Quinto quarto in cucina: a Villa Maiella lo “scarto” sposa l'alta ristorazione

Tutto ciò che lo chef Arcangelo Tinari utilizza e recupera proviene da animali, e in questo caso maiali neri d'Abruzzo, che la sua azienda agricola alleva a pochi chilometri dal ristorante . E proprio da questi maiali è “nata” una portata particolarmente apprezzata dai clienti di Villa Maiella: il burro di lardo

31 ottobre 2023 | 05:00
di Alessandro Creta

Prosegue il nostro viaggio su e giù per la Penisola alla scoperta di quei ristoranti che hanno fatto dell’utilizzo ‘virtuoso’, passateci il termine, del quinto quarto una loro prerogativa. Per affrontare il discorso eravamo partiti dall’ultima trovata di Renè Redzepi, il quale poche settimane fa aveva condiviso sui propri canali social un brodo a base di muso di cinghiale (ben visibile in video). In passato lo chef del Noma aveva sorpreso con altre ispirazioni simili, come per esempio, il cervello di renna o germano reale.

Creazioni che hanno puntato, evidentemente, sull’effetto wow. Eppure, a ben vedere, per certi versi si tratta qualcosa che non dovrebbe nemmeno così sorprendere. O perlomeno non dovrebbe sorprendere oltre misura. I nostri nonni, dopotutto, erano soliti mangiare tutto il mangiabile di un animale. Dopo un periodo in cui il quinto quarto è stato ritenuto di poco conto, sicuramente di scarsa utilità, da qualche anno a questa parte questa che decenni fa era una stretta necessità è diventata quasi un “trend”, legata non più a una questione di mera “fame” ma a situazioni di sostenibilità ed etica. Di no waste si riempiono la bocca in tanti, ma quanti effettivamente lo applicano per reale convinzione, o bisogno, e quanti solo per intercettare la moda e apparire al passo con i tempi?

Qualche giorno fa abbiamo parlato di questo con lo chef Diego Rossi di Trippa, oggi da Milano ci sposiamo in Abruzzo da Villa Maiella, ristorante una Stella Michelin con in cucina lo chef Arcangelo Tinari. 

Arcangelo Tinari: «Utilizzo del quinto quarto? Una necessità economica»

«La nostra idea di ristorazione nasce dai miei nonni - esordisce lo chef abruzzese - e Villa Maiella nel corso del tempo ha sempre avuto una politica incentrata sulla lavorazione dei propri animali di allevamento. Oggi usiamo tutto ciò che abbiamo a disposizione, come avveniva in passato dopotutto. Quindi la tematica del no waste è sempre stata nostra, abbiamo sempre cercato, nelle tre generazioni che si sono succedute qui, di massimizzare tutte le produzioni. Per noi insomma è sempre stata la normalità, ancor prima che diventasse una sorta di “trend” come sembra esser diventato negli ultimi anni».

«La maggior parte dei nostri piatti - continua lo chef - proviene da quel concetto: anche la semplice polpetta cacio e ova è fatta con le bucce di recupero del formaggio, impastato con uova e pane raffermo. Per quanto riguarda invece lardo e strutto sono stati molto presenti nelle nostra cucina in passato come oggi, attualmente li utilizziamo ancora ma in un’ottica più ‘leggera’ e anche meno invasiva anche nel gusto».

Arcangelo Tinari: «Così ho creato il grasso in versione burro»

Tutto ciò che Arcangelo utilizza e recupera proviene da animali, e in questo caso maiali neri d'Abruzzo, che la sua azienda agricola alleva a pochi chilometri dal ristorante. E proprio da questi maiali è “nata” una portata particolarmente apprezzata dai clienti di Villa Maiella.

Non un piatto vero e proprio, ma del grasso reso a mo' di burro: «Noi abbiamo esemplari di maiale nero d’Abruzzo, e la particolarità di questa razza è la presenza di uno strato adiposo esterno importante. In alcune parti, come la spalla o il prosciutto, il grasso è meno omogeneo, e risulta poi di difficile salatura e gestione. Quindi non avevamo molto margine di manovra. Siccome non volevo sprecare questo grasso, anche perché sarebbe stato comunque un danno economico in quanto a noi allevare il maiale costa un tot al chilo, dopo vari esperimenti sono giunto a una conclusione. Da questa necessità prettamente commerciale ed economica ho dovuto inventare un modo di rendere appetibile questo grasso. Ho pensato quindi di fonderlo, crearci una sorta di olio, infuso poi con rosmarino ed erbe, successivamente montato e raffreddato, creando una sorta di burro vero e proprio. Da qui è nata questa portata presente tutto l’anno tranne a ottobre e novembre in cui andiamo a servire il nostro olio di fresca spremitura». 

Il quinto quarto a Villa Maiella

Parlando poi di quinto quarto vero e proprio, lo “spreco” (per così dire) di Villa Maiella si riduce al minimo indispensabile. A quello, cioè, che non si può mangiare come e ossa o le parti non commestibili. E il resto? «Tutto ciò che rimane delle lavorazioni, la pelle, la lingua, cotenne, muso, orecchie riusciamo a recuperarlo anche facendoci la coppa (foto di copertina, ndr). Con le interiora come fegato, cuore, polmone, milza, diaframma ecc facciamo un insaccato, una salsiccia condita con sale, pepe, vino bianco, buccia d’arancia, aglio rosso di Sulmona e pepe. Questo viene incluso nella selezione dei salumi di nostra produzione. La vescica, invece, la utilizziamo per insaccare la ventricina, altro insaccato tipico di queste parti».

Villa Maiella, alle pendici dell'Appenino abruzzese un ristorante della Guida Michelin

«L'Abruzzo: ecco cosa racconta la famiglia Tinari nel suo ristorante dal 1966» esordisce così la Guida Michelin nel presentare il ristorante, raccontando delle origini di un locale avviato dai nonni dell'attuale chef. «Oggi, al limitare del Parco della Maiella, troviamo mamma Angela insieme al figlio Arcangelo in cucina, e Peppino in sala con il figlio Pascal, alle prese con i migliori ingredienti abruzzesi, selezionati al ritmo delle stagioni, mentre i maiali neri (e i salumi che ne derivano) provengono dalla propria fattoria».

«La storia enogastronomica della regione, insieme agli insegnamenti di mamma e papà, sono la base su cui i fratelli stanno rilanciando l’insegna, costruendo una proposta sempre più avvincente. Una certezza anche per gli amanti del buon bere: in cantina riposano oltre 1000 etichette, nonché un’ampia scelta al bicchiere».

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Alberto Lupini


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