle nuvole ma ho toccato con mano quello che accade a questi poveri ragazzi - spiega - è stata la prima volta che ho usato l'applicazione. Ero ignorante, ora ne ho preso consapevolezza. Ora spero serva a dare un segnale perché si intervenga con una correzione legislativa. Evidentemente ci sono dei buchi di legge e di questo è responsabile anche lo Stato italiano, come lo sono queste aziende internazionali, che se volessero potrebbero comunque trattare diversamente i lavoratori. Da parte mia, però, sebbene non voglia demonizzare il sistema, dico solo che fin che non vedrò un cambiamento, non contribuirò a perpetrare questo sfruttamento».
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Alberto Lupini
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