La reputazione ai tempi della rete, servono garanzie

30 gennaio 2017 | 11:43
di Alberto Lupini
Per la valutazione di un ristorante o di un hotel un tempo c’era solo il passaparola e il consiglio degli amici. Poi ci sono state le guide o le recensioni sui giornali. Ora sembra che gli unici giudizi che contino siano quelli che si trovano sulla rete. E poco importa che siano comprati o effetto di pulsioni da “branco”. L’importante è che servano a fare salire o scendere la reputazione di un locale. Che si possa capire come si mangia o come si dorme, sembra interessare a pochi. Quello che si guarda è la classifica, come se la qualità e il valore possano essere attestati da qualche post più o meno sgrammaticato, o più o meno di parte.



A fare tabula rasa di correttezza e serietà ci ha pensato da tempo TripAdvisor che, all’insegna dell’anonimato e dei suoi ridicoli certificati di eccellenza, ha fatto saltare ogni possibilità che uno strumento utilissimo come il parere del cliente potesse dare vantaggi ai gestori e al pubblico. Che un chiosco di panini possa essere il migliore locale di una città, o che un albergo chiuso da anni figuri ai primi posti per segnalazioni positive, sono solo esempi di come queste graduatorie siano costruite sul nulla e affossino ogni possibilità di rendere credibili questi elenchi di sfogatoi senza controllo. E questo vanificando tutti i vantaggi che potrebbe garantire Internet se correttamente utilizzato.

Ma non bastava TripAdvisor, con la sua sostanziale omertà col mondo criminale che vende recensioni a pacchetti. Ora a fare danni, forse ancora più gravi in prospettiva, è Facebook. Già da tempo abbiamo segnalato come sia stia avvelenando il clima della rete con le bufale (le fake news) e i ripetuti incitamenti all’odio e alla violenza che hanno libero spazio sulla più importante piattaforma al mondo. Su FB oggi ci si aggiorna, ci si informa e si comunica e la maggior parte degli utenti è portato a ritenerlo uno strumento utile se non essenziale. Ma anche qui ci sono distorsioni spaventose. Per restare al mondo dei locali è preoccupante il numero di casi, in crescita a vista d’occhio, in cui senza alcun controllo si può tentare di distruggere la reputazione di un locale, così come (in modo ancor più pericoloso) lo si fa colpendo la privacy di qualche utente.

È ben vero che anche una recensione negativa di un giornale può fare danni ad un ristorante o ad un hotel, ma resta sempre l’opinione del singolo giornalista, verso cui si può anche chiedere una rettifica o avviare una querela con risarcimento dei danni. In rete, come noto, un’opinione che non appare su un sito registrato come testata giornalistica gode di fatto di un’impunità praticamente totale, se poi è in forma anonima non ci si può fare nulla. È grazie a questa assenza di regole che prospera il malcostume con ricatti e minacce e con vere e proprie campagne di delegittimazione. In rete scatta spesso la logica del branco, in cui sembra che si spenga ogni ritegno e, grazie all’impunità, c’è chi sfoga le pulsioni più malsane. L’ultimo caso è stato denunciato da “La Repubblica”: un gruppo si è scatenato, dopo un incitamento di qualche capobranco, a denigrare in modo violento (e ingiustificato) un ristorante di Firenze. Aggiungendo il fatto che Facebook ora permette di mettere anche i punteggi, la reputazione del locale è precipitata.

Ora - e il caso potrebbe capitare anche ad un professionista di qualunque settore, come giá succede a molti produttori - davvero possiamo permetterci in una società civile di assistere impotenti alle incursioni barbariche di qualche invasato senza che nessuno risponda delle proprie azioni? In questo senso il nostro plauso va al Codacons, che ha appena avviato una class action contro Facebook, accusato di mancanza di vigilanza e controllo sui reati perpetrati attraverso il social network. Sorprende semmai che l'iniziativa parte dall'associazione dei consumatori, mentre sul tema si avverte il rumorosissimo silenzio dei sindacati di categoria, forse più interessati a fare accordi con TripAdvisor e simili, invece che tutelare le aziende. È tempo dunque che le istituzioni scendano in campo e la politica fissi regole che, senza limitare la libertà di opinione (non siamo per fortuna in Russia o in Turchia), prevedano immediate responsabilità civili e penali per chi avvia iniziative di linciaggio pubblico (“shitstorm”) o bara al gioco con recensioni false.

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